lunedì 5 luglio 2021

ULTIMO INCONTRO CON IL PADRE

 

Alëša entrò. 

Il vecchio sedeva solo a tavola, indossava le pantofole e un vecchio cappotto ed esaminava, per distrarsi, ma senza grande attenzione, certi suoi conti. 

Era completamente solo in casa (anche Smerdjakov era uscito a fare la spesa per il pranzo). Ma non erano i conti a tenergli occupata la mente. Sebbene si fosse alzato di buon mattino e si facesse forza, aveva tuttavia un'aria stanca e indebolita. 

La fronte, che durante la notte si era riempita di enormi lividi violacei, era avvolta in un fazzoletto rosso. Pure il naso si era molto gonfiato durante la notte e su di esso si erano formati dei lividi a chiazze, non molto evidenti, ma che indubbiamente conferivano al suo volto un aspetto particolarmente arcigno e malevolo. 

Il vecchio se ne rendeva conto da solo e gettò un'occhiata ostile su Alëša che entrava in quel momento. 

 «Il caffè è freddo», disse bruscamente, «non te lo offro. Oggi mangio zuppa di pesce in bianco e non invito nessuno. Perché sei venuto?» «Per informarmi sulla vostra salute», rispose Alëša. «Sì, tanto più che sono stato io stesso ad invitarti ieri. Tutte sciocchezze. Ti sei disturbato inutilmente. Del resto, lo sapevo che ti saresti subito scapicollato qui...» Pronunciò queste parole con aria estremamente ostile. 



 Nel frattempo si era alzato dal suo posto e si osservava preoccupato il naso allo specchio (per la quarantesima volta dalla mattina, forse). Cominciò pure a sistemarsi meglio sulla fronte il fazzoletto rosso. «Rosso è meglio, col fazzoletto bianco sembra di stare all'ospedale», sentenziò. «Che si dice dalle tue parti? Come sta il tuo starec?»

«Sta molto male, potrebbe morire entro oggi», rispose Alëša, ma il padre non l'ascoltò nemmeno, anzi aveva dimenticato subito la domanda che aveva posto.

GIUDIZIO SU IVAN

 «Ivan è uscito», disse ad un tratto. «Vuole soffiare la fidanzata a Mit'ka a tutti i costi, ecco perché rimane qui», aggiunse con perfidia e, storcendo le labbra, guardò Alëša. 

 «È stato forse lui a dirvi questo?», domandò Alëša. 

 «Sì ed è un pezzo che me l'ha detto. Ci crederesti? Saranno tre settimane che me l'ha detto. Non crederai che sia venuto qui anche lui per scannarmi alla chetichella? Deve pur aver avuto qualche buon motivo per venire, non ti pare?» 

 «Ma che dite! Perché parlate in questo modo?», ribatté Alëša molto turbato. 

 «Denaro non ne chiede, a dire il vero, e comunque da me non caverebbe un soldo. 

VOGLIA DI VIVERE

Io, dolcissimo Aleksej Fëdoroviè, ho intenzione di vivere il più a lungo possibile a questo mondo, sappiatelo, e dal momento che mi serve ogni singola copeca, più a lungo vivrò, tanto più essa mi sarà necessaria», proseguì passando da un angolo all'altro della stanza, con le mani affondate nelle tasche del suo ampio cappotto di calamandra estiva gialla, tutto imbrattato. «Sono ancora un uomo per il momento, ho solo cinquantacinque anni, ma voglio comportarmi da uomo ancora per una ventina d'anni; man mano che invecchierò diventerò sempre più ripugnante, allora quelle non verranno volentieri con me, ecco a cosa mi serviranno i soldini. E così adesso accumulo sempre di più, sempre di più solo per me stesso, caro figlio mio Aleksej Fëdoroviè, sappiatelo questo, perché voglio vivere nella mia lordura fino alla fine, sappiatelo. 

È più bello stare nella lordura: tutti imprecano contro di essa, ma tutti ci vivono dentro, solo che lo fanno di nascosto mentre io ci sto alla luce del sole. È proprio per questa mia ingenuità che tutti gli sporcaccioni si scagliano contro di me. E il tuo paradiso, Aleksej Fëdoroviè, io non lo voglio, sappilo, anche per gli uomini perbene il tuo paradiso è sconveniente, ammesso che esso esista. Secondo me, ci si addormenta per non svegliarsi più, ecco tutto, commemoratemi con le messe funebri, se volete, e se non volete, che il diavolo vi porti. Ecco la mia filosofia. Ieri Ivan ha parlato bene qui, anche se eravamo tutti ubriachi. Ivan è uno smargiasso e non ha nessuna cultura... e non ha neanche una particolare educazione, se ne sta zitto e ride di te, solo di questo è capace». Alëša lo ascoltava in silenzio. 

 «Perché non parla con me? E se parla, si dà arie: è un mascalzone il tuo Ivan! E Gruška me la sposo subito, se me ne viene l'estro. Perché con i soldi basta solo volere, Aleksej Fëdoroviè, e si ha tutto. 

Ecco: Ivan ha paura proprio di questo e mi sorveglia perché non mi sposi e per questo istiga Mit'ka a sposare Gruška: in tal modo, da una parte vuole tenere me lontano da Gruška (come se i soldi li lasciassi a lui, se non sposo Gruška!), e dall'altra, se Mit'ka sposa Gruška, Ivan si prende per sé la fidanzata ricca di quell'altro, ecco qual è il suo calcolo! È un mascalzone il tuo Ivan!» 

 «Come siete irritato! È a causa dei fatti di ieri. Fareste meglio a sdraiarvi», disse Alëša. 

 «Ecco, tu dici questo», osservò a bruciapelo il vecchio come se quel pensiero gli venisse alla mente per la prima volta, «dici questo e con te non mi arrabbio, ma se fosse stato Ivan a dirmelo, mi sarei arrabbiato. Solo con te ho avuto i miei momenti buoni, per il resto sono cattivo». 

 «Non siete cattivo, siete malconcio», disse Alëša sorridendo. 

 «Ascolta, oggi volevo far mettere in galera quello scellerato di Mit'ka, ma al momento non so ancora che cosa deciderò. Naturalmente, adesso va di moda considerare l'autorità della madre e del padre come un pregiudizio; eppure, per la legge, pare, anche ai nostri giorni non è consentito tirare i padri anziani per i capelli, picchiarli in testa con i tacchi delle scarpe, mentre giacciono per terra, in casa loro, e vantarsi di tornare a finirli una volta per tutte - tutto alla presenza di testimoni. Se volessi, lo potrei schiacciare e potrei farlo rinchiudere in galera per ciò che ha combinato ieri». 

 «Allora non volete sporgere denuncia, vero?» 

 «Ivan mi ha convinto a non farlo. Non darei retta ad Ivan, ma c'è una certa cosuccia da tenere presente...» E, inchinatosi verso Alëša, continuò con un bisbiglio confidenziale: 

 «Se lo faccio mettere in carcere, il mascalzone, quella sente che l'ho fatto rinchiudere e corre subito da lui. Se, invece, diciamo oggi stesso, viene a sapere che mi ha picchiato fin quasi ad ammazzarmi, a me, povero vecchio, forse lo lascia e viene subito a trovarmi... Perché lei è fatta così, è una che fa sempre tutto il contrario. Leggo in lei come in un libro aperto! Allora, ti fai un bicchierino di cognac? Prendi lì il caffettuccio freddo, caro, ti verserò un quarto di bicchierino, gli dà gusto». 

 «No, vi ringrazio. Ecco, prenderò con me questo pezzo di pane, se me lo permettete», disse Alëša e, preso un panino francese da tre copeche, se lo infilò nella tasca della tonaca. 

«Neanche voi dovreste bere cognac», consigliò Alëša preoccupato, guardando in faccia il vecchio. 

 «Hai ragione tu, irrita i nervi e non dà pace. Ma solo un bicchierino...Lo prendo dalla credenzina...» 

 Aprì la "credenzina" chiusa a chiave, si versò un bicchierino, lo bevve, poi chiuse la credenzina e si rimise la chiave in tasca. «Basta così, non creperò per un bicchierino». 

 «Siete anche diventato più buono adesso», disse Alëša sorridendo. 

 «Hmm! A te voglio bene anche senza cognac, ma con i mascalzoni mi comporto da mascalzone. Van'ka non va a Èermašnja, e lo sai perché? Vuole spiare quanto darò a Grušen'ka, quando verrà. Tutta una manica di mascalzoni! Sai, Ivan io proprio non lo riconosco. Ma da dove è venuto fuori uno come lui? Non è uno di noi nell'anima. Come se io avessi intenzione di lasciargli qualcosa! Non lascerò nemmeno il testamento, sappiatelo. Mit'ka lo schiaccerò come uno scarafaggio. Di notte schiaccio gli scarafaggi neri con le pantofole: quelli scricchiolano quando ci metti il piede sopra. Anche il tuo Mit'ka scricchiolerà. Il tuo Mit'ka, perché tu gli vuoi bene. Ecco, tu gli vuoi bene e io non ho paura che tu gli voglia bene. 

 Ma se gli volesse bene Ivan, mi preoccuperei per me stesso, per il fatto che gli vuole bene. Ma Ivan non vuole bene a nessuno, Ivan non è come noi, la gente come Ivan non è dei nostri, fratello, è come una nuvola di polvere... Quando soffia il vento e la polvere viene spazzata via... 

Ieri avevo una stupida idea in mente, quando ti ho chiesto di venire qui: volevo sapere per tuo tramite se Mit'ka avrebbe accettato una carta da mille, o anche duemila, lui che è un miserabile mascalzone, per togliersi dai piedi per cinque annetti, meglio trentacinque, ma senza Gruška, anzi rinunciando a lei completamente, eh?» 

 «Io... glielo domanderò», mormorò Alëša. «Se fossero tremila rubli, allora forse lui...» 

 «Stai vaneggiando! Non occorre che tu chieda nulla, non occorre! Ho cambiato idea! Ieri mi è saltata in zucca questa sciocchezza. Non darò niente, proprio un bel niente, i miei soldini servono a me», disse il vecchio agitando il braccio. 

«Lo schiaccerò come uno scarafaggio anche così. Non dirgli nulla, altrimenti si metterà a sperare in qualche cosa. Non serve neanche che tu rimanga qui, va' via. Quella fidanzata, quella Katerina Ivanovna, che mi ha tenuto così accuratamente nascosta, se lo sposa o no? Ieri, se non sbaglio, sei andato da lei?» 

 «Ella non lo vuole lasciare a nessun costo». 

 «Sono proprio i tipi così che amano queste belle signorine, scapestrati e mascalzoni! Sono una schifezza quelle signorine pallide, te lo dico io: ben altra roba... Be'! Se avessi la sua giovinezza, e il mio viso di un tempo (perché ero più bello di lui a ventotto anni), sarei un conquistatore anch'io come lui. È una canaglia lui! Grušen'ka però non l'avrà, non l'avrà, nossignore... Lo ridurrò in poltiglia!» Dicendo queste ultime parole si era di nuovo infuriato. 

 «Va' via anche tu, non c'è niente che tu possa fare qui oggi», tagliò corto bruscamente. 

 Alëša si avvicinò per salutarlo e lo baciò su una spalla. 

 «Perché hai fatto questo?», il vecchio era un po' sorpreso. «Ci vedremo ancora. Oppure pensi che non ci vedremo?» 

 «Nient'affatto, l'ho fatto così, per caso». «E anche io, l'ho detto solo così...», il vecchio lo guardò. 

«Ascolta, ehi, ascolta?», gli gridò dietro. «Fa presto a tornare un'altra volta e ti farò cucinare una zuppa di pesce speciale, non come quella di oggi, vieni, mi raccomando! A domani, mi senti, vieni domani!» 

 E non appena Alëša fu uscito, andò di nuovo alla credenzina e mandò giù un altro mezzo bicchierino. «Non lo farò più!», mormorò, dopo essersi raschiato la gola. Richiuse la credenzina, si rimise la chiave nella tasca, poi andò in camera da letto, si adagiò esausto sul letto e si addormentò in un attimo.