giovedì 1 luglio 2021

COSTRUZIONE DEL PERSONAGGIO - SNEGIREV


 COSTRUZIONE DEL PERSONAGGIO 


Il capitano a riposo Snegirëv

LIBRO SECONDO


FEDOR E DMITRI

PRIME ALLUSIONI

Libro 2 - cap. 6


 Signori, pensate: vive qui da noi un uomo povero ma onesto, con una famiglia numerosa sulle spalle, un capitano a riposo, che è caduto in disgrazia ed è stato allontanato dal servizio, ma non con clamore, non con un processo, bensí conservando il proprio onore. 

Tre settimane fa il nostro Dmitrij Fëdoroviè, in una trattoria, lo ha afferrato per la barba, lo ha trascinato fuori, sempre tenendolo per la barba, e lo ha picchiato per strada pubblicamente, e tutto perché quello è il mio incaricato di fiducia per un certo affaruccio». 

«Padre! Io non giustifico il mio gesto; sì, lo riconosco davanti a tutti: mi sono comportato come una bestia con quel capitano e adesso me ne rammarico e provo disgusto di me stesso per quell'atto di ira brutale, ma quel capitano, il vostro incaricato, era andato da quella signora, che voi avete chiamato seduttrice, e le aveva proposto, a nome vostro, di rilevare le mie cambiali in vostro possesso e di esigerne il pagamento al fine di mettermi alle strette con quelle cambiali stesse, nel caso fossi diventato troppo insistente con voi nel rivendicare i diritti sui miei beni. 



LIBRO QUARTO

CAPITOLO 3

In quell'istante si vide piombare sul gruppo una pietra, che sfiorò leggermente il ragazzo mancino, e poi passò oltre, sebbene fosse stata lanciata con forza e abilità. 

Era stato il ragazzino appostato al di là del canale a lanciarla. «Colpiscilo, dagli addosso, Smurov!», si misero a gridare in coro. Ma Smurov, il mancino, non si fece tanto pregare e replicò immediatamente scagliando un sasso contro il ragazzino al di là del canale, ma mancò il bersaglio: la pietra rimbalzò per terra. Il ragazzino oltre il canale scagliò senza indugi un altro sasso, ma questa volta dritto addosso ad Alëša e lo colpì piuttosto forte sulla spalla. 

Quel ragazzaccio aveva tutta la tasca piena di sassi pronti all'uso. Si vedeva anche dalla distanza di trenta passi, dalle tasche rigonfie del suo cappottino. «L'ha lanciata a voi, proprio a voi, ha mirato proprio a voi. Siete un Karamazov, un Karamazov, vero?», urlarono i ragazzi fra le risa. «Su, coraggio, tiriamo tutti insieme, fuoco!» E sei sassi volarono tutti insieme dal gruppo. Uno colpì il ragazzino sulla testa e lo fece cadere, ma dopo un attimo quello balzò in piedi e cominciò, infuriato, a bersagliare di sassi il gruppo. La sassaiola divenne più fitta da entrambe le parti; anche alcuni ragazzini del gruppetto avevano fatto provvista di sassi e ne avevano le tasche piene. «Ma che fate? Non vi vergognate, signori? Sei contro uno, finirete per ammazzarlo!», gridò Alëša. Si era alzato e si parava dinanzi alle pietre volanti per proteggere con il suo corpo il ragazzino al di là del canale. 

Tre o quattro ragazzini smisero di gettare pietre per un attimo. «È stato lui a cominciare!», gridò un ragazzino in camiciotto rosso con una stizzosa vocina infantile. «È un mascalzone, tempo fa in classe ha ferito con un temperino Krasotkin, gli ha fatto uscire il sangue. Krasotkin non ha voluto fare la spia, ma dobbiamo dargli una lezione...» «Ma per quale motivo? Certo, sarete stati voi a provocarlo, vero?» «Ecco, vi ha tirato un altro sasso nella schiena. Lui sa chi siete», gridarono i ragazzini. «Adesso ce l'ha con voi, non più con noi. 

STRACCIO DI STOPPA

libri 4- cap. 3

«Siete diretto anche voi da quella parte, verso via Michajlovskij?», soggiunse lo stesso ragazzino di prima. «Allora cercate di raggiungerlo... Vedete? Si è fermato di nuovo, vi sta aspettando, sta guardando voi». «Sì, proprio voi, sta guardando proprio voi!», esclamarono gli altri. «Allora domandategli se gli piacciono gli stracci di stoppa, quelli del bagno, tutti stropicciati. Avete sentito? Domandateglielo». Scoppiò una risata generale. 

Alëša guardava i ragazzi e quelli guardavano lui. «Non ci andate, quello vi farà del male», gridò Smurov in tono di ammonimento. 

 «Signori, non gli domanderò nulla dello straccio di stoppa, state pur certi, perché voi sicuramente lo prendete in giro in qualche modo con quelle parole, ma scoprirò il motivo per cui lo odiate tanto...» «E allora scopritelo, scopritelo», e i ragazzi scoppiarono a ridere. Alëša superò il ponticello e si diresse per la salita affiancando uno steccato, in direzione di quel ragazzo che si era attirato le antipatie di tutti. 

LA MISSIONE DI KATERINA

libro4- cap. 5

Katerina Ivanovna tornò improvvisamente nella stanza. Aveva in mano due banconote iridate. «Ho un grosso favore da chiedervi, Aleksej Fëdoroviè», prese a dire, rivolgendosi direttamente ad Alëša, con voce calma e misurata, come se non fosse accaduto nulla. «Una settimana, sì, mi pare una settimana fa, Dmitrij Fëdoroviè ha compiuto un gesto avventato e ingiusto, molto riprovevole. C'è un luogo equivoco, una bettola. Lì egli incontrò un ufficiale a riposo, quel capitano che vostro padre ha impiegato per certi suoi affari. Per qualche ragione Dmitrij Fëdoroviè si è adirato contro questo capitano, lo ha afferrato per la barba e, alla presenza di tutti, lo ha trascinato in strada in questo stato umiliante. In strada l'ha trascinato così per un pezzo e dicono che il figlio di questo capitano, un ragazzo, ancora un bambino, che frequenta la scuola locale, abbia assistito alla scena, si sia messo a correre accanto ai due, piangendo a dirotto e invocando aiuto per il padre, chiedendo ai presenti che lo difendessero, fra le risate generali. Perdonate, Aleksej Fëdoroviè, non riesco a pensare a quest'episodio senza provare indignazione per questa sua vergognosa azione... una di quelle azioni che solo Dmitrij Fëdoroviè è capace di compiere quando è in preda all'ira e... alle sue passioni! Non riesco nemmeno a descrivere quest'episodio, non sono in grado di farlo. Non riesco a trovare le parole. Ho chiesto informazioni sulla vittima dell'oltraggio e ho saputo che è molto povero. Si chiama Snegirëv. Ha commesso qualche mancanza mentre prestava servizio, lo hanno espulso, non so spiegarvi queste cose, e adesso è precipitato in uno stato di terribile indigenza con la sua famiglia, una famiglia disgraziata di figli malati e una moglie demente, si dice. Vive da un pezzo qui in città, fa qualche lavoretto qua e là, ha lavorato come scrivano, ma adesso hanno smesso, tutt'a un tratto di pagarlo. Ho gettato lo sguardo su di voi... cioè ho pensato - non so, chissà perché mi sto confondendo - vedete, volevo chiedervi, Aleksej Fëdoroviè, mio carissimo Aleksej Fëdoroviè, di fare un salto da lui con una scusa, introdurvi a casa sua, di questo capitano cioè - Dio mio, perdo il filo! - e, con tatto, con cautela, proprio come sapete fare solo voi», (Alëša arrossì di colpo), «riuscire a dargli questo aiuto, ecco, duecento rubli. Lui sicuramente li accetterà... cioè, convincetelo ad accettarli... Oppure no, che si può fare? Vedete non si tratta di un compenso per tenerlo buono, per evitare che sporga denuncia (giacché pare che abbia questa intenzione), questo è un semplice gesto di simpatia, di aiuto, da parte mia, da parte della fidanzata di Dmitrij Fëdoroviè, non da lui direttamente... Insomma, voi sapete... Ci sarei andata io stessa, ma voi saprete farlo di gran lunga meglio di me. Abita in via Ozernaja, in casa della borghese Kalmykova... Per l'amor di Dio, Aleksej Fëdoroviè, fatemi questo favore. Ma adesso... adesso sono un po'... stanca. Arrivederci...» 


ALEKSEI FA CONOSCENZA COL CAPITANO

libro 4 . cap.6

L'incarico di Katerina Ivanovna lo condusse in via Ozërnaja, e l'abitazione del fratello Dmitrij si trovava lì vicino, proprio in una traversa di via Ozërnaja. Alëša decise di fare un salto da lui, in ogni caso, prima di recarsi dal capitano, sebbene avesse il presentimento che non avrebbe trovato il fratello in casa. Sospettava che quello, con ogni probabilità, si stesse tenendo di proposito alla larga da lui, ma comunque doveva trovarlo ad ogni costo. Il tempo passava: il pensiero dello starec in punto di morte non lo aveva abbandonato nemmeno un minuto, nemmeno un secondo, da quando aveva lasciato il monastero. Nell'incarico di Katerina Ivanovna era emersa una circostanza che lo interessava moltissimo: quando Katerina Ivanovna aveva menzionato il ragazzino, lo scolaretto, il figlio del capitano, che correva, piangendo a squarciagola accanto al padre, all'improvviso nella mente di Alëša si era affacciata l'idea che quel ragazzino potesse essere lo stesso scolaretto che poco prima gli aveva morso il dito, quando lui, Alëša, gli aveva domandato in che modo l'avesse offeso. Adesso Alëša ne era praticamente certo, sebbene lui stesso non ne sapesse il perché.

IL FATTO RACCONTATO DAL PROTAGONISTA

Vedete, questo straccio qui, solo una settimana fa era più folto - sto parlando della mia barba - straccio di stoppa, l'hanno soprannominata questa mia barbetta, soprattutto i ragazzi di scuola. 

Be', quel vostro fratellino Dmitrij Fëdoroviè mi stava tirando per la barba quel giorno, io non gli avevo fatto nulla, ma lui era infuriato e se la prese con me, mi trascinò fuori dalla trattoria sino alla piazza, proprio mentre i ragazzi stavano uscendo da scuola, e anche Iljuša era con loro. 

Quando mi vide in quello stato, si precipitò verso di me gridando: "Papà! Papà!". Si aggrappò a me, mi abbracciò, voleva strapparmi via, gridava al mio aggressore: "Lasciatelo, lasciatelo, è il mio papà, il mio papà, perdonatelo", gridava proprio così: "Perdonatelo"; lo afferrò con le sue manine, gli prese la mano, proprio la mano di lui e gliela baciò, signore... Ricordo il suo faccino in quel momento, non l'ho dimenticato e non lo dimenticherò mai!...

L'UMILIAZIONE DI ILIUSHA

 Me ne stetti coricato e per quel giorno mi dimenticai di Iljuša, quando proprio quel giorno i ragazzini cominciarono a sbeffeggiarlo a scuola sin dalla mattina, signore: "Straccio di stoppa", gli gridavano, "hanno trascinato tuo padre fuori dalla trattoria tirandolo per il suo straccio di stoppa e tu che gli correvi dietro a chiedere perdono". Il terzo giorno, quando tornò da scuola, lo guardai e vidi che aveva un faccino sciupato, pallido. "Che ti è successo?", gli domandai. Lui non rispose. 

PADRE E FIGLIO

Be', nella nostra residenza non c'è verso di fare due chiacchiere senza che la mamma e le ragazze si intromettano - tanto più che le ragazze avevano saputo tutto sin dal primo giorno. Anzi Varvara Nikolaevna aveva già cominciato a gracchiare come suo solito: "Buffoni, pagliacci, potreste mai fare voi qualcosa di sensato?" "Proprio così, Varvara Nikolaevna", le risposi, "potremmo mai fare noi qualcosa di sensato?" Così me la cavai per quella volta.

 Verso sera portai il ragazzo a fare una passeggiata. Vossignoria deve sapere che io e lui uscivamo ogni sera e facevamo esattamente lo stesso percorso che stiamo facendo noi adesso, dal cancelletto di casa nostra fino, ecco, fino a quel macigno che spunta lì sulla strada, accanto alla siepe che segna l'inizio del pascolo cittadino: un posto deserto e bellissimo, vossignoria. Camminiamo io e il mio Iljuša, lui con la manina nella mia mano, come sempre; ha una manina minuta, con le ditina sottili sottili, e così fredde - sapete, soffre di bronchi. "Papà, papà!" "Che c'è?", gli rispondo e vedo che gli occhi gli brillano. "Papà, come ti ha trattato quell'uomo!" "Che vuoi farci, Iljuša?", gli rispondo io. "Non fare la pace con lui, non fare la pace, papà. I compagni a scuola dicono che ti ha dato dieci rubli per fare la pace". "No, Iljuša", gli rispondo io, "non accetterei per nulla al mondo denaro da lui". Lui allora trema tutto, stringe forte la mia mano con tutte e due le manine e me la bacia. "Papà, papà, sfidalo a duello, a scuola mi prendono in giro, dicono che sei un vigliacco, che non lo sfiderai a duello e che accetterai i suoi dieci rubli". "Non posso sfidarlo a duello, Iljuša", gli rispondo e gli spiego in breve tutto ciò che ho appena raccontato a voi. Lui ascolta con attenzione. "Papà, però non fare lo stesso la pace con lui: quando sarò grande lo sfiderò io a duello!" Gli occhietti gli brillavano ardenti. Be', nonostante tutto, sono pur sempre un padre, quindi dovevo dirgli una parola di verità. "È peccato", gli dico, "uccidere, anche nel corso di un duello". E lui mi risponde: "Quando sarò grande, io lo farò cadere per terra, gli farò saltare via la sciabola con la mia sciabola e gli dirò: 'Potrei ucciderti in questo momento, ma ti perdono, così impari!'" Vedete, vedete, signore, che cosa gli era frullato nella testolina in quei due giorni, non aveva fatto che pensare a quella vendetta con la sciabola, giorno e notte e di notte, forse, proprio di quello delirava, vossignoria. Solo che ha cominciato a tornare da scuola tutto pesto, l'ho scoperto l'altro ieri e voi avete ragione: non lo manderò più in quella scuola, signore. Quando venni a sapere che era solo contro tutti in classe e che era lui a provocare gli altri, che si era inasprito, che il suo cuore era pieno di rancore, ebbi paura per lui. Facemmo un'altra passeggiata. "Papà, ma i ricchi sono sempre più forti di tutti in questo mondo?" mi domanda. "Sì, Iljuša", gli rispondo io, "non c'è nessuno più forte dei ricchi su questa terra". "Papà, allora io diventerò ricco, diventerò ufficiale e sconfiggerò tutti, lo zar mi decorerà e allora tornerò qui e nessuno oserà più toccarmi". Poi tace per un po' e continua - le labbrucce continuavano a tremargli: "Papà, com'è brutta la nostra città!" "Sì Iljušeèka", gli dico io, "la nostra città non è molto bella". "Papà, trasferiamoci in un'altra città, in una bella città, dove nessuno sa niente di noi". "Ci trasferiremo, ci trasferiremo Iljuša, non appena avrò messo da parte un po' di soldi". Fui contento di avere l'occasione di distrarlo da pensieri cupi e cominciammo a fantasticare io e lui di come ci saremmo trasferiti in un'altra città, avremmo comprato un cavallo e un carro.

COSA RACCOTA LUI DI FEDOR E GRUSHENKA

«Avevo intenzione di sporgere denuncia», continuava il capitano, «ma date un'occhiata al nostro codice, otterrei in fin dei conti una gran riparazione da parte del mio aggressore per l'offesa subita? E poi, a un certo punto, mi manda a chiamare Agrafena Aleksandrovna e mi urla: "Non osare nemmeno pensarci! Se sporgerai denuncia, farò in modo che tutto il mondo sappia che lui ti ha picchiato per la tua disonestà, così sarai tu a finire sotto processo". E solo Dio sa chi è l'artefice di quella truffa e per ordine di chi io, personaggio di secondaria importanza, ho agito in quel modo: non è stato forse per ordine di Agrafena Aleksandrovna in persona e Fëdor Pavloviè? "E non finisce qui", mi fa lei. "Ti caccerò per sempre e da me non riceverai più un quattrino. Lo dirò anche al mio mercante (lo chiama così il vecchio: il mio mercante), e pure da lì sarai cacciato". Allora io ho pensato che se mi caccia via anche il mercante, allora chi mi darà più lavoro? Perché mi sono rimasti solo loro due, dal momento che vostro padre Fëdor Pavloviè non solo ha smesso di affidarmi incarichi, per un'altra ragione, signore, ma lui stesso vuole sfruttare alcune carte che ho firmato e trascinarmi in giudizio. In considerazione di tutto questo ho deciso di tacere, e vossignoria ha visto il sottosuolo in cui vivo... 

LIBRO QUARTO - ALL'ARIA APERTA

Ho un incarico che vi riguarda: sempre mio fratello, Dmitrij, ha offeso anche la sua fidanzata, una ragazza nobilissima, della quale forse avete sentito parlare. Ho il diritto di confidare a voi l'offesa che lei ha subito, anzi ho il dovere di farlo, dal momento che lei, dopo aver saputo della vostra offesa e della difficile situazione in cui vi trovate, mi ha incaricato adesso... poco fa... di portarvi questo aiuto da parte sua... ma unicamente da parte sua, non di Dmitrij, che l'ha abbandonata, assolutamente no, né da parte mia, che sono suo fratello, né da parte di chicchessia, ma da parte sua, di lei sola! Ella vi supplica di accettare questo aiuto... siete stati entrambi offesi dalla stessa persona... Ella ha pensato a voi solo nel momento in cui anche lei ha subito un'offesa pari alla vostra (pari in gravità) da parte di mio fratello! Quindi è come se una sorella soccorresse un fratello... Ella mi ha espressamente incaricato di convincervi ad accettare questi duecento rubli come da parte di una sorella. Nessuno lo verrà mai a sapere, non potranno nascere ingiusti pettegolezzi... ecco i duecento rubli, vi giuro che dovete accettarli, altrimenti... altrimenti vorrebbe dire che tutti gli uomini sono condannati a essere nemici su questa terra! Eppure anche su questa terra ci sono i fratelli... Voi avete un'anima nobile... dovete capire questo, dovete!» E Alëša gli porse le due banconote iridate da cento rubli, nuove di zecca. In quel momento si trovavano entrambi proprio presso quello stesso macigno, vicino alla siepe, e non c'era nessuno in giro.

LE BANCONOTE SOTTO  I PIEDI

«Che vi prende?», domandò Alëša trasalendo. «Aleksej Fëdoroviè... io... voi...», mormorò il capitano inceppandosi, mentre lo fissava con uno sguardo strano, selvaggio, con l'aria di chi ha preso una decisione disperata, ma allo stesso tempo con una specie di sorriso sulle labbra, «io, vossignoria... voi... Volete che vi mostri un piccolo gioco di prestigio?», mormorò all'improvviso con un sussurro rapido, brusco; non balbettava più. «Quale gioco di prestigio?» «Un giochetto di prestigio, un bel giochetto di prestigio», continuava a sussurrare il capitano; le labbra gli si erano storte sul lato sinistro, l'occhio sinistro era socchiuso. Egli continuava a guardare Alëša senza distogliere lo sguardo, come incantato. «Ma che avete? Di che trucco state parlando?», gridò l'altro ormai in preda al panico. «Ecco quale, guardate!», sibilò a bruciapelo il capitano. E mostrandogli le due banconote, che per tutta la durata della conversazione aveva tenuto per un angolo, tra il pollice e l'indice, le afferrò con furia, le accartocciò e le strinse forte nel pugno destro. «Vedete, signore? Vedete?», sibilò, pallido e frenetico; poi, sollevato di colpo il pugno, gettò con rabbia le banconote sulla sabbia. «Vedete?», strillò ancora una volta indicandole con il dito: «Ecco fatto!» Poi, sollevata di scatto la gamba destra, con furia selvaggia si mise a calpestare le banconote sotto il tacco, esclamando affannato ad ogni colpo: «Ecco che ne faccio dei vostri soldi, signore! Ecco che ne faccio dei vostri soldi, signore! Eccoli, i vostri soldi! Eccoli, i vostri soldi!» Poi balzò all'indietro e si eresse dinanzi ad Alëša. Tutta la sua figura esprimeva indicibile orgoglio. «Dite a quelli che vi hanno mandato che lo straccio di stoppa non vende il suo onore, signore!», gridò alzando il braccio in aria. Poi si voltò di scatto e cominciò a correre, ma non aveva fatto cinque passi che girò su se stesso e salutò Alëša con la mano. Corse per altri cinque passi e si girò per l'ultima volta, ma questa volta non aveva più quella smorfia di scherno: il suo viso era contratto dal pianto. Con voce rotta, balbettando e singhiozzando, gridò in tutta fretta: «Che cosa avrei detto al mio ragazzo, se avessi accettato da voi i soldi a prezzo del nostro onore?» Detto questo, si mise a correre, senza più voltarsi indietro. Alëša lo seguì con lo sguardo, pervaso da un'indicibile tristezza. Si rendeva conto che fino all'ultimo momento quell'uomo non sapeva che avrebbe sgualcito e gettato via le banconote. Intanto correva e non si voltava più e Alëša sapeva che non lo avrebbe fatto. Non volle seguirlo né chiamarlo, e sapeva bene il perché. Quando l'uomo scomparve dalla sua vista, Alëša raccolse le due banconote. Erano soltanto molto sgualcite, accartocciate e premute sotto la sabbia, ma erano integre, frusciarono persino come ancora nuove quando Alëša le spiegò per stirarle perbenino. Dopo averle stirate, le piegò, le infilò nella tasca e si diresse verso la casa di Katerina Ivanovna per riferirle l'esito della missione.

LIBRO QUINRO - FIDANZAMENTO

«Perché, perché meglio di così non poteva andare?», domandò Lise concitata, guardando Alëša con grande meraviglia. «Perché, Lise, se non li avesse calpestati quei soldi, ma li avesse presi, una volta giunto a casa, dopo un'oretta diciamo, sarebbe scoppiato a piangere per l'umiliazione subita, ecco che cosa sarebbe sicuramente successo. Sarebbe scoppiato a piangere e forse domani sarebbe venuto da me all'alba, mi avrebbe gettato in faccia quelle banconote e le avrebbe calpestate come ha fatto poco fa. Mentre adesso è andato via fiero e solenne, sebbene consapevole di "essersi rovinato con le proprie mani". Pertanto, adesso che ha dato prova del suo onore, che ha gettato i soldi e li ha calpestati, non c'è niente di più facile che indurlo a prendere quei duecento rubli anche domani stesso... Mentre li calpestava, non poteva immaginare che domani andrò a riportarglieli. E poi quei soldi gli sono davvero necessari come l'aria. Anche se in questo momento è tutto fiero, non potrà fare a meno, a partire da oggi stesso, di pensare al grosso aiuto che ha perduto. Questa sera se ne renderà conto ancora meglio, lo sognerà stanotte e per domani mattina sarà pronto, forse, a correre da me a chiedermi perdono. In quel momento invece io mi presenterò da lui e gli dirò: "Siete un uomo di grande orgoglio, l'avete dimostrato, ma adesso prendete il denaro e perdonateci". E lui allora lo prenderà!»