LIBRO XII



Un errore giudiziario

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1. Il giorno fatale





























In quello stesso momento entrò anche i
l

difensore, l'illustre Fetjukoviè, e una sorta di soffocato rumorio attraversò
l'aula. 

Era un uomo alto e segaligno, con lunghe gambe sottili, dita bianche
di straordinaria lunghezza e il viso rasato, i capelli piuttosto corti, pettinati
modestamente, e labbra sottili atteggiate ora a sorriso ora a ghigno.
Dimostrava una quarantina d'anni. 

Il suo viso sarebbe stato gradevole, se
non fosse stato per gli occhi che, già piccoli e inespressivi, erano vicini fra
di loro in modo fuori dall'ordinario: 
erano separati soltanto dalla linea
sottile del sottile naso allungato. 
Insomma, quel viso colpiva per una certa
somiglianza con quello di un uccello. 
Indossava frac e cravatta bianca.





2. Testimoni pericolosi 
3. La perizia medica e una libbra di nocciole 
4. La fortuna sorride a Mitia 
5. Brusca catastrofe 


6. La requisitoria 

Credo che fossero esattamente le
otto di sera quando il nostro procuratore, Ippolit Kirilloviè, dette inizio
all'arringa dell'accusa.

VI • L'arringa del procuratore. Bozzetti di carattere

Ippolit Kirilloviè dette inizio alla sua arringa in preda ad un tremore
nervoso che gli attraversava tutto il corpo, con la fronte e le tempie
imperlate di un malsano sudore freddo, con brividi e vampate di caldo che
si alternavano per tutto il corpo. Fu lui stesso a raccontarlo in seguito. Egli
considerava quel discorso il proprio chef d'oeuvre, il chef d'oeuvre della
sua vita, il suo canto del cigno. Vero è che nove mesi più tardi egli doveva
morire di consunzione, quindi avrebbe avuto ben ragione di paragonarsi a
un cigno che intona il suo ultimo canto, se avesse previsto la propria
morte. In quel discorso egli ci mise tutto il suo cuore e tutta la sua
intelligenza; inaspettatamente dimostrò di celare dentro di sé sia una
sensibilità civica sia un interesse per le questioni "maledette", almeno nella
misura in cui il nostro povero Ippolit Kirilloviè era in grado di concepirle.
Il punto di forza del suo discorso era la sincerità: egli credeva
sinceramente nella colpevolezza dell'imputato e lo accusava non per
dovere, né per il ruolo che gli competeva, ma chiedeva "vendetta", mosso
da un autentico desiderio di "salvare la società". Persino il pubblico
femminile - che sotto sotto era ostile a Ippolit Kirilloviè - dovette
ammettere che il procuratore aveva fatto una grande impressione.


«Dopo tutto», proseguì, «che cosa rappresenta la famiglia Karamazov per
essersi guadagnata di colpo tutta questa dolorosa notorietà, addirittura a
livello nazionale? Forse sto esagerando, ma mi sembra che nell'immagine
di questa famiglia balenino a tratti alcuni elementi fondamentali comuni e
propri alla nostra intelligencija contemporanea - oh, certo non tutti gli
elementi, e per di più soltanto in forma microscopica "come il sole in una
goccia d'acqua", eppure qualcosa vi è riflessa, qualcosa è comunque
espressa. Guardate questo disgraziato, vizioso e lussurioso vecchio, questo
"padre di famiglia" che ha concluso così miseramente la propria esistenza.
Di nobili natali, cominciò la propria carriera come povero parassita, con un
matrimonio casuale e inatteso entrò in possesso di un piccolo capitale, la
dote della moglie; all'inizio era solo un piccolo impostore, un buffone
adulatore, con un embrione di capacità intellettive, del resto, abbastanze
buone; ed era, soprattutto, un usuraio. Con il passare degli anni, cioè con
l'accrescersi del capitale, egli si fece sempre più audace. La sua meschinità
e il suo servilismo svanirono ed egli rimase soltanto un cinico ironico e
perfido, e un libertino. Il lato spirituale della sua vita era stato affossato,
mentre la brama di vivere era intensissima. Andò a finire che, al di là dei
piaceri della carne, egli non vedeva nient'altro nella vita e così ha
insegnato ai suoi figli. Doveri spirituali di padre - neanche per sogno. Egli
metteva in ridicolo questi doveri, lasciava crescere i figlioletti nel cortile
sul retro e fu contento quando glieli portarono via. Si dimenticò
completamente di loro. Le leggi morali del vecchio si riducevano al motto:
après moi le déluge. Egli era l'esempio di tutto ciò che è opposto al dovere
civile, l'esempio più autentico di un isolamento, quasi ostile, dalla società:
"Il mondo può bruciare per quello che me ne importa, basta che vada bene
a me". E gli andava davvero bene, era pienamente soddisfatto, desiderava
vivere ancora venti, trent'anni. Egli ingannò il figlio riguardo all'eredità, e
con i soldi di lui, con l'eredità di sua madre, che non voleva cedergli, cercò
di soffiare l'amante a quel figlio. No, non intendo cedere la difesa
dell'imputato al mio abilissimo collega venuto da Pietroburgo. Io stesso
dirò la verità, anch'io comprendo il risentimento che si accumulò nel cuore
del figlio contro quel padre. Ma basta, basta con questo disgraziato
vecchio, egli ha pagato il suo tributo. Ricordiamo, tuttavia, che egli era un
padre, e un padre di quelli contemporanei. Offendo, forse, la società
dichiarando che egli è uno dei molti padri contemporanei? Ahimè! Quanti
padri differiscono da questo per il solo fatto che non professano
apertamente un cinismo pari al suo, perché sono stati educati meglio,
hanno ricevuto una migliore istruzione, ma in sostanza hanno la stessa
filosofia di questo padre!

7. Prospetto storico 
8. Dissertazione su Smerdiakov 


9. Psicologia a tutto vapore. Finale dell'arringa del procuratore 
10. L'arringa del difensore. Un'arma a doppio taglio 
11. Né denaro, né furto 
12. E neppure assassinio 
13. Un sofista 
14. I buoni contadini resistono