mercoledì 7 dicembre 2016
LO STAREC ZOSIMA
Era di bassa statura, curvo, con le gambe molto deboli;
aveva solo sessantacinque anni
ma, a causa della malattia, sembrava molto più
anziano, almeno di una decina d'anni.
Il suo viso rinsecchito era tutto
solcato da rughette minute, particolarmente fitte intorno agli occhi.
Gli occhi erano piccoli, chiari, mobili, scintillanti, come due punti luminosi.
Gli erano rimasti solo alcuni ciuffetti di capelli canuti sulle tempie, la
barbetta era rada e minuscola, a punta, e le labbra, che sorridevano spesso,
erano sottili come due cordicelle.
Il naso non era tanto lungo quanto
affilato, come il becco di un uccellino.
CASA DI KATJA
CASA DI KATJA
Erano già le
sette e il sole stava tramontando, quando Alëša arrivò da
Katerina
Ivanovna, che abitava in una casa molto spaziosa e confortevole
nella via
Bol'šaja.
Alëša sapeva che la donna viveva con due zie.
[...]
Quando Alëša entrò
nell'anticamera e chiese alla cameriera, che gli aveva aperto la porta, di
essere annunciato in salotto, evidentemente, erano già al corrente del suo
arrivo (forse lo avevano visto dalla finestra), ma Alëša sentì soltanto un
certo trambusto, frettolosi passi femminili, un fruscio di sottane: due o tre
donne dovevano essere scappate via dalla stanza. Ad Alëša sembrò strano
che il suo arrivo potesse provocare una simile agitazione.
Comunque fu
subito introdotto in salotto.
IL SALOTTO
IL SALOTTO
Era una stanza spaziosa, arredata con dovizia
di mobili eleganti, tutt'altro che provinciali.
C'era un gran numero di
divani, sofà, divanetti, tavoli piccoli e grandi; c'erano quadri alle pareti,
vasi e lampade sui tavoli, fiori in abbondanza, c'era persino un acquario
vicino alla finestra.
La stanza era piuttosto scura per via del crepuscolo.
Alëša intravide sul divano, sul quale evidentemente fino a qualche
momento prima era seduto qualcuno, una mantella di seta abbandonata e
sul tavolo, davanti al divano, due tazze di cioccolata mezze piene, dei
biscotti, un piatto di cristallo con uvetta passa azzurrina e un altro con dei
cioccolatini.
C'era stato qualche ospite. Alëša capì di essere capitato in un
momento in cui c'erano visite e si accigliò.
CASA KARAMAZOV
CASA KARAMAZOV
ESTERNO
La casa di Fëdor Pavloviè Karamazov sorgeva piuttosto distante dal
La casa di Fëdor Pavloviè Karamazov sorgeva piuttosto distante dal
centro della
città, anche se non proprio in periferia.
Era una casa vecchia,
ma piacevole a
vedersi:
ad un piano, con
un attico, le pareti dipinte di un
colore
grigiognolo e il tetto rosso di ferro.
Era spaziosa e confortevole e
poteva reggere
ancora molti anni.
Aveva una miriade
di sgabuzzini e
nascondigli di
vario genere e scalette a sorpresa.
Era infestata di
ratti, ma
Fëdor Pavloviè
non era molto contrariato per questo:
"Se non
altro si sente
meno la noia,
quando la sera si rimane soli soletti".
Infatti era sua
abitudine mandare
a dormire i servi nella dipendenza e chiudersi a chiave
da solo in casa
per tutta la notte.
La dipendenza si
trovava in cortile, era
ampia e solida.
Fëdor Pavloviè
aveva disposto che essa avesse anche una
cucina, sebbene
in casa ce ne fosse già una;
egli non amava
l'odore della
cucina e, sia
d'inverno sia d'estate, gli portavano i cibi passando per il
cortile.
La casa era stata
concepita per una famiglia numerosa, avrebbe
potuto ospitare
il quintuplo della gente che vi abitava, fra padroni e servitù.
INTERNO
Trovò per davvero suo padre ancora a tavola.
Secondo una vecchia
consuetudine, la tavola era apparecchiata in salone,
anche se nella casa
c'era una sala da pranzo vera e propria.
Quella era la stanza più grande
della casa, arredata con una certa ostentazione vecchia maniera.
I mobili
erano decrepiti, bianchi, imbottiti di una vetusta tappezzeria rossa in misto
seta.
Sulle pareti comprese tra le finestre c'erano specchi dalle cornici
elaborate di antico intaglio, anch'esse bianche con decorazioni dorate.
Sulle pareti tappezzate di carta da parato bianca, in molti punti già frusta,
facevano bella mostra di sé due grandi ritratti: uno di un certo principe, che
una trentina di anni prima era stato generale-governatore del distretto
locale, e l'altro di un arcivescovo, anche quello deceduto da tempo.
Nell'angolo d'onore, presso l'ingresso, erano collocate alcune icone,
davanti alle quali di notte si accendeva una lampada... non tanto per
devozione quanto per illuminare l'ambiente per la notte.
Fëdor Pavloviè si
coricava molto tardi, verso le tre, le quattro del mattino e fino a quell'ora si
aggirava per la stanza oppure sedeva in poltrona a meditare. Era diventata
un'abitudine per lui. Non di rado dormiva completamente solo in casa e
mandava la servitù nella dipendenza, ma di solito anche il servo
Smerdjakov si tratteneva per la notte, dormiva su una panca in anticamera.
Quando entrò Alëša, il pranzo era già terminato, ma erano appena stati
serviti il caffè e la marmellata. Fëdor Pavloviè amava i dolci con il cognac
dopo pranzo.
Anche Ivan Fëdoroviè era seduto a tavola e prendeva il suo
caffè.
I servi Grigorij e Smerdjakov erano in piedi presso la tavola. Sia i
signori sia i servitori si trovavano in uno stato di insolita e vivace
animazione. Fëdor Pavloviè rideva e sghignazzava rumorosamente; sin
dall'andito Alëša aveva sentito la risata stridula che gli era tanto familiare,
e concluse immediatamente, dal suono di quella risata, che il padre era ben
lungi dall'essere ubriaco, ma che per il momento aveva raggiunto soltanto
lo stadio dell'ilarità.
INTERNO
Trovò per davvero suo padre ancora a tavola.
Secondo una vecchia
consuetudine, la tavola era apparecchiata in salone,
anche se nella casa
c'era una sala da pranzo vera e propria.
Quella era la stanza più grande
della casa, arredata con una certa ostentazione vecchia maniera.
I mobili
erano decrepiti, bianchi, imbottiti di una vetusta tappezzeria rossa in misto
seta.
Sulle pareti comprese tra le finestre c'erano specchi dalle cornici
elaborate di antico intaglio, anch'esse bianche con decorazioni dorate.
Sulle pareti tappezzate di carta da parato bianca, in molti punti già frusta,
facevano bella mostra di sé due grandi ritratti: uno di un certo principe, che
una trentina di anni prima era stato generale-governatore del distretto
locale, e l'altro di un arcivescovo, anche quello deceduto da tempo.
Nell'angolo d'onore, presso l'ingresso, erano collocate alcune icone,
davanti alle quali di notte si accendeva una lampada... non tanto per
devozione quanto per illuminare l'ambiente per la notte.
Fëdor Pavloviè si
coricava molto tardi, verso le tre, le quattro del mattino e fino a quell'ora si
aggirava per la stanza oppure sedeva in poltrona a meditare. Era diventata
un'abitudine per lui. Non di rado dormiva completamente solo in casa e
mandava la servitù nella dipendenza, ma di solito anche il servo
Smerdjakov si tratteneva per la notte, dormiva su una panca in anticamera.
Quando entrò Alëša, il pranzo era già terminato, ma erano appena stati
serviti il caffè e la marmellata. Fëdor Pavloviè amava i dolci con il cognac
dopo pranzo.
Anche Ivan Fëdoroviè era seduto a tavola e prendeva il suo
caffè.
I servi Grigorij e Smerdjakov erano in piedi presso la tavola. Sia i
signori sia i servitori si trovavano in uno stato di insolita e vivace
animazione. Fëdor Pavloviè rideva e sghignazzava rumorosamente; sin
dall'andito Alëša aveva sentito la risata stridula che gli era tanto familiare,
e concluse immediatamente, dal suono di quella risata, che il padre era ben
lungi dall'essere ubriaco, ma che per il momento aveva raggiunto soltanto
lo stadio dell'ilarità.
CASA DI SAMSONOV
LA CASA DI SAMSONOV
La casa era
vecchia, cupa, molto spaziosa, a due piani, con dipendenze e un'ala annessa. Al
piano inferiore vivevano i due figli sposati di Samsonov con le loro famiglie,
l'anziana sorella e una figlia zitella. Nella dipendenza erano sistemati i suoi
due commessi, uno dei quali con famiglia numerosa. Sia i figli sia i commessi
stavano molto stretti nelle loro abitazioni, eppure il vecchio riservava a sé
tutto il piano superiore della casa e non permetteva neanche alla figlia, che
lo accudiva, di vivere con lui, tanto che quella era costretta a correre su da
lui a orari prestabiliti e ogni volta che il padre la chiamava, nonostante la
sua asma di vecchia data.
Il piano superiore constava di una moltitudine di
grandi camere di rappresentanza
arredate secondo
il vecchio stile dei mercanti, con lunghe e monotone file di sgraziate sedie e
poltroncine di mogano lungo le pareti, lampadari di cristallo ricoperti da
fodere, e cupi specchi alle pareti fra le finestre. Tutte quelle stanze
rimanevano completamente vuote e disabitate, poiché il vecchio malato si era
ormai ridotto in un'unica stanza, la sua piccola e remota stanza da letto, dove
era servito da una vecchia cameriera, con i capelli raccolti sotto un
fazzoletto, e da un "garzone" che di solito sedeva su una panca
dell'ingresso. Il vecchio non era quasi più in grado di camminare a causa del
gonfiore alle gambe, solo di rado si alzava dalla sua poltrona di pelle, e la
vecchia che lo sorreggeva sotto braccio lo accompagnava su e giù per la stanza
CASA DI GRUSHENKA
CASA DI GRUSHENKA
Grušen'ka viveva
nella zona più animata della città, nei pressi della piazza della Cattedrale,
in casa della vedova del mercante Morozov, da cui aveva preso in affitto una
piccola dipendenza in legno che dava sul cortile.
La casa dei
Morozov invece era grande, in muratura, a due piani, vecchia e d'aspetto
oltremodo sgradevole; ci viveva la padrona di casa, una vecchia signora, che
conduceva vita isolata insieme a due nipoti, anch'esse zitelle molto avanti
negli anni.
La vedova non
aveva necessità di affittare la dipendenza, ma era noto a tutti che aveva
accettato di prendere Grušen'ka come inquilina (quattro anni prima) solo per
far piacere al mercante Samsonov, suo parente, generalmente riconosciuto come
protettore di Grušen'ka.
Si diceva che nel
sistemare la sua "favorita" dalla Morozova, lo scopo primario del
vecchio geloso fosse stato quello di far sorvegliare la condotta della nuova
inquilina dall'occhio vigile della vecchia. Ma l'occhio vigile di questa si era
ben presto rivelato completamente inutile ed era andata a finire che la
Morozova si vedeva molto di rado con Grušen'ka e non la importunava più con
alcun tipo di sorveglianza.
Grušen'ka viveva
molto modestamente e la sua casa era tutt'altro che lussuosa.
Nella dipendenza
occupava tre camere in tutto, arredate dalla padrona di casa con mobili in
mogano, secondo lo stile degli anni '20.
Quando Rakitin e
Alëša entrarono in casa sua, il crepuscolo era già avanzato, ma le camere non
erano ancora illuminate.
Grušen'ka era in
salotto, sdraiata su un ampio e sgraziato divano con lo schienale in mogano,
duro e rivestito di un cuoio logoro e bucato da tempo. Poggiava il capo su due
cuscini bianchi e soffici che aveva preso dal letto. Stava sdraiata supina,
immobile, con le braccia sotto il capo.
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