mercoledì 29 settembre 2021

IL DIAVOLO DI IVAN


 






Sembrava che qualcuno fosse seduto lì, penetrato Dio solo sa come, perché prima non c'era, quando Ivan Fëdoroviè, di ritorno da Smerdjakov, era entrato nella stanza. Si trattava di un certo signore o, per meglio dire, di un gentiluomo russo di un genere particolare, non più giovane, qui frisait la cinquantaine, come dicono i francesi, con una leggera brizzolatura sui capelli scuri piuttosto lunghi e folti, e la corta barbetta a punta. Indossava una giacca color marroncino, chiaramente di ottima fattura, ma piuttosto lisa, cucita secondo lo stile di tre anni addietro e ormai del tutto fuori moda, di quelle che la gente abbiente ed elegante non indossava più da almeno due anni. La biancheria, la cravatta lunga a mo' di sciarpa erano di quelle che portano tutti i gentiluomini eleganti, ma la biancheria, a un'osservazione più attenta, era piuttosto sporchina e la larga sciarpa molto logora. I pantaloni a quadri dell'ospite gli cadevano magnificamente, ma, ancora una volta, erano troppo chiari e un pochino troppo attillati, di quelli che adesso non si portano più, come del resto anche il morbido cappello di pelo bianco che l'ospite si portava dietro del tutto fuori stagione. Insomma, era il ritratto del decoro associato a mezzi economici estremamente scarsi. Si sarebbe detto che il gentiluomo appartenesse al novero di quei possidenti oziosi che prosperavano ai tempi della servitù della gleba; sicuramente uno che aveva fatto parte del bel mondo e della crema della società, aveva avuto buone conoscenze, che tuttora forse conservava, ma che si era gradualmente impoverito, dopo una giovinezza spensierata e l'abolizione della servitù, per finire con il diventare una specie di parassita di bon ton, che girovagava da un vecchio conoscente all'altro, accolto per il suo carattere socievole e accomodante e anche in considerazione del fatto che si trattava pur sempre di un uomo dabbene che faceva anche comodo ammettere alla propria tavola, seppure, ovviamente, in un posto modesto. Questi parassiti, gentiluomini dal carattere accomodante, in grado di raccontare storielle, giocare una partita a carte, e con una netta avversione per qualunque tipo di incarico si voglia ad essi imporre, di solito sono creature solitarie, scapoli o vedovi, e, se hanno figli, questi sono puntualmente allevati da qualche parte, lontano, da qualche zia che non menzionano mai nella buona società, quasi si vergognassero di una tale parentela. Essi perdono gradualmente di vista i figli, sebbene di tanto in tanto ricevano da loro una lettera d'augurio per l'onomastico o per Natale, alla quale qualche volta si preoccupano pure di rispondere. La fisionomia dell'ospite inatteso non era tanto bonaria quanto, ancora una volta, accomodante e disponibile ad assumere un'espressione amabile qualsiasi, a seconda dell'occorrenza. Non portava orologio, ma aveva un occhialino di tartaruga appeso a un nastro nero. Al dito medio della mano destra faceva bella mostra di sé un massiccio anello d'oro ornato di un opale di scarso valore. Ivan Fëdoroviè taceva incollerito e non voleva dare inizio alla conversazione. L'ospite aspettava e stava seduto esattamente come un parassita appena sceso dalla camera assegnatagli per fare compagnia al padrone di casa per il tè, e che mantiene un discreto silenzio nel vedere che questi è impegnato e arcignamente pensieroso, pronto tuttavia a intraprendere un'affabile conversazione non appena il padrone di casa ne abbia voglia.

mercoledì 22 settembre 2021

KOLIA RACCONTA LA STORIA DI ZUCKA

 

LIBRO DECIMO-CAPITOLO QUARTO

ZUCKA







 [...]

Ditemi: è vostro questo cane?» «È mio. Si chiama Perezvon». «E non Žuèka?», Alëša guardò Kolja negli occhi con un'espressione piena di compassione. «Quello è proprio sparito nel nulla?» «So che tutti vorreste che fosse Žuèka, ho sentito tutto», e Kolja sorrise con un'aria enigmatica. «Ascoltate, Karamazov, vi spiegherò ogni cosa, per questo sono venuto e per questo vi ho fatto chiamare, per spiegarvi l'intero episodio prima di entrare», prese a dire animato. «Vedete, Karamazov, Iljuša è entrato nella classe preparatoria in primavera. Be', si sa come sono da noi le classi preparatorie: tutti ragazzini, mocciosi. Cominciarono subito a stuzzicarlo. Io sono due classi più avanti e, s'intende, guardavo il tutto da lontano, restando in disparte. Vedevo che il ragazzo era piccolo, deboluccio, ma non si sottometteva, si prendeva persino a botte con loro, tutto orgoglioso, con gli occhietti in fiamme. Mi piacciono molto i tipi così. Ma quelli lo trattavano ancora peggio. Il peggio era che allora aveva un orribile cappottuccio, dei pantaloncini che gli andavano corti e gli stivaletti con i buchi, e quelli lo stuzzicavano pure per questo. Lo umiliavano. No, io queste cose non le sopporto, intervenni immediatamente e detti loro una bella strapazzata. Io li picchio e quelli mi adorano, lo sapevate questo, Karamazov?» si vantò impulsivamente Kolja. «E poi in generale i mocciosi mi piacciono. Anche a casa ho sul groppone due uccellini che oggi mi hanno persino fatto fare tardi. Così, smisero di picchiare Iljuša e io lo presi sotto la mia protezione. Vedevo che era un ragazzino orgoglioso, ve l'ho già detto che è orgoglioso, ma andò a finire che divenne servilmente devoto nei miei confronti, eseguiva tutti i miei ordini, mi stava ad ascoltare come fossi Dio in terra, cercava di emularmi. Durante gli intervalli fra le lezioni correva sempre da me e ce ne andavamo insieme. E anche di domenica. Da noi a scuola, ridono quando un ragazzo grande stringe amicizia con uno più piccolo, ma è solo un pregiudizio. Mi andava di fare così e basta, non è giusto? Gli insegnavo, lo facevo crescere, perché non avrei dovuto farlo, se mi piaceva? Ecco: voi, per esempio, Karamazov, frequentate tutti quei piccoletti, vuol dire che volete influenzare la giovane generazione, volete aiutarla a crescere, essere utile? E devo ammettere che questo lato del vostro carattere, del quale sono venuto a conoscenza per sentito dire, è quello che mi ha interessato di più in voi. Ma passiamo ai fatti: mi accorgevo che nel ragazzo si stava sviluppando una certa sensibilità, una vena sentimentale, mentre io, vedete, sono sempre stato contrario a queste smancerie, sin dalla nascita. C'erano pure delle contraddizioni in lui: era orgoglioso, ma servilmente devoto nei miei confronti - servilmente devoto, ma poi, a volte, gli lampeggiavano gli occhietti e non voleva mai darmi ragione, litigava, usciva dai gangheri. Certe volte gli esponevo delle idee: non che fosse contrario a quelle idee, ma mi accorgevo semplicemente che era in rivolta contro di me, perché alle sue tenerezze io rispondevo con la freddezza. E così, al fine di addestrarlo nella maniera giusta, più tenero diventava lui, più freddo mi facevo io, lo facevo apposta, ero convinto di agire per il meglio. Intendevo forgiare il suo carattere, smussarlo, farne un uomo... insomma... voi mi capite al volo, credo. All'improvviso notai che per un giorno e poi un altro e poi un terzo, egli era turbato, triste, ma non per le tenerezze, per qualcos'altro di più grave, di superiore. Mi domandavo, ma che tragedia sarà mai questa? Lo costrinsi a parlare e venni a scoprire di che si trattava: in qualche modo egli aveva fatto conoscenza con Smerdjakov, il lacchè del vostro defunto padre (che a quel tempo era ancora fra i vivi) e quello, imbecille, gli aveva insegnato uno stupido scherzo, uno scherzo cattivo, brutale: prendere un pezzetto di pane, la mollica del pane, infilarci dentro uno spillo e gettarlo a qualche cane da cortile, di quelli che per fame ingoiano tutto senza masticare, e stare a vedere che cosa succede. Così prepararono un pezzo di pane in quella maniera e lo gettarono proprio a Žuèka, quel cane irsuto sul quale si fa tanto chiasso adesso, un cane da guardia di una casa dove semplicemente non gli davano mai da mangiare e il cane non faceva che abbaiare tutto il giorno. (A voi piace questo stupido abbaiare, Karamazov? Io non lo sopporto.) E così il cane si precipitò sul pezzo di pane, lo ingoiò e cominciò a guaire, a roteare, a correre, correva e guaiva e poi scomparve, è stato Iljuša stesso a raccontarmelo. Mi confessò questo e mentre lo faceva, piangeva, piangeva, mi abbracciava, tremava: "Correva e guaiva, correva e guaiva", non faceva che ripetere, questa immagine gli era rimasta molto impressa. Vedevo che era sopraffatto dai rimorsi di coscienza. Io la presi seriamente. Volevo soprattutto dargli una lezione anche per le altre cose che aveva combinato in passato e così, lo confesso, feci il furbo e finsi di essere molto più indignato di quello che ero veramente: "Tu hai commesso un'azione abietta, sei un mascalzone, io certo non lo dirò a nessuno, ma per il momento non voglio avere più niente a che fare con te. Ci penserò su e ti farò sapere, attraverso Smurov (quello stesso ragazzo che è venuto con me adesso, e che mi è sempre stato devoto), se in futuro vorrò avere a che fare con te o se ti lascerò perdere per sempre, come si fa con i mascalzoni". Questo lo impressionò terribilmente. Devo confessare che sin da allora intuii di essere stato troppo severo con lui, ma che farci? Quella era la mia idea allora. Il giorno dopo gli mandai Smurov con il messaggio che non gli avrei mai più "rivolto la parola", noi diciamo così quando due compagni rompono ogni rapporto di amicizia. Il segreto era che volevo tenerlo al bando per qualche giorno e poi, preso atto del suo pentimento, tendergli di nuovo la mano. Era mia ferma intenzione fare così. E invece a lui, pensate un po', dopo aver sentito il messaggio di Smurov, gli scintillarono gli occhi. "Riferisci a Krasotkin da parte mia", gridò, "che da adesso in poi getterò i pezzi di pane con gli spilli a tutti i cani, a tutti, a tutti!" "C'è arietta di sommossa, vediamo di soffiarla via!", pensai e cominciai a trattarlo con profondo disprezzo, ogni volta che lo incontravo mi giravo dall'altra parte o sorridevo ironicamente. Quando, all'improvviso, avvenne l'episodio del padre, vi ricordate, quello dello "straccio di stoppa". Capite che allora egli si trovava già predisposto all'esasperazione. I ragazzi, vedendo che io lo avevo abbandonato, si scagliarono contro di lui e lo schernivano: "Straccio! Straccio di stoppa!" E così ebbero inizio le loro scaramucce, per le quali nutro un gran rammarico, perché pare che una volta lo abbiano colpito davvero forte. Una volta lui si gettò solo contro tutti all'uscita da scuola, io quel giorno stavo a una decina di passi di distanza e lo guardavo. E lo giuro, non ricordo di aver riso: al contrario, provai una tale pena per lui che poco mancò che non prendessi le sue difese. Ma lui ad un tratto incrociò il mio sguardo: non so che cosa gli passò per la mente, ma estrasse il temperino, si scagliò contro di me e mi ferì alla coscia, qui sulla gamba destra. Io non mi mossi, non esito a dire che a volte sono molto coraggioso, Karamazov, mi limitai a guardarlo con disprezzo come a dirgli: "Questo è il ringraziamento per tutta la mia amicizia, fallo ancora se ti va, sono a tua disposizione". Ma lui non mi colpì un'altra volta, crollò, si spaventò lui stesso, gettò il temperino, scoppiò a piangere e scappò via. Io chiaramente non feci la spia e ordinai a tutti di tenere la bocca chiusa ché la voce non arrivasse ai superiori; non lo dissi nemmeno a mia madre finché la ferita non fu guarita, e poi era una cosa da nulla, un graffietto. Poi venni a sapere che quello stesso giorno si era preso a sassate con i compagni e vi aveva morso un dito, ma capite in quale stato si trovava! Ma che fare? Mi comportai da stupido: quando si ammalò non andai a perdonarlo, cioè a fare la pace con lui, e adesso me ne pento. Ma a questo punto sono sorte ragioni particolari. E così adesso sapete tutta la storia... solo che credo di aver agito stupidamente...» «Ah, che peccato», esclamò Alëša emozionato, «che non abbia saputo prima dei vostri rapporti, altrimenti sarei venuto di persona da voi a chiedervi di venire a trovarlo insieme a me. Ci credete che con la febbre, nel delirio egli parlava di voi? Io non sapevo nemmeno quanto gli foste caro! Ma veramente non siete riuscito a trovare quel cane, Žuèka? Il padre e tutti i ragazzi lo hanno cercato per tutta la città. Ci credete che malato, fra le lacrime, tre volte in mia presenza ha ripetuto al padre: "È stato per quello che mi sono ammalato, papà, perché ho ucciso Žuèka, Dio mi ha punito per questo". Non riesce a levarsi quel pensiero dalla testa! E se solo si potesse trovare quello Žuèka adesso e gli si dimostrasse che non è morto, ma che è vivo, forse resusciterebbe per la gioia. Noi tutti abbiamo riposto le nostre speranze in voi». «Dite, che cosa vi ha indotto a sperare che avrei trovato Žuèka, cioè che sarei stato proprio io a ritrovarlo?», domandò Kolja estremamente incuriosito. «Perché avete fatto affidamento proprio su di me e non su di un altro?» «Girava voce che voi stavate conducendo delle ricerche e che, una volta trovato il cane, lo avreste riportato. Smurov ha detto qualcosa del genere. Noi, soprattutto, abbiamo cercato di convincere Iljuša che Žuèka fosse vivo e fosse stato visto da qualche parte. I ragazzi gli hanno portato un leprotto vivo che si erano procurati, lui gli ha solo dato uno sguardo, ha sorriso appena appena e ha chiesto che lo lasciassero libero. E così abbiamo fatto. Proprio adesso è tornato a casa suo padre e gli ha portato un cucciolo di mastino che pure si è procurato chissà dove, pensava di consolarlo in questo modo, solo che, pare, abbia peggiorato le cose...»

Perezvon-Zucka




AL LETTUCCIO DI ILIUSHA


 «Smurov, apri la porta!» e quando quello l'ebbe aperta, soffiò nel suo fischietto. Perezvon volò impetuosamente nella stanza. «Salta, Perezvon, sull'attenti! Attenti!», strillava Kolja, balzato in piedi, e il cane, ritto sulle zampe posteriori, si alzò proprio davanti al lettuccio di Iljuša. Avvenne qualcosa di inaspettato: Iljuša trasalì e con tutte le forze che aveva si sporse di scatto in avanti, si piegò verso Perezvon e lo fissava come impietrito. «Questo è... Žuèka!», gridò con la vocetta incrinata dalla sofferenza e dalla felicità. «E chi pensavi, se no?», strillò Krasotkin a squarciagola con la voce squillante e felice e poi, piegandosi verso il cane, lo prese in braccio e lo sollevò verso Iljuša. «Guarda, vecchio mio, vedi? Ha l'occhio guercio, l'orecchio sinistro mozzo: proprio i segni che mi avevi descritto tu. L'ho scovato proprio grazie a quei segni! Lo scovai subito, in quattro e quattr'otto. Non aveva padrone, non aveva nessun padrone!», spiegò voltandosi rapidamente verso il capitano, verso sua moglie, verso Alëša e poi ancora verso Iljuša. «Stava nel cortile sul retro di Fedotov, ma anche se si era stabilito lì, nessuno gli dava da mangiare, era un cane randagio, era scappato via... Ma io l'ho trovato... Vedi, vecchio mio, vuol dire che quella volta non aveva ingoiato il tuo boccone. Se l'avesse inghiottito, sarebbe sicuramente morto, stecchito! Se adesso è vivo vuol dire che fece in tempo a sputarlo. E tu non ti accorgesti che lo aveva sputato. Lo sputò, ma si era comunque punto la lingua: ecco perché guaiva. Correva e guaiva, mentre tu pensavi che l'avesse ingoiato. Doveva guaire molto, perché i cani hanno una pelle molto delicata in bocca... molto più delicata di quella dell'uomo, di gran lunga più delicata!», esclamava impetuosamente Kolja con il viso acceso e raggiante di felicità. Iljuša invece non riusciva a parlare. Egli guardava Kolja con i suoi occhi grandi spalancati, a bocca aperta e pallido come un lenzuolo. Se solo l'ignaro Kolja avesse saputo quale effetto doloroso e deleterio poteva avere un momento simile sulla salute del piccolo malato, non avrebbe mai deciso di escogitare un simile tiro. Ma tra i presenti in quella stanza solo Alëša, forse, era in grado di capirlo. Quanto al capitano, si era trasformato egli stesso in un bambinetto. «Žuèka! Allora questo è Žuèka?», andava gridando con voce estasiata. «Iljušeèka, questo è davvero Žuèka, il tuo Žuèka! Mammina, questo è proprio Žuèka!» A momenti piangeva. «E io che non lo avevo capito!», esclamò Smurov con rimpianto. «Bravo Krasotkin, l'avevo detto che avrebbe trovato Žuèka e l'ha fatto davvero!» «E così l'ha trovato!», commentò con gioia qualcun altro. «Bravo Krasotkin!», risuonò una terza voce. «Bravo, bravo!», gridarono i ragazzi tutti insieme e cominciarono ad applaudire. «Aspettate, aspettate», Krasotkin si sforzava di gridare più forte di tutti. «Vi racconto come è andata la storia, questa è la cosa più importante! Allora, quando lo trovai, me lo portai a casa e lo nascosi subito, lo tenevo chiuso a chiave senza farlo vedere a nessuno sino all'ultimo. Soltanto Smurov lo venne a sapere due settimane fa, ma io gli assicurai che quello era Perezvon e lui non indovinò la verità. Nel frattempo ho insegnato a Žuèka tutti i giochetti, guardate, guardate soltanto che giochetti sa fare! Glieli ho insegnati in maniera da portarti un cane addestrato come si deve, in forma perfetta, vecchio mio, per poterti dire: "Ecco che bel cane è diventato il tuo Žuèka, adesso!" Se aveste un pezzetto di carne vi mostrerebbe subito un giochetto da farvi crepare dal ridere, un po' di carne, non ce l'avreste?» Il capitano si precipitò attraverso l'andito nella parte dell'izba delle padrone di casa, dove anche loro cucinavano le pietanze. Kolja nel frattempo, per non perdere tempo prezioso, con una fretta disperata, gridò a Perezvon: «Fa' il morto!» E quello subito si capovolse, si sdraiò supino e restò immobile con tutte e quattro le zampette in alto. I ragazzi ridevano, Iljuša assisteva allo spettacolo con il sorriso sofferente di prima, ma la persona che apprezzò di più il numero del morto di Perezvon fu la "mammina". Quella proruppe in una risata e si mise a schioccare le dita e a chiamare: «Perezvon, Perezvon!» «Non si alzerà per nulla al mondo, per nulla al mondo», gridava Kolja, con aria di trionfo e giustamente inorgoglito, «con nessun richiamo al mondo, mentre se glielo ordino io, quello scatta all'istante! Ici, Perezvon!» Il cane scattò in piedi e si mise a saltare con guaiti di gioia. Il capitano arrivò di corsa nella stanza con il pezzo di carne lessa. «Non scotta?», si informò Kolja prendendo il pezzetto di carne con aria pratica ed esperta. «No, non scotta, ai cani non piace il cibo che scotta. Guardate tutti, guarda Iljušeèka, guarda vecchio mio, ma perché non guardi? Adesso che gliel'ho portato non lo guarda nemmeno!» Il nuovo giochetto consisteva nel far restare immobile il cane e mettergli l'allettante bocconcino di carne proprio sopra il naso proteso. Il povero cane doveva rimanere immobile con il pezzo di carne sul naso fino a nuovo ordine del padrone, senza muoversi di un millimetro, anche per mezz'ora. Ma Perezvon fu trattenuto solo per qualche minuto. «Piglialo!», gridò Kolja e il boccone passò in men che non si dica dal naso alla bocca di Perezvon. Il pubblico, naturalmente, ebbe espressioni di stupore estasiato. «E voi avreste aspettato tanto a venire solo per addestrare il cane!», esclamò Alëša con un involontario tono di rimprovero. «Proprio per questo», ribatté Kolja con la massima ingenuità. «Volevo farglielo vedere al massimo del suo splendore!» «Perezvon, Perezvon!», e Iljuša chiamò a sé il cane, schioccando le sue magre ditina. «Ma che fai? Deve essere lui a saltare sul letto. Ici, Perezvon!», Kolja dette dei colpetti sul letto con il palmo della mano e Perezvon sfrecciò dritto da Iljuša. Quello gli gettò le braccia al collo e Perezvon per tutta risposta gli leccò una guancia. Iljušeèka si strinse al cane, si allungò nel letto e nascose il viso nel suo pelo ispido.

[...]




martedì 21 settembre 2021

RAGAZZI - SCREEN SHOT

RAGAZZI Boys (RussianМальчики) UN FILM RUSSO DEL  1990 diretto da Yuri Grigoryev and Renata Grigoryeva.

Dmitriy Chernigovskiy è l'attore che interpreta Alesa.
































venerdì 10 settembre 2021

LETTERA 437- AGOSTO 1880: COME LAVORA

 




437 

A K.P. Pobedonoscev 

16 agosto 1880, Staraja Russa

Staraja Russa 16 agosto/80.

Stimatissimo e gentilissimo Konstantin Petrovič. Vi ringrazio di tutto cuore per la Vostra gentile, magnifica e incoraggiante lettera. Dico proprio incoraggiante perché come uomo ho sempre bisogno dell'incoraggiamento di coloro nei quali ho fiducia, e di cui stimo profon damente l'intelletto e le idee. Ogni volta che scrivo qualcosa e la mando in stampa, mi sembra di cadere in uno stato febbrile. Non che non creda in quello che scrivo, ma c'è sempre una domanda che mi angoscia: come la prenderanno? Avranno intenzione di cogliere l'essenza della questione? Non farò più danno che bene a pubblicare le mie più recondite convinzio ni? Tanto più che sono sempre costretto a esprimere certe idee soltanto per sommi capi, quando invece richiederebbero un maggiore sviluppo e argo mentazioni. Il parere di persone come Voi mi è perciò di grande supporto.


Significa che non ho sbagliato tutto, significa che mi hanno capito coloro dei quali ho a cuore l'intelletto e il giudizio spassionato, e perciò la fatica non è stata vana.

Ve lo dico con franchezza: sto per terminare i Karamazov. Quest'ulti ma parte, lo vedo e sento da me, è così originale e diversa da come scrivo no gli altri, che non mi aspetto alcuna approvazione da parte della nostra critica. Il pubblico, i lettori sono un'altra storia: mi hanno sempre sostenu to. Vi sarei estremamente riconoscente se poneste attenzione a quanto ver rà pubblicato nel fascicolo di agosto di Russkij vestnik (che al momento è ancora in fase di stampa) e poi di settembre, in cui terminerà la 4ª e ultima parte dei Karamazov. Nel libro di settembre ci sarà il processo, procuratori e avvocati - tutto verrà presentato sotto una luce particolare.

Rompendo gli indugi, ho deciso che il prossimo anno pubblicherò il Diario di uno scrittore. L'«unico fascicolo di quest'anno» ha avuto un suc cesso inconfutabile di pubblico: in tre giorni sono andate a ruba 3000 copie nella sola Pietroburgo, e io ne ho stampate in tutto 4200 copie. Mi sa che mi toccherà fare una ristampa. Mia moglie mi ha riferito con quale gentilez za l'avete accolta. Vi ringrazio per avermi spedito il «Diario di Varsavia».9 alla fin fine Leont'ev è un po' un eretico - non trovate? A ogni modo Ve ne parlerò di persona quando mi trasferirò a Pietroburgo alla fine di settem bre, nei suoi giudizi ci sono molte curiosità. Vogliate accettare, stimatissi mo Konstantin Petrovič, non solo l'attestato dei miei più sinceri sentimenti, ma della profonda e splendente speranza del bene che tutti, e non io solo, ci

attendiamo dalla Vostra nuova bellissima attività. Il Vostro seguace e ammiratore

F. Dostoevskij.

1880-1881

1327

LETTERE 439/440- AGOSTO 1880: LIBRO DODICESIMO






439 A I.S. Aksakov 28 agosto 1880, Staraja Russa

Staraja Russa. 28 agosto/80.

Caro e stimatissimo Ivan Sergeevič, .......

 Non ci crederete fino a che punto sono occupato, giorno e notte, come ai lavori forzati! E cioè: sto terminando i Karamazov, di conseguenza, sto tirando le fila dell'opera, a cui - io, almeno - tengo molto, perché ci ho messo molto di me e di mio. Lavoro già per indole nervosamente, in preda all'ansia e all'agitazione. Quando il lavoro è intenso, mi ammalo anche fisicamente. Ora si tirano le fila di quello che è stato rimuginato, costruito, annotato per 3 anni. Bisogna farlo bene, almeno per quanto ne sono capace. Lavorare per soldi e pure in fretta e furia non lo capisco proprio. È però venuto il momen to di chiudere senza tirarla per le lunghe. Che ci crediate o no, nonostante lo stia scrivendo da tre anni, faccio un capitolo, poi lo scarto, poi lo riscrivo an cora e ancora. Soltanto i passaggi più ispirati vengono in una volta sola, d'un fiato, il resto è un lavoro estenuante. Ecco perché ora, al momento, nonostante l'ardente desideri non posso scrivervi.....



 440 

A N.A. Ljubimov 8 settembre 1880, Staraja Russa

Staraja Russa. 8 settembre/80.

Egregio signore stimatissimo Nikolaj Alekseevič, per quanto mi sia sforzato di terminare e mandarvi il dodicesimo e ultimo libro dei Karamazov per stamparlo tutto in una volta, mi sono reso con to alla fine che non mi è possibile. L'ho interrotto in un punto in cui il rac conto può, in effetti, assomigliare a qualcosa di concluso (anche se, forse, non così spettacolare), e la trama, tra l'altro, è temporaneamente interrot ta. È «Il processo». Non penso di aver commesso degli errori tecnici nel racconto: quand'ero ancora a Pietroburgo, avevo consultato in via precau zionale due procuratori. Ho interrotto il racconto all'intervallo, prima dei «Dibattimenti giudiziari». 


Restano i discorsi del procuratore e dell'avvoca to difensore e qui bisogna dare il meglio, tanto più che sia l'avvocato sia il procuratore sono, in parte, tipi presenti nei tribunali di oggi (anche se non mi sono ispirato a qualcuno in particolare), con il loro liberalismo, la lo ro moralità e la concezione del proprio compito. In questo momento mi sto dedicando proprio a questi due discorsi che, insieme alla <<sentenza»>, concludono l'ultima, dodicesima, parte del romanzo. 

Resta l'«Epilogo», di 1 foglio e 1/2. Ma ho la ferma intenzione e il desiderio di terminare e dare in stampa la fine della 4ª parte insieme all'«Epilogo».0¹ Finirà nel fascicolo di ottobre di Russkij vestnik, per adesso invio, per quello di settembre, sol tanto una parte del dodicesimo libro (la più lunga, in effetti), 5 capitoli. Sa rà all'incirca di 3 fogli (due-tre pagine in meno). Vi prego di mandarmi in tempo, come la volta scorsa, le bozze. Sono qui, a Staraja Russa almeno fi no al 25 settembre. È un'estate favolosa. Porgete i miei più sentiti omaggi a Vostra moglie, mia moglie Vi saluta di tutto cuore e Vi augura ogni bene. Il mio profondo rispetto e omaggio a Michail Nikiforovič.

Vogliate accettare, stimatissimo e caro Nikolaj Alekseevič, la viva espressione della mia sincerissima e profonda devozione. Vostro devoto

F. Dostoevskij.

LETTERA 447 - NOVEMBRE 1880: IL ROMANZO E' FINITO!





447

8 NOVEMBRE 1880

EGREGIO SIGNORE STIMATISSIMO  LJUBIMOV

invio l'Epilogo finale dei Karamzov col quale si chiude anche il romanzo. Sono in tutto 31 mezzi

fogli di formato postale e, se non erro, non più di 1 foglio e 3/4 del forma to di Russkij vestnik.

Vi prego con particolare insistenza di mandarmi le bozze in 2 copie (e non una). La seconda copia mi serve assolutamente per le prossime lettu re pubbliche alla fine di novembre (dopo il 20). Ho già letto e riletto quan to avevo scritto, questo è nuovo. Leggerò l'ultimo capitolo: i funerali di Iljušečka e il discorso di Alëša ai ragazzini. So per esperienza che questi brani sortiscono un certo effetto alle serate.

Il romanzo è dunque finito! Ci ho lavorato per tre anni, l'ho pubblica to in due: è un momento per me memorabile. Voglio farlo uscire in volume per Natale. È incredibilmente richiesto, qui e dai librai sparsi per la Russia; mi stanno già mandando i soldi.

Questo non è un addio. Ho infatti intenzione di vivere e scrivere per al tri 20 anni. Non serbatemi rancore.

Avrei voluto fare un viaggetto a Mosca, una volta terminati i Karamazov, ma a quanto pare non riesco. Vi stringo forte la mano e Vi ringrazio per la Vostra disponibilità. E aggiungerei, anche per le bacchettate redazionali: a volte sono essenziali.

Il Vostro ultimo numero è sorprendente. Continueranno gli articoli <<Controcorrente»? Qui sono stati molto notati. Se poteste pubblicarli a novembre e dicembre! Credetemi, servono come il pane, il successo è garantito.

I miei più sentiti rispetti alla Vostra stimatissima moglie. Siate genti le, porgete il mio sincero omaggio allo stimatissimo Michail Nikiforovič. Mia moglie Vi manda il suo sentito omaggio. Vogliate accettare l'attestato della mia sincera e imperitura dedizione.

Tutto Vostro F. Dostoevskij.

LETTERE 370-374-382/ESTATE1879: LIBRO QUINTO - LIBRO SESTO

 

370 


A N.A. Ljubimov 11 giugno 1879, Staraja Russa

Staraja Russa. 11 giugno/79.

Egregio Signore, stimatissimo Nikolaj Alekseevič, l'altro ieri ho spedito alla redazione di Russkij vestnik il seguito dei Karamazov per il numero di giugno (la fine del quinto capitolo «Pro et contra»).²5 

Con esso ho terminato «<le parole arroganti e bestemmie proferite da una bocca». 

 Il rinnegatore contemporaneo, uno dei più accaniti, si crede di essere colui che il diavolo gli suggerisce di essere e ribadisce che, per la felicità degli uomini, questa è cosa più giusta di Cristo. Un'indicazione per il nostro stupido socialismo russo (ma terribile, perché comprende i giovani) e, par rebbe, anche di quelle energiche: il pane, la Torre di Babele (ovvero il futu ro regno del socialismo) e il totale asservimento del libero arbitrio: a questo approdano il rinnegatore disperato e l'ateo! La differenza è che i nostri so cialisti (e non sono soltanto la gentaglia nichilista in clandestinità - e Voi lo sapete bene) sono degli ipocriti e dei bugiardi consapevoli, che non vo gliono ammettere che il loro ideale è l'ideale della violenza sulla coscienza umana e la riduzione dell'umanità a un branco di porci, mentre il mio so cialista (Ivan Karamazov) è un uomo sincero che confessa apertamente di essere d'accordo con la visione che ha il «Grande Inquisitore» dell'umani tà e che la fede in Cristo ha (avrebbe) elevato l'uomo ben più in alto di dove effettivamente sta. La domanda s'impone diretta: «Voi disprezzate l'uma nità o la stimate, voi, i suoi futuri salvatori?»>.

E tutto questo avverrebbe in nome dell'amore per l'umanità: «Dura è la legge di Cristo e astratta, impraticabile per i deboli» e al posto della legge della Libertà e della Cultura portano loro la legge delle catene e della sot tomissione al solo pane.

Nel prossimo libro avrà luogo la morte dello starec Zosima e i suoi ultimi dialoghi con gli amici. Non è una predica, ma una sorta di narrazione, un racconto della propria vita. Se mi riuscirà avrò fatto una buona azione: costringerò a riconoscere che il cristiano puro, ideale, non è un'astrazione, ma una cosa metaforicamente reale, possibile, imminente, e che la cristia nità è l'unico rifugio della Terra Russa da tutti i suoi mali. 

Prego Dio di farcela, sarà una cosa intensa, purché mi basti l'ispirazione. L'essenziale è che il tema è di quelli che non sarebbe neppure venuto in mente agli scrittori e poeti di oggi, dunque, del tutto originale. È per esso che scrivo il romanzo, purché ci riesca, ecco che cosa mi turba! Spedirò per il numero di luglio, sempre il 10 luglio, non oltre. Ce la metterò tutta.

Ho ricevuto la Vostra lettera, stimatissimo Nikolaj Alekseevič, a propo sito dell'invio di denaro e attendo con impazienza i mille rubli promessi. Mi trovo quasi al verde e preferirei non indebitarmi. Perciò Vi scongiuro di mandarmi questi mille rubli il prima possibile, se potete, senza indugi, per ché mi servono urgentemente.

Dove si trova Michail Nikiforovič, a Mosca o nella tenuta? E come va la sua salute? Porgetegli i miei più calorosi saluti e omaggi.


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A N.A. Ljubimov 8 luglio 1879, Staraja Russa

Staraja Russa. 8 luglio/79.

Egregio signore, stimatissimo Nikolaj Alekseevič, Ritengo di vitale importanza informarVi della mia situazione e chiedo la Vostra cortese attenzione.

Per problemi di salute mi hanno urgentemente prescritto di andare a Ems per 6 settimane di cure. Ho fatto richiesta per il passaporto da qui, da Staraja Russa, e siccome sono un ex detenuto e ogni volta ricevo il passa porto per l'estero seguendo un (lento) iter a parte, spero 15-20 luglio. di riceverlo per il

Tornerò a Staraja Russa alla fine di agosto. Il viaggio non intralcerà il lavoro, anzi, a Ems, nella più totale solitudine, sarò ancora più libero, ma di questo - dopo.

La cosa che mi preme è che per il corrente mese (per il fascicolo 7, di lu glio) Vi pregherei di non chiedermi il seguito dei Karamazov. 

È quasi pron to e con qualche sforzo potrei spedirvelo entro il mese. 

Ma la cosa che mi preme è che considero questo libro sesto («Pater Seraphicus, La morte del lo starec»>) il punto culminante del romanzo, e perciò sarebbe preferibile rifinirlo al meglio, rivederlo e limarlo ancora una volta; lo porterò con me a Ems e da Ems lo spedirò alla redazione di Russkij vestnik non più tardi (cascasse il mondo) del 10-12 del prossimo agosto, nel senso che per quel la data sarà già in redazione.4¹ In tal modo apparirà su Russkij vestnik il 31 agosto (3 fogli di stampa). 

Quindi a settembre e ottobre seguirà il libro settimo (2 fogli e 1/2 per ogni mese, anticipo che sarà spettacolare) e con questo settimo libro terminerà la seconda parte del romanzo I fratelli Ka ramazov.

Ed eccoci al punto fondamentale! Nel romanzo c'è ancora una terza parte (per numero di fogli non così ampia come la seconda, ma delle stesse dimensioni della prima). 

 Terminarla quest'anno è fuori discussione. Non avevo fatto i conti, mettendomi a scrivere, con le mie forze fisiche. Inol tre ora lavoro molto più lentamente e, infine, sono molto più severo con quest'opera rispetto a tutte le precedenti: voglio finirla bene, vi è al suo in terno un'idea che vorrei portare a conclusione nel modo più chiaro possibi le. 

C'è il giudizio, il tormento e lo sviluppo di uno dei personaggi principali, Ivan Karamazov. 

Per farla breve, reputo mio dovere comunicarvi e pro porre l'approvazione di quanto segue. Dopo la fine della seconda parte (nel numero di ottobre) mi fermerò fino al prossimo anno, fino a gennaio, 

e la terza parte uscirà nel numero di gennaio. 

La terza parte (di 10 o 11 fogli) sarà conclusa - e con lei il romanzo a gennaio, febbraio e marzo (non più in là), se non addirittura tra gennaio e febbraio. 

Per fare in modo che i giornali (dei feuilleton) non accusino la redazione di Russkij vestnik (come è successo con Anna Karenina) di prolungare intenzionalmente il romanzo per più anni, nel numero di ottobre di quest'anno, ovvero con la fine del la seconda parte, Vi manderò una lettera da me firmata perché venga pubblicata su quel numero, nella quale porgo le mie scuse per non aver potuto terminare il lavoro entro l'anno per problemi di salute e che l'unico colpe vole di fronte ai lettori sono io. La lettera verrà sottoposta in via prelimi nare al Vostro giudizio.



42 Nel corso della stesura Dostoevskij modificò la struttura dell'opera: la seconda parte termina con il libro sesto e il romanzo finale si compone di quattro parti, e non tre. 

43 L'epilogo dei Fratelli Karamazov comparve sul numero di novembre del 1880 di Russkij vestnik.

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41 Dostoevskij spedì il libro sesto da Ems il 7 agosto, il testo apparve sul fascicolo di agosto di Russkij vestnik.



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A N.A. Ljubimov 7 (19) agosto 1879, Ems

Ems. 7/19 agosto/79.

Egregio signore, stimatissimo Nikolaj Alekseevič, 

con la presente mi affretto a inviarvi il libro sesto dei Karamazov, tutto, per la pubblicazione sull'ottavo fascicolo (di agosto) di Russkij vestnik. Ho in titolato questo libro «Un monaco russo», è un titolo audace e provocatorio, tutti i critici che non ci amano si metteranno a strepitare: «È questo il monaco russo, come osa metterlo su un piedistallo simile?». Se urlano, tanto meglio, no? (Ah, come sono certo che non si tratterranno.) Ritengo invece di non aver commesso peccato di fronte alla realtà: è giusto non solo come ideale, ma lo è anche come realtà.

L'unica cosa che non so è se ci sono riuscito. Io stesso ritengo di non es sere riuscito a esprimere una decima parte di quanto volevo. Considero tuttavia il libro sesto il punto culminante del romanzo. Va da sé che mol ti insegnamenti del mio starec Zosima (o, a essere più precisi, il modo di esprimerli) appartengono alla sua figura, cioè alla sua raffigurazione arti stica. Pur avendo le stesse identiche idee che lui esprime, se le avessi espres se in prima persona, da parte mia, lo avrei fatto in un'altra forma e con un altro linguaggio. Egli invece non poteva esprimersi né in un altro linguag gio, né in un altro spirito, diverso da quello che gli ho attribuito. Altrimenti non avrei creato una figura artistica. Le riflessioni dello starec riguardano, per esempio: che cos'è un monaco, oppure i servi e i signori, o ancora se si può essere giudici di un'altra persona ecc. Mi sono ispirato alle figure degli antichi monaci e dei santi russi: una profonda mitezza unita a speranze im mense, candide, sul futuro della Russia, sulla sua missione morale e persi no politica. In fondo, san Sergio, i metropoliti Pëtr e Aleksej non avevano forse sempre in mente, in questo senso, la Russia?

Vi chiedo in via eccezionale (Vi prego), stimatissimo Nikolaj Alekseevič, di affidare le bozze a un bravo correttore, non potendo io stesso corregge re, data la mia assenza. Chiedo soprattutto di fare particolare attenzione alle correzioni dal 10mo al 17esimo mezzo foglio incluso (il capitoletto in titolato «<Delle Sacre Scritture nella vita di padre Zosima»). 

È un capitolo esaltante e poetico, il modello è tratto da alcuni insegnamenti di Tichon di Zadonsk, mentre il candore dell'esposizione è preso dal libro delle pere grinazioni del monaco Parfenij. Date un'occhiata Voi stesso, stimatissimo Nikolaj Alekseevič, fatelo come farebbe un padre! Una volta che le bozze di tutto il libro saranno state esaminate, comunicatelo a Michail Nikiforovič. Mi piacerebbe molto che lo leggesse e desse il suo parere, poiché il suo parere mi sta molto a cuore.

Spero che in questo libro non troviate niente da eliminare o da correg gere in veste di redattore, nemmeno una parolina, lo garantisco.

Vi prego anche di mantenere tutte le divisioni in capitoli e sottocapitoli che ho messo io. Qui entra in scena nel romanzo, per così dire, un manoscritto sconosciuto (le parole di Aleksej Karamazov) ed è chiaro che que sto manoscritto è fatto da Aleksej Karamazov di suo pugno. Qui inserisco un N.B. di lamentele: nel numero di giugno, nel capitolo «Il grande inqui sitore» non solo non sono state rispettate le mie divisioni, ma addirittura stato stampato tutto di seguito, 10 pagine di fila, senza nemmeno anda re a capo. La cosa mi ha molto amareggiato e porto alla Vostra attenzione la mia lamentela spassionata.

Vi manderò senza ritardi, entro il 10 settembre, già da Staraja Russa, il prossimo libro, il settimo, intitolato: «Grušenka» con il quale termina quest'anno la seconda parte dei Karamazov. Questo libro settimo è pensato per 2 numeri di Russkij vestnik, quello di settembre e di ottobre. 

Questo libro sarà in tutto di circa 4 fogli, quindi per settembre verranno non più di 2 fogli, ma che fare? In questo libro ci sono due episodi separati, come fos sero due racconti distinti. 

In compenso, con la fine della seconda parte, lo spirito e il senso del romanzo saranno perfettamente compiuti. Se non succederà, mia sarà la colpa, di artista. 

Rimando la terza parte del romanzo (il numero di fogli non è superiore a quello della prima parte), come Vi ave vo già scritto, al prossimo anno

La salute, la salute si è messa di mezzo! La seconda parte risulterà pertanto sproporzionata per lunghezza. Ma non si poteva fare altrimenti, è andata così.

Vi porgo i miei più sentiti ringraziamenti per aver esaudito la mia ri chiesta sull'ordine di invio del denaro a mia moglie a Staraja Russa, di cui ella mi ha già informato.

Ne approfitto per un'altra richiesta: non dimenticatevi, stimatissimo Nikolaj Alekseevič, di ordinare per tempo la spedizione del numero di agosto a Staraja Russa! Tornerò a casa proprio nei giorni della sua pubblicazione. Vogliate accettare l'attestato della mia profondissima e sincera stima.

Il Vostro eternamente devoto

Fëdor Dostoevskij

Nel libro sesto che Vi sto inviando, «Un monaco russo», ci sono in tutto: 53 mezzi fogli di formato postale.







LETTERE 406-409-411: APRILE 1880 LIBRO X RAGAZZI

 






DALLA LETTERA  406

A N.A. Ljubimov , San Pietroburgo

9 APRILE 1880



Qui sta per svolgersi (nella Settimana Santa) una lettura a favore della Società slava di beneficienza e mi chiedono di leggere qualcosa del numero di aprile dei Karamazov che il pubblico non conosce ancora. Si può fare, e potrei legge re qualcosina con i dovuti tagli. Per questo motivo mi serve ora un impa ginato in più.

C'è un'altra circostanza che mi crea un minimo disagio: il fatto che in questo libro, «<I ragazzi», si faccia riferimento al preginnasio. Ma quan do Vi avevo già spedito il manoscritto, mi sono di colpo accorto che tutti i miei ragazzi indossano abiti comuni. Mi sono informato dagli esperti lo cali e mi hanno detto che 13 anni fa (l'epoca in cui si svolge il mio roman zo) i ginnasiali avevano in effetti un'uniforme, anche se non quella di oggi. Le classi preparatorie invece (soprattutto se c'erano figli di genitori pove ri) potevano indossare abiti propri. I cappottini erano i più vari, così come i berretti. È davvero così? Forse in bozza bisognerà cambiare qualcosa sui vestiti. Se serve, fate una riga di appunto in alto sul 1° foglio delle bozze e cambierò quel che posso. Se invece non è così necessario, andrà bene com'è.

Vi prego di esaudire entrambe le mie richieste. Spero che questa mia let tera non arrivi troppo tardi.


lettera 409

A N.A. Ljubimov 

13 aprile 1880, San Pietroburgo


... sono contento che i miei ragazzi vi siano piaciuti



DALLA LETTERA 411

A N.A. Ljubimov 

29 APRILE 1880, San Pietroburgo

Per quanto mi sia sforzato, non riesco di nuovo a consegnare niente il numero di maggio (il prossimo) di Russkij vestnik. 

Ma tra una setti per mana parto con la famiglia per Staraja Russa e in 3 mesi concluderò tutto il romanzo. In questo modo il seguito potrebbe iniziare (se approvate) dal numero di giugno, la quarta parte terminare in quello di agosto e poi per il numero di settembre ci sarà ancora una conclusione, di un foglio e 1/2 di stampa (qualche parola sul destino dei personaggi e una scena a parte: i fu nerali di Iljuša e l'orazione funebre di Aleksej Karamazov ai ragazzi, nella quale sarà in parte racchiuso il significato dell'intero romanzo).¹ Non ho potuto invece scrivere ora per il numero di maggio, perché non mi lasciano letteralmente scrivere, bisogna andarsene in fretta da Pietroburgo. Anco ra una volta la colpa è dei Karamazov. 

A causa loro mi viene a trovare ogni giorno una folla di persone, tutti che vogliono conoscermi, mi invitano a casa loro, non ci capisco più nulla e scappo da Pietroburgo! Non so Voi, sti matissimo Nikolaj Alekseevič, ma l'uscita del romanzo su Russkij vestnik nei mesi estivi non mi turba; se mai, in estate si legge di più che in inver no. Faccio fatica a scriverVi questa lettera: temo, temo fortemente che Voi e lo stimatissimo Michail Nikiforovič ne possiate dedurre che sto approfit tando della Vostra sconfinata premura nei miei confronti. 

Soltanto oggi ho scoperto da K.P. Pobedonoscev che Michail Nikiforovič si trova a Pietro burgo, e su sua indicazione sono andato a pranzo dal principe Meščerskij nella speranza di incontrare, forse, Michail Nikiforovič, ma una volta là mi hanno detto che era già partito. Altrimenti gli avrei spiegato tutto di persona. Siate così gentile da porgergli i miei più distinti saluti. Se poteste essere così infinitamente cortese, scrivetemi solo: siete arrabbiato con me? (L'in dirizzo è lo stesso di prima, arriverà dovunque mi trovi.) Tra l'altro, sono molto soddisfatto che il libro «Ragazzi» (destinato al numero di aprile) sia staccato dal resto e in sé risolto: il lettore non avrà di che lamentarsi, non è che, di colpo, nel punto più in sospeso ho interrotto e scritto: «Continua...». 

16 In realtà, il seguito dei Fratelli Karamazov apparve sul numero di luglio e il romanzo terminò con il numero di novembre. 17

In realtà la data sulla lettera è il 29.

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