lunedì 5 luglio 2021

CREPUSCOLI

 


CREPUSCOLO  DEL PRIMO GIORNO

LIBRO TERZO - cap. 11 Una reputazione perduta

CONGEDO DA MITJA

«Aspetta. Guarda la notte: hai visto com'è cupa, che nuvole, che ventaccio si è alzato! 

Mi sono appostato qui, sotto il citiso, ti aspettavo e ad un tratto ho pensato (quanto è vero Iddio!): che senso ha tormentarsi ancora, perché aspettare? Ecco qui un citiso, il fazzoletto c'è, la camicia pure, posso intrecciare una corda in un minuto, ho anche le bretelle e - basta con l'essere di peso alla terra, basta disonorarla con la mia meschina presenza! Ma ecco che ti sento arrivare - Signore! È stato come se qualcosa mi investisse all'improvviso: dunque c'è una persona che io sono capace di amare, eccolo che viene, eccola qui quella persona, il mio caro fratellino, che amo più di chiunque altro al mondo, l'unico essere umano che io ami veramente! E così ho sentito un tale affetto per te, ti ho tanto amato in quel momento che ho pensato: "Adesso mi getto al suo collo". Poi mi è venuta un'idea stupida: "Gli faccio uno scherzo, lo spavento". E così ho gridato come uno scemo: "O la borsa!..." Scusa la stupidaggine, è solo una sciocchezza, eppure nella mia anima... non c'è nulla di indecoroso... Ma al diavolo, dimmi che cosa è successo lì. Che cosa ha detto lei? Schiacciami, colpiscimi, non cercare di risparmiarmi! È andata su tutte le furie?»

«Sì, sono un mascalzone! Un mascalzone matricolato», disse con voce cupa. «Che importa se piangessi o no, sono sempre un mascalzone! Dille che accetto l'epiteto, se questo può consolarla. Ma basta così, addio, a che serve parlare ancora! Non c'è nessun gusto. Tu va' per la tua strada e io andrò per la mia. Non voglio neanche più incontrarti, se non proprio in caso di estrema necessità. Addio, Aleksej!» Strinse forte la mano di Alëša e, sempre a capo chino, senza alzare la testa, si avviò come di scatto verso la città. Alëša lo seguì con lo sguardo, non potendo credere che quello se ne fosse andato definitivamente, così all'improvviso. «Aspetta, Aleksej, ancora una confessione, ma soltanto a te!», Dmitrij Fëdoroviè si girò di scatto e tornò indietro. «Guardami, guardami bene: vedi, ecco, qui, proprio qui si prepara una terribile infamia». 

 (Dicendo "ecco qui", Dmitrij Fëdoroviè si colpì il petto con un pugno, con un'aria terribile, come se l'infamia si trovasse e si conservasse proprio nel suo petto, in qualche punto, in tasca forse, oppure pendesse cucita al collo). 

Tu mi conosci già: sono un mascalzone, un mascalzone confesso! Ma sappi che per quanto abbia fatto in passato e in questo momento o faccia in futuro, nulla, nulla potrà uguagliare per viltà l'infamia che proprio adesso, proprio in questo momento mi porto nel petto, ecco qui, proprio qui, l'infamia che si compirà sebbene io sia padrone di troncarla, sebbene io possa scegliere se troncarla o portarla a compimento, nota bene questo! Ma sappi pure che la porterò a compimento, non la troncherò. 

Poco fa ti ho raccontato tutto, ma questo non te l'ho raccontato, neanche io ho avuto la faccia di bronzo necessaria per farlo! Faccio ancora a tempo a fermarmi: fermandomi, domani stesso potrei recuperare una buona metà dell'onore perduto, ma io non mi fermerò, io porterò a compimento l'infame progetto, che tu possa testimoniare che te l'ho detto in anticipo e nel pieno possesso delle mie facoltà mentali! 

La rovina e le tenebre! Non c'è niente da spiegare, a suo tempo saprai. 

Un vicoletto fetido e una donna infernale! 

 Addio, non pregare per me, non lo merito, e non ce n'è nemmeno bisogno, nemmeno un po'... non mi serve affatto! Via!» 

 E si allontanò rapidamente, ma questa volta in modo definitivo. 

 Alëša andò al monastero.

  «Come può essere, come può essere che non lo vedrò mai più? Che cosa dice?», 

gli sembrava così assurdo. 

«Domani lo vedrò ad ogni costo e lo scoverò e scoprirò esattamente che cosa intendeva dire!...» 

 Fece il giro del monastero ed entrò direttamente nell'eremo attraverso il boschetto di pini. 

Gli aprirono, anche se a quell'ora non facevano entrare più nessuno. 

Il cuore gli tremava, quando entrò nella cella dello starec: 

 perché, perché era uscito, perché lo aveva mandato nel "mondo"? Qui c'era quiete, santità, mentre fuori c'era confusione, tenebre nelle quali perdersi e smarrirsi...



CREPUSCOLO DEL SECONDO GIORNO




LIBRO QUINTO - CAP. 5 - Il grande inquisitore

CONGEDO DA IVAN

Ivan si voltò di scatto e si avviò per la sua strada senza più girarsi. 

In modo simile il fratello Dmitrij, il giorno prima, si era allontanato da Alëša, anche se le circostanze erano molto diverse. 

Questa strana osservazione attraversò come un fulmine la mente addolorata di Alëša, addolorata e triste in quel momento. 

Egli si trattenne per un po' seguendo il fratello con lo sguardo. 

Notò all'improvviso, chissà come, che il fratello Ivan oscillava leggermente nel camminare, e che la spalla destra, guardandola da dietro, sembrava più bassa della sinistra. Non lo aveva mai notato prima. Poi si voltò anche lui, di scatto, e s'avviò quasi di corsa alla volta del monastero. 

 Era quasi buio e avvertiva un senso di paura; una sensazione nuova stava crescendo dentro di lui, una sensazione della quale non riusciva a rendersi pienamente conto. 

S'era alzato il vento, come la sera prima, il vento e i pini secolari stormivano cupamente intorno a lui, quando entrò nel boschetto dell'eremo. 

Stava quasi correndo. 
"Pater Seraphicus - l'avrà tratta da qualche parte questa definizione - ma da dove?", 
balenò in mente ad Alëša. 

 "Ivan, povero Ivan, quando ti rivedrò ancora? 

Ecco l'eremo, o Signore! Sì, sì, è lui, è il Pater Seraphicus, egli mi salverà... da lui e per sempre!" 

In seguito gli capitò parecchie volte nella vita di provare grande stupore ricordando che, dopo aver salutato Ivan, egli aveva completamente dimenticato il fratello Dmitrij, sebbene quella mattina, solo alcune ore prima, si fosse proposto di trovarlo assolutamente e di non andare via fino a quando non lo avesse trovato, anche a costo di non tornare al monastero per quella notte.