domenica 4 luglio 2021

IVAN ALL'OSTERIA: CONFESSIONI SU VITA, AMORE, DIO





 OSPITALITA'


«Ti ordino una zuppa di pesce oppure quello che vuoi, non vivrai mica di solo tè», 

gridò Ivan che sembrava al settimo cielo per aver invitato Alëša. 

Quanto a lui, aveva già finito di pranzare e stava bevendo il tè. 

 «Vada per la zuppa di pesce e vada anche per il tè; ho davvero appetito», disse allegramente Alëša. 

 «E la marmellata di amarene? Qui ce l'hanno. Ti ricordi che da piccoli dai Polenov ti piaceva tanto la marmellata di amarene?» 

 «Te lo ricordi? Vada anche per la marmellata, mi piace molto anche adesso». 

 Ivan chiamò il cameriere e ordinò zuppa di pesce, tè e marmellata. 

 «Ricordo tutto, Alëša, ti ricordo fino all'età di undici anni, allora io ne avevo quindici. Quindici e undici anni: a quell'età, quando c'è una simile differenza d'anni, i fratelli non sono mai amici. Non so neanche se provavo dell'affetto per te. Dopo la mia partenza per Mosca, per i primi anni non ti ho mai pensato. Poi, quando sei venuto a Mosca anche tu, ci siamo incontrati una volta sola, credo, da qualche parte. Invece adesso sono quasi quattro mesi che vivo qui e fino ad ora io e te non abbiamo scambiato una parola. 

Domani partirò e mentre me ne stavo seduto qui, mi domandavo come avrei fatto ad incontrarti per salutarti, quand'ecco che ti ho visto passare». 

 «Avevi davvero voglia di vedermi?» 

 «Tanta, voglio conoscerti una volta per sempre e voglio che anche tu conosca me. Dopo di che, ci diremo addio. Credo che sia la cosa migliore fare amicizia prima di separarsi. Ho notato come mi guardavi in questi tre mesi, nei tuoi occhi si leggeva una sorta di attesa incessante e questo io non lo sopporto, ecco perché sono rimasto sulle mie. Ma alla fine ho imparato a stimarti, ho pensato "questo piccolo uomo sa tenere duro". Bada che sebbene stia ridendo, sto parlando seriamente. Non è forse vero che sai tenere duro? Io amo le persone ferme, qualunque sia l'oggetto della loro fermezza, anche se sono dei marmocchi come te. Il tuo sguardo d'attesa ha finito per non darmi più fastidio; al contrario, ho cominciato ad amarlo, quel tuo sguardo d'attesa...Mi sembra che, chissà perché, tu mi voglia bene, vero Alëša?» 

 «Ti voglio bene, Ivan. Il fratello Dmitrij dice di te: "Ivan è una tomba"

Io dico di te: "Ivan è un enigma"

Anche in questo momento sei un enigma per me, ma qualcosa comincio a capirla in te, anche se soltanto da questa mattina!» 

 «Che cosa intendi dire?», scoppiò a ridere Ivan. «Non ti arrabbierai, vero?», scoppiò a ridere anche Alëša. «Allora?» «Ho capito che sei un giovane di ventitré anni come tutti gli altri della tua età, sei un ragazzo giovane, ingenuo, fresco e simpatico, uno sbarbatello insomma! Non ti avrò mica offeso troppo, vero?»


AMORE PER LA VITA


«Al contrario, sono colpito dalla coincidenza!», esclamò Ivan con allegria e calore. «Ci credi che dopo il nostro incontro di ieri a casa di lei, non ho fatto altro che pensare a questa mia sbarbatellaggine da ventitreenne, e tu ad un tratto hai come indovinato i miei pensieri e hai esordito proprio con questo. 

Sedevo qui poco fa e pensavo di me stesso: anche se non credessi nella vita, anche se avessi perso la fiducia nella donna che amo, se avessi perso la fiducia nell'ordine delle cose e mi fossi invece convinto che tutto è disordine, dannazione e, addirittura, diabolico caos, se fossi rimasto colpito da tutti gli orrori della delusione umana, tuttavia continuerei a desiderare di vivere e, dal momento che ho assaporato questo calice, non mi staccherò da esso fino a quando non avrò bevuto fino all'ultima goccia! Del resto, all'età di trent'anni potrei pure gettare questo calice, decidere di non bere fino all'ultima goccia e andare via... dove, non so. Ma fino ai trent'anni, questo lo so per certo, la mia giovinezza sconfiggerà tutto il resto: tutte le delusioni, tutta la repulsione per la vita.

SETE DI VIVERE 

Mi sono domandato molte volte: esiste sulla terra una disperazione che possa sopraffare in me questa frenetica e, forse, sconveniente sete di vivere? E ho concluso che, a quanto pare, non esiste, cioè, torno a ripeterlo, almeno fino all'età di trent'anni; allora forse sarò io stesso a perdere la voglia, almeno così credo. Alcuni moralisti tisici e mocciosi - i poeti soprattutto - spesso definiscono gretta questa voglia di vivere. Questa sete di vivere è, in parte, una caratteristica dei Karamazov, questo lo so, e, nonostante tutto, essa esiste anche in te, sono sicuro, ma perché poi dovrebbe essere gretta? La forza centripeta sul nostro pianeta è ancora terribilmente forte, Alëša. 

Ho voglia di vivere e vivo, anche a dispetto della logica. Sebbene io possa non credere nell'ordine delle cose, tuttavia amo le foglioline vischiose che si dischiudono in primavera, amo il cielo azzurro, amo alcune persone che a volte si amano senza sapere esattamente il perché - ci crederesti? - amo alcune grandi imprese umane, sebbene da un pezzo abbia cessato di credere in esse, eppure per una vecchia abitudine le ammiro con tutto il cuore. 

Ecco, ti hanno portato la zuppa, mangiala, ti farà bene. È ottima, qui la sanno fare bene. Voglio girare l'Europa, Alëša, una volta partito di qui; eppure mi rendo conto di recarmi soltanto in un cimitero, nel più prezioso dei cimiteri, ecco cos'è! Valorosi sono i defunti ivi sepolti, ogni pietra sopra di essi parla di una vita così fervida in passato, di una fede così appassionata nelle proprie azioni, nella propria verità, nella propria lotta e nella propria scienza che io, lo so già, cadrò per terra e bacerò quelle pietre e piangerò su di esse - sebbene, in cuor mio, io sia convinto che quello, da molto tempo ormai, non è altro che un cimitero, niente di più. E non piangerò di disperazione, ma solo perché sarò felice di versare le mie lacrime. Mi inebrierò della mia stessa commozione. 

Io amo le vischiose foglioline primaverili, il cielo azzurro, ecco cosa ti dico! Qui non c'entrano l'intelligenza, la logica, questo è amare dal proprio intimo, dalle viscere, amare la forza della propria giovinezza... Ci hai capito niente di questo mio farneticare, eh, Alëša?», scoppiò a ridere Ivan all'improvviso. 

 «Capisco benissimo: "amare dal proprio intimo, dalle viscere", hai detto benissimo, sono felice che tu abbia tanta voglia di vivere», esclamò Alëša. «Penso che tutti al mondo debbano amare la vita sopra ogni cosa». 

  «Amare la vita più che il significato di essa?» 

«Proprio così, amarla a dispetto della logica, come hai detto tu, necessariamente a dispetto della logica; soltanto allora ne coglierai anche il significato. È da un pezzo che ci penso ormai. Metà del tuo lavoro l'hai concluso, Ivan, l'hai portato a termine: tu ami la vita. Adesso devi cercare di portare a termine la seconda metà e sarai salvo». 

 «Stai cercando di salvarmi, ma forse non sono perduto! E cosa intendi con la tua seconda metà del lavoro?» 

 «Devi cercare di fare resuscitare i tuoi morti che forse non sono mai veramente morti. Adesso, fammi bere il tè. Sono così contento della nostra chiacchierata, Ivan».

IL CUSTODE DI MIO FRATELLO?

 «Che ne sarà di Dmitrij e nostro padre? Come finirà tutto questo?», domandò Alëša allarmato. «Ma tu ripeti sempre la stessa cosa? Che ci posso fare io? Sono forse il custode di mio fratello Dmitrij?», fece per tagliar corto Ivan irritato, ma di colpo sorrise amaramente. «È la risposta che Caino dette a Dio dopo aver ucciso il fratello, vero? È questo che stai pensando in questo istante? No, al diavolo, non posso mica restare qua a fare il loro custode! Ho concluso i miei affari e me ne vado. Non penserai che sia geloso di Dmitrij, che in questi tre mesi non ho fatto che tentare di soffiargli la sua bella, Katerina Ivanovna. Eh, no, io avevo i miei affari da curare. 


KATERINA E L'AMORE


«Alludi a quello che è accaduto da Katerina Ivanovna?»

 «Sì, mi sono sciolto da lei una volta per tutte. E poi, che cosa posso farci con Dmitrij? Dmitrij qui non c'entra. Avevo soltanto delle questioni personali con Katerina Ivanovna. Anzi, sai bene anche tu che Dmitrij si è comportato come se ci fosse stato un complotto tra lui e me. Io non gli ho chiesto mica niente e lui invece me l'ha passata solennemente, con la sua benedizione. È tutto così ridicolo. No, Alëša, no, se sapessi come mi sento leggero adesso! 

Me ne stavo seduto qui a pranzo e - ci crederesti? - volevo ordinare dello champagne per festeggiare la mia prima ora di libertà. Accidenti, è durata sei mesi e poi ho gettato via tutto all'improvviso. Soltanto ieri non avrei mai sospettato che non mi sarebbe costato nulla troncare se lo avessi voluto». 

 «Parli del tuo amore, Ivan, vero?» 

 «Amore, se vuoi, sì, mi sono innamorato di una signorina, di una collegiale. Mi sono tormentato per lei e lei ha tormentato me. Mi ero fissato su di lei... e ora è andato tutto all'aria. Ho parlato con ispirazione, stamattina, ma quando sono uscito, sono scoppiato a ridere, ci crederesti? No, proprio così, alla lettera». 

 «Ne parli molto allegramente anche adesso», osservò Alëša, guardando il viso di lui che si era veramente fatto allegro, tutto ad un tratto. 

 «Come potevo immaginare che non l'amavo nemmeno un pochino! Eh,eh! Eppure è risultato proprio così. Eppure mi piaceva moltissimo! Anche poco fa, quando le facevo il mio discorso, lei mi piaceva! E lo sai? Anche adesso mi piace da morire, eppure è così facile separarsi da lei. Pensi che mi stia dando delle arie?» 

 «No, penso solo che forse non era amore». 

 «Alëška», scoppiò a ridere Ivan, «non ti mettere a disquisire sull'amore! Non sta bene che tu lo faccia. 

Questa mattina, come sei saltato su questa mattina, eh? Ho dimenticato di baciarti per quello... Come mi ha tormentato quella lì! In effetti era come assistere a una lacerazione. Oh, lei lo sapeva che io l'amavo! E lei amava me e non Dmitrij», insisteva Ivan gaiamente. 

AMORE E LACERAZIONI

«Dmitrij era soltanto una lacerazione per lei. Tutto ciò che le ho detto questa mattina è la pura verità, ma il peggio è che potrà impiegare quindici, anche vent'anni per scoprire che non ama affatto Dmitrij, ma ama soltanto me, colui che ha tormentato. E forse non lo scoprirà mai, malgrado la lezione che ha avuto oggi. Be', meglio così: mi sono alzato e me ne sono andato per sempre. A proposito, come sta adesso? Che è successo dopo che me ne sono andato?» 

 Alëša gli raccontò della crisi isterica e del fatto che in quel momento, a quanto pareva, era priva di sensi e delirante. «Non sarà mica tutta un'invenzione della signora Chochlakova?» «Pare di no». «Devo accertarmene. Del resto, di crisi isteriche non è mai morto nessuno. Ben vengano le crisi isteriche, Dio le ha concesse alle donne per il loro bene. Io certo non andrò a trovarla. A che pro farmi avanti un'altra volta?» «Eppure stamattina le hai detto che lei non t'ha mai amato». 

 «L'ho detto apposta. Alëška, ordiniamo lo champagne, berremo alla mia libertà. Se sapessi come sono contento!»


IN COSA CREDO

 Per gli altri è diverso, ma noi, che siamo degli sbarbatelli, dobbiamo prima di tutto risolvere le questioni eterne, una volta per tutte. Ecco quello che conta per noi. 

Tutti i giovani russi non fanno che discutere sulle questioni eterne adesso. Soprattutto ora che i vecchi sono alle prese con questioni di ordine pratico. 

Per quale motivo, in tutti questi tre mesi non hai fatto che guardarmi in attesa di qualcosa? Per domandarmi: 

"In che cosa credi, o meglio, c'è qualcosa in cui credi?": ecco a che cosa volevano andare a parare i vostri sguardi di questi tre mesi, signor Aleksej Fëdoroviè, non è vero?» 

 «Forse è così», rispose Alëša sorridendo. «Non ti starai prendendo gioco di me, fratello?» 

 «Io prendermi gioco di te? Non ho nessuna intenzione di amareggiare il mio fratellino che mi ha guardato per tre mesi con uno sguardo trepidante di attesa. 

Alëša, guardami in faccia: io sono esattamente un ragazzino come te, solo che non sono un novizio. 

E che cosa hanno combinato i ragazzi russi fino ad oggi, alcuni di loro, voglio dire? 

Si riuniscono in una trattoria puzzolente come questa, per esempio, e si siedono in un angolo. Non si sono mai incontrati prima in vita loro, e quando usciranno dalla trattoria, non si incontreranno per una quarantina d'anni, e di che cosa vuoi che parlino durante questo momentaneo incontro in trattoria? 

Delle questioni eterne, non di altro: dell'esistenza di Dio e dell'immortalità; e quelli che non credono in Dio, si metteranno a discutere di socialismo, di anarchia, della trasformazione dell'umanità secondo un nuovo modello, vale a dire, in fin dei conti, delle stesse questioni, ma dal punto di vista opposto. 

E masse, intere masse dei più originali ragazzi russi non fanno altro che parlare delle questioni eterne del nostro tempo, nel nostro paese. Non è forse così?» 

 «Sì, per i veri russi le domande sull'esistenza di Dio e sull'immortalità oppure, come hai appena detto, le stesse domande ma poste dal punto di vista opposto, sono questioni primarie, ed è giusto che sia così», disse Alëša guardando il fratello con lo stesso sorriso quieto e interrogativo. 

 «Ecco, Alëša, a volte essere russi è davvero poco intelligente, ma non si può immaginare niente di più stupido del modo in cui i ragazzi russi passano il loro tempo. Però c'è un ragazzo russo che si chiama Alëška, al quale voglio bene con tutto il cuore». 

 «Ci sei arrivato in maniera deliziosa», commentò Alëša ridendo. «Be', da che cosa cominciamo, decidi tu: dall'esistenza di Dio? Dio esiste oppure no?» 

 «Da quello che vuoi, "anche dal punto di vista opposto". Ieri, a casa di nostro padre, hai dichiarato che Dio non esiste», e Alëša fissò il suo sguardo indagatore dritto sul fratello. 

 «Ieri da nostro padre ti ho voluto stuzzicare di proposito e ho visto come ti brillavano gli occhi. Ma ora non ho nessuna remora a parlarne con te e lo dico molto seriamente. Io voglio diventarti amico, Alëša, perché amici non ne ho mai avuti e voglio provare che cosa vuol dire. Be', immagina per un attimo, che io ammetta l'esistenza di Dio», scoppiò a ridere Ivan, «sarebbe una sorpresa per te, non è vero?» 

 «Naturalmente sì, sempre che tu non stia scherzando». 

 «Scherzare? Ieri, nella cella dello starec, qualcuno mi ha detto che stavo scherzando. 

VOLTAIRE

Vedi, caro, c'era un vecchio peccatore del diciottesimo secolo, il quale dichiarò che se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo, s'il n'existait pas Dieu il faudrait l'inventer. E l'uomo ha davvero inventato Dio. E ciò che è strano, ciò che dovrebbe destare stupore, non è che Dio possa esistere veramente, ma che questa idea, l'idea della necessità di Dio, abbia potuto infiltrarsi nella mente di un animale così selvaggio e cattivo come l'uomo - a tal punto è santa, commovente e saggia questa idea, a tal punto essa fa onore all'uomo. Per quanto riguarda me, ho smesso da un pezzo di pormi la domanda se è stato Dio a creare l'uomo o l'uomo a creare Dio. E non starò qui a prendere in esame tutti gli assiomi che a questo proposito hanno formulato i ragazzi russi di oggi, tutti per altro tratti da ipotesi europee; perché ciò che per gli altri è un'ipotesi, per il ragazzo russo diventa subito un assioma, e non soltanto per i ragazzi, ma anche forse per alcuni loro professori, dal momento che i professori russi sono molto spesso dei ragazzi pure loro. E quindi ometterò tutte le ipotesi. 

QUALE COMPITO

Qual è dunque il compito che abbiamo dinanzi, io e te? Io sto cercando di spiegarti,il più rapidamente possibile, la mia natura, cioè che uomo sono, in che cosa credo, che cosa spero, è questo, non è vero? 

E quindi ti dico che accetto Dio semplicemente, direttamente. Ma ecco, quello che dobbiamo notare: se Dio esiste e se è stato davvero lui a creare la terra, allora l'ha creata, come sappiamo tutti, secondo la geometria di Euclide, e ha creato la mente umana con la concezione delle sole tre dimensioni spaziali. Eppure ci sono stati, e ci sono ancora, matematici e filosofi, e anche fra i più illustri, che mettono in dubbio che il mondo, o per dirla in termini più ampi, l'universo sia stato creato unicamente in conformità alla geometria euclidea; osano persino ipotizzare che due linee parallele, che secondo la geometria euclidea non possono incontrarsi mai, possano in realtà incontrarsi in qualche punto dell'infinito. Io, fratellino caro, sono giunto alla conclusione che, se non riesco a capire nemmeno questo, come posso aspettarmi di comprendere l'idea di Dio? Riconosco umilmente di non avere le capacità necessarie per risolvere tali questioni, ho una mente euclidea, terrena, come faccio dunque a risolvere problemi che non sono di questo mondo? 

E consiglio anche a te di non pensarci mai, caro Alëša, soprattutto riguardo all'esistenza di Dio. Tutte queste domande sono del tutto fuori luogo per una mente creata con la concezione di uno spazio puramente tridimensionale. 

E quindi accetto Dio, e ne sono pure contento e, quel che più conta, accetto la sua saggezza, il suo fine, assolutamente imperscrutabile per la nostra mente; credo nell'ordine, nel significato della vita, credo nell'armonia eterna nella quale un giorno, dicono, ci dovremo fonder tutti, credo nel Verbo al quale aspira l'universo intero, il Verbo che era "presso Dio" e che era Dio e così via all'infinito. Sono state formulate molte espressioni a riguardo. Pare che io sia sulla buona strada, vero?

RIBELLIONE A QUESTO MONDO CREATO

Eppure, pensa un po', alla fine dei conti io non accetto affatto questo mondo creato da Dio, non lo accetto e anche se so che esso esiste, non lo approvo per niente. 

Non è che io non creda a Dio, cerca di capirmi, è il mondo che egli ha creato, il mondo di Dio che io non accetto e non posso accettare. Lasciami spiegare meglio: io credo, come un bambino, che le sofferenze saranno lenite e ricompensate, che tutta l'umiliante assurdità delle contraddizioni umane svanirà come un miraggio pietoso, come il prodotto deplorevole di una mente umana euclidea impotente e infinitamente piccola, come l'atomo; che in ultimo, alla fine del mondo, nel momento dell'armonia eterna, apparirà qualcosa di così prezioso che sarà sufficiente per tutti i cuori, di conforto a tutti i risentimenti, di riscatto per tutti i misfatti degli uomini, per tutto il sangue da essi versato, che renderà possibile non solo a tutti di perdonare tutto, ma anche di giustificare tutto quello che è accaduto agli uomini - sì, che tutto questo accada e si riveli, ma io non lo accetto e non lo voglio accettare! 

Che si incontrino pure le parallele, anche davanti ai miei occhi: vedrò e dirò che si sono incontrate, eppure non lo accetterò. Ecco qual è il mio essere, Alëša, ecco la mia tesi. 

 Ti ho parlato sinceramente. Ho cominciato apposta questa nostra conversazione nella maniera più stupida che si potesse immaginare, ma questo ha condotto alla mia confessione ed era questo che tu volevi. Tu non volevi sapere se credo o no in Dio, volevi solo scoprire di che vive il fratello che tu ami. Eccoti servito». 

 Ivan concluse questa sua lunga tirata con un fervore inatteso e del tutto particolare. 

 «E perché hai iniziato nella maniera più stupida che si potesse immaginare?», domandò Alëša, guardandolo pensieroso. 

 «Prima di tutto perché sono russo: le conversazioni dei russi su questi argomenti vengono sempre condotte nella maniera più stupida che si possa immaginare. 

In secondo luogo, più stupido sei, più sei vicino alla realtà. Quanto più stupido sei, più sei chiaro. La stupidità è breve e ingenua, mentre l'intelligenza si perde intorno all'argomento e si nasconde. L'intelletto è vile, mentre la stupidità è schietta e sincera. Ho condotto la discussione sulla mia disperazione e quanto più stupidamente l'ho presentata tanto meglio per me». 

 «Spiegami, se non è un segreto, per quale motivo "non accetti il mondo"?», disse Alëša. 

 «Certo che te lo spiego, non è un segreto, proprio a questo volevo andare a parare. Caro fratellino, non voglio affatto corromperti e allontanarti dalla tua roccaforte, anzi forse voglio farmi curare da te», 

disse Ivan sorridendo all'improvviso come un dolce ragazzino. 

Alëša non lo aveva mai visto sorridere in quel modo prima di allora.