giovedì 22 settembre 2016

ILLUSTRATORI: William Sharp (1900 - 1961)


William Sharp

13 giugno 1900 in Lemberg, Galizien - 1. April 1961 in Queens, New York

Ha illustrato una serie di edizioni de "I Fratelli Karamazov" fra il 1943 e il 1945 per la

Modern Library, New York


.

















MADONNA SISTINA DI DRESDA

I QUADRI CHE DOSTOEVKIJ AMAVA:
RAFFAELLO, MADONNA SISTINA DI DRESDA, 1513-14








Anna Grigor'evna, la moglie di Dostoevskij,

nelle sue memorie 
racconta della sosta a Dresda
durante il viaggio fatto insieme al marito nel 1867:
«Fedor amava molto Dresda, per la sua famosa galleria d’arte e i magnifici giardini.
[...] Discendemmo in uno dei migliori alberghi, cambiammo d’abito, e andammo a visitare il museo, che mio marito volle farmi vedere prima di ogni altra cosa.
[...] Mio marito percorse tutte le sale senza fermarsi e mi condusse direttamente dinanzi alla Madonna Sistina.
Egli considerava questo quadro come il più grande capolavoro creato dal genio umano.
In seguito lo vidi fermo per ore intere davanti a quella visione di bellezza impareggiabile, che egli ammirava con tenerezza e trasporto».


 Gianlorenzo Pacini nel suo "Dostoevskij"(Paravia, Milano 2002) nel Dizionario, 
alla voce "Madonna Sistina" aggiunge che, sempre secondo la testimonianza della moglie, 
D."... trovava nel volto della Vergine di Raffaello un'espressione sofferente." (p. 137)

ETA' DELL'ORO

I QUADRI CHE DOSTOEVKIJ AMAVA:
CLAUDE LORRAIN,
PAESAGGIO MARINO CON ACI E GALATEA, 1657
Dostoevskij lo chiama "ETA' DELL'ORO"









Nella pinacoteca di Dresda
c'è un quadro di Claude Lorrain che, 

secondo il catalogo,
mi pare si chiami "Aci e Galatea", 

ma io l'ho sempre chiamato,
non so perché, "L'età dell'oro".

L'avevo visto altre volte e anche tre giorni prima,
nel mio ultimo passaggio da Dresda.
Questo quadro appunto mi apparve in sogno,
ma non come quadro, ma come qualcosa di vivo.


Era un angolo dell'arcipelago greco;
tenere onde azzurrine, 

isole e rocce, 
rive fiorite,
un incantato panorama 

in lontananza,
un sole invitante 

al tramonto;
con le parole non si può rendere.
Qui l'umanità europea ricorda la sua culla,
qui sono le prime scene della mitologia, 

il suo paradiso terrestre... 

Qui vissero uomini bellissimi!
Essi si alzavano e 

si addormentavano felici e innocenti;
i boschi risuonavano 

delle loro allegre canzoni,
la sovrabbondanza di forze intatte 

si spandeva 
nell'amore
e nella candida gioia.
Il sole inondava con i suoi raggi 

queste isole e questo mare, 
rallegrandosi dei suoi bellissimi figli.
Sogno prodigioso, illusione sublime!
Il sogno più incredibile di quanti ce ne siano mai stati,
ma a cui tutta l'umanità, per tutta la vita, dava la sua forza,
per cui ha sacrificato ogni cosa,
per cui sono morti in croce e sono stati uccisi i suoi profeti;
sogno senza il quale i popoli non vorrebbero vivere
e non potrebbero morire.
Tutta questa sensazione mi parve di provarla in quel sogno:
non so cosa precisamente sognassi,
ma gli scogli, il mare e i raggi obliqui del sole morente
mi pareva ancora di vederli
quando mi svegliai e aprii gli occhi,
per la prima volta in vita mia letteralmente bagnati dalle lacrime. 

Una sensazione di felicità a me ignota
mi attraversò il cuore fino a farmi male.

I Demoni - seconda parte - Cap. 9 - Confessione di Stavrogin
 — presso https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/03/Claude_Lorrain_001.jpg.
...

DOSTOEVSKIJ E IL CIELO STELLATO

Henri Matisse, Icaro (1944-47) Papier decoupé, illustrazione per Jazz.







DOSTOEVSKIJ E IL CIELO STELLATO

Incipit de « Le notti bianche »
Audiolibro

https://www.youtube.com/watch?v=xSfmZgK9mw0

Era una notte meravigliosa, 
una notte come forse ce ne possono essere soltanto 
quando siamo giovani, amabile lettore. 

Il cielo era così pieno di stelle, così luminoso 

che, gettandovi uno sguardo, senza volerlo si era costretti a domandare a se stessi: 
è mai possibile che sotto un cielo simile 
possa vivere ogni sorta di gente collerica e capricciosa? [...]
Da I fratelli Karamazov
Libro VII - cap. IV . Cana di Galilea



[...] La volta celeste, 
punteggiata di placide stelle splendenti, 
si stendeva ampia e sconfinata sopra di lui. 
La Via Lattea si allungava in due pallide striature dallo zenit all'orizzonte. 
La notte fresca e tranquilla sino all'immobilità avvolgeva la terra intera.

Le bianche torri e le cupole dorate della cattedrale 
rilucevano sullo sfondo del cielo color zaffiro. 
I lussureggianti fiori autunnali delle aiuole intorno alla casa si
erano assopiti in attesa del giorno. 

Il silenzio della terra sembrava fondersi con quello del cielo, 
il segreto della terra faceva tutt'uno con quello delle stelle... 

Alëša stava in piedi, ad osservare la notte, 
quando ad un tratto si gettò di colpo per terra.
Non sapeva
perché stesse abbracciando la terra, 
non si spiegava
perché desiderasse così irrefrenabilmente baciarla, 
eppure la baciava,
piangendo, singhiozzando, 
la irrorava con le sue lacrime 
e giurava appassionatamente di amarla, 
di amarla nei secoli dei secoli. 

"Irrora la terra con le lacrime della tua gioia e amale quelle tue lacrime..." - 
risuonò dentro di lui. Per che cosa stava piangendo?
Oh, nella sua esultanza egli piangeva persino per quelle lacrime 
che brillavano per lui dall'abisso della notte,
e "non si vergognava della propria estasi".
Era come se i fili di tutti questi innumerevoli mondi divini 
si fossero uniti tutti insieme nella sua anima 
ed essa trepidasse "al contatto con gli altri mondi". 
Aveva voglia di perdonare tutti, di tutto 
e di chiedere perdono, ma non per se stesso - no! -
ma per tutti, per tutto e per ogni cosa, 
mentre "per me saranno gli altri a chiedere" - 
gli risuonò ancora nella mente. 
Ma ad ogni istante egli avvertiva chiaramente, 
e quasi tangibilmente, 
che qualcosa di stabile e imperturbabile, 
come la volta del cielo, 
era penetrato nella sua anima. [...]

Libro VIII - cap. VI – Ecco che arrivo anch’io!
Audiolibro Parte 53 - inizio
https://www.youtube.com/watch?v=1RLiq7ol2IE

Nel frattempo, Dmitrij Fëdoroviè volava 
verso la sua destinazione.
Mokroe si trovava a poco più di venti verste, 
ma i tre cavalli di Andrej
galoppavano così spediti che avrebbero potuto coprire quella distanza 
in un'ora e un quarto. 
Il ritmo sostenuto del viaggio corroborò Mitja.

L'aria era fresca e pungente, nel cielo terso brillavano, enormi, le stelle.
Era la stessa notte e forse la stessa ora in cui Alëša, 
crollato a terra, 
aveva giurato, in estasi, "che avrebbe amato la terra nei secoli dei secoli". 

Ma nell'anima di Mitja c'era confusione, 
solo confusione e, 
sebbene molte cose
stessero lacerando la sua anima, 
eppure, in quel momento, tutto il suo essere 
era irresistibilmente attratto soltanto da lei, dalla sua regina, da colei
verso la quale stava volando per guardarla per l'ultima volta. [...]

mercoledì 21 settembre 2016

IL PADRE AL MOMENTO DEL RITORNO DEI FIGLLI


FIODOR PAVLOVIC KARAMAZOV

A proposito di Fëdor Pavloviè, prima dell'arrivo di Alëša, egli si era assentato per un bel pezzo dalla nostra città. Tre, quattro anni dopo la morte della seconda moglie si era recato nel sud della Russia e alla fine si era trovato ad Odessa dove aveva vissuto alcuni anni di seguito. Dapprima, secondo le sue stesse parole, aveva frequentato «molti giudei, giudee, giudeucci e giudeini», tanto che finì per essere accolto non solo dai giudei «ma anche dagli ebrei». È probabile che proprio in quel periodo della sua vita egli sviluppasse una particolare abilità nell'accumulare ed estorcere denaro. Fece di nuovo e definitivamente ritorno nella nostra cittadina solo tre anni prima dell'arrivo di Alëša. Gli amici di un tempo lo trovarono terribilmente invecchiato, benché non fosse poi così vecchio. Si comportava in modo non certo più dignitoso di prima, anzi era diventato ancora più spudorato. 

Per esempio, nel buffone di un tempo era spuntata l'insolente esigenza di far fare i buffoni agli altri. 

La sua depravazione con il gentil sesso non era la solita di sempre, ma addirittura più disgustosa. Presto istituì un gran numero di nuove bettole nel distretto. 

Era evidente che possedeva forse un capitale di centomila rubli o poco meno. Molti abitanti della città e del distretto presero subito a indebitarsi con lui, a fronte di garanzie più che consistenti, s'intende. 

Negli ultimissimi tempi si era come inflaccidito, aveva iniziato a perdere l'equilibrio, l'autocontrollo, era caduto persino in uno stato di trasandatezza, cominciava con il fare una cosa e finiva con un'altra, si disperdeva e sempre più spesso si ubriacava da non reggersi in piedi e se non fosse stato per il servitore Grigorij, ormai anch'egli molto invecchiato, che si prendeva cura di lui, a volte come un vero istitutore, forse Fëdor Pavloviè avrebbe passato un sacco di guai.[...] 

DESCRIZIONE FISICA
Ho già detto che si era molto inflaccidito.
La sua fisionomia in quel periodo presentava alcuni tratti 
che testimoniavano chiaramente 
il tipo e la natura di vita che aveva condotto fino a quel momento.
Oltre alle lunghe e carnose borse sotto gli occhi minuti,
dall'espressione eternamente
impudente, sospettosa e beffarda,
oltre a una miriade di profonde rughe
che gli solcavano il viso piccolo ma grasso,
sotto il mento aguzzo
gli pendeva anche un grosso pomo d'Adamo,
carnoso e allungato come un portamonete,
che gli conferiva un'aria disgustosamente lasciva.
Aggiungete a questo una lunga bocca vorace
con le labbra carnose
tra le quali spuntavano piccoli frammenti 
di denti neri quasi sgretolati.
Spruzzava saliva ogni volta che iniziava a parlare.
Del resto, egli stesso amava scherzare sul suo viso,
sebbene pareva che ne fosse abbastanza soddisfatto.
Soleva indicare soprattutto il proprio naso, non molto grosso,
ma affilato e sensibilmente aquilino:

«Un vero naso romano», diceva:
«insieme al pomo d'Adamo, mi dà una vera fisionomia
da patrizio dell'antica Roma nel periodo decadente».

Sembrava che ne andasse fiero.


GRUSCHENKA: prima apparizione

                                   GRUSCHENKA



(vista con gli occhi di Alioscia)

" [...] Eccola, quella donna terribile, la "belva"
com'era sfuggito di dire al fratello Ivan mezz'ora prima. 

Eppure si sarebbe detto 
che quella fanciulla lì davanti a lui 
fosse la creatura più ordinaria e semplice, 
una donna buona e gentile, 
anche bella, certo, 
però così simile ad altre donne belle, 
ma "ordinarie"! 

In verità, ella era molto, molto bella, 
era una bellezza russa di quelle che molti amano alla follia. 

Era una donna piuttosto alta, 
leggermente più bassa di Katerina Ivanovna però 
(quella era eccezionalmente alta), 

piena, dai movimenti del corpo morbidi, come silenziosi, 
quasi illanguiditi in quella stessa particolare mellifluità 
che caratterizzava pure la sua voce. 

Si accostò ad Alëša non come Katerina Ivanovna, 
con una camminata energica e piena di vitalità, 
ma al contrario, con andatura quasi silenziosa. 

I suoi passi sul pavimento 
non producevano assolutamente alcun rumore. 
Si lasciò cadere mollemente nella poltrona, 
facendo frusciare lievemente il sontuoso abito di seta nera 
e avvolgendo dolcemente il collo pieno, 
candido come schiuma, 
e le ampie spalle 
in un prezioso scialle nero di lana. 

Aveva ventidue anni 
e il suo viso dimostrava esattamente quell'età. 

Era molto pallida in volto, 
con una sfumatura di rosa chiaro sugli zigomi. 
I contorni del suo viso erano un po' troppo larghi 
e la mascella inferiore sporgeva un pochino in avanti. 
Il labbro superiore era sottile, 
mentre quello inferiore, leggermente sporgente, 
era due volte più pieno, quasi rigonfio. 
Ma i magnifici, foltissimi capelli biondo cupo, 
le sopracciglia nere e folte, 
gli incantevoli occhi grigio-azzurri 
dalle lunghe ciglia 
avrebbero immancabilmente costretto 
anche la persona più indifferente e distratta 
che l'avesse incontrata casualmente 
in mezzo alla folla per strada, 
a fermarsi all'istante davanti a quel viso 
e a ricordarlo poi a lungo. 

Quello che colpì più di tutto Alëša in quel viso 
fu l'espressione infantile, ingenua. 
Aveva lo sguardo di un bambino; 
era, per qualche ragione, allegra come un bambino; 
si era avvicinata al tavolo "raggiante di gioia" 
e sembrava che aspettasse qualcosa 
con la curiosità tipica dei bambini, impaziente e fiduciosa. 

Lo sguardo di lei rallegrava l'anima - Alëša lo sentiva. 

C'era anche qualcos'altro in lei, 
che Alëša non poteva o non sarebbe stato in grado di definire, 
ma che, forse, egli avvertiva inconsciamente: 
proprio quella dolcezza, 
quella dolcezza nei movimenti del suo corpo, 
quella silenziosità felina dei suoi movimenti. 
Eppure era un corpo vigoroso e abbondante. 
Sotto lo scialle si profilavano 
le spalle piene e ampie, 
il petto alto, ancora da giovanetta. 
Quel corpo suggeriva le linee della Venere di Milo, 
sebbene, probabilmente, in proporzioni già piuttosto abbondanti - 
questo si intuiva. 

Gli esperti della bellezza femminile russa 
avrebbero potuto prevedere con certezza, 
guardando Grušen'ka, 
che quella bellezza fresca, ancora giovane, 
verso i trent'anni avrebbe perso la sua armonia, 
si sarebbe sformata, 
che il viso si sarebbe appesantito, 
le rughe si sarebbero formate con straordinaria rapidità 
intorno agli occhi e alle labbra, 
la carnagione del viso si sarebbe indurita e, forse, arrossata - 
insomma, che quella era la bellezza di un momento, 
quella bellezza effimera 
che così spesso si incontra proprio nelle donne russe."


Libro III, capitolo X, L'una e l'altra insieme



DUE DONNE PER MITJA








GRUSCHENKA





(vista con gli occhi di Alioscia)

" [...] Eccola, quella donna terribile, la "belva"
com'era sfuggito di dire al fratello Ivan mezz'ora prima. 

Eppure si sarebbe detto 
che quella fanciulla lì davanti a lui 
fosse la creatura più ordinaria e semplice, 
una donna buona e gentile, 
anche bella, certo, 
però così simile ad altre donne belle, 
ma "ordinarie"! 

In verità, ella era molto, molto bella, 
era una bellezza russa di quelle che molti amano alla follia. 

Era una donna piuttosto alta, 
leggermente più bassa di Katerina Ivanovna però 
(quella era eccezionalmente alta), 

piena, dai movimenti del corpo morbidi, come silenziosi, 
quasi illanguiditi in quella stessa particolare mellifluità 
che caratterizzava pure la sua voce. 

Si accostò ad Alëša non come Katerina Ivanovna, 
con una camminata energica e piena di vitalità, 
ma al contrario, con andatura quasi silenziosa. 

I suoi passi sul pavimento 
non producevano assolutamente alcun rumore. 
Si lasciò cadere mollemente nella poltrona, 
facendo frusciare lievemente il sontuoso abito di seta nera 
e avvolgendo dolcemente il collo pieno, 
candido come schiuma, 
e le ampie spalle 
in un prezioso scialle nero di lana. 

Aveva ventidue anni 
e il suo viso dimostrava esattamente quell'età. 

Era molto pallida in volto, 
con una sfumatura di rosa chiaro sugli zigomi. 
I contorni del suo viso erano un po' troppo larghi 
e la mascella inferiore sporgeva un pochino in avanti. 
Il labbro superiore era sottile, 
mentre quello inferiore, leggermente sporgente, 
era due volte più pieno, quasi rigonfio. 
Ma i magnifici, foltissimi capelli biondo cupo, 
le sopracciglia nere e folte, 
gli incantevoli occhi grigio-azzurri 
dalle lunghe ciglia 
avrebbero immancabilmente costretto 
anche la persona più indifferente e distratta 
che l'avesse incontrata casualmente 
in mezzo alla folla per strada, 
a fermarsi all'istante davanti a quel viso 
e a ricordarlo poi a lungo. 

Quello che colpì più di tutto Alëša in quel viso 
fu l'espressione infantile, ingenua. 
Aveva lo sguardo di un bambino; 
era, per qualche ragione, allegra come un bambino; 
si era avvicinata al tavolo "raggiante di gioia" 
e sembrava che aspettasse qualcosa 
con la curiosità tipica dei bambini, impaziente e fiduciosa. 

Lo sguardo di lei rallegrava l'anima - Alëša lo sentiva. 

C'era anche qualcos'altro in lei, 
che Alëša non poteva o non sarebbe stato in grado di definire, 
ma che, forse, egli avvertiva inconsciamente: 
proprio quella dolcezza, 
quella dolcezza nei movimenti del suo corpo, 
quella silenziosità felina dei suoi movimenti. 
Eppure era un corpo vigoroso e abbondante. 
Sotto lo scialle si profilavano 
le spalle piene e ampie, 
il petto alto, ancora da giovanetta. 
Quel corpo suggeriva le linee della Venere di Milo, 
sebbene, probabilmente, in proporzioni già piuttosto abbondanti - 
questo si intuiva. 

Gli esperti della bellezza femminile russa 
avrebbero potuto prevedere con certezza, 
guardando Grušen'ka, 
che quella bellezza fresca, ancora giovane, 
verso i trent'anni avrebbe perso la sua armonia, 
si sarebbe sformata, 
che il viso si sarebbe appesantito, 
le rughe si sarebbero formate con straordinaria rapidità 
intorno agli occhi e alle labbra, 
la carnagione del viso si sarebbe indurita e, forse, arrossata - 
insomma, che quella era la bellezza di un momento, 
quella bellezza effimera 
che così spesso si incontra proprio nelle donne russe."


Libro III, capitolo X, L'una e l'altra insieme


KATJA 

(Katerina Ivanovna)



Martin Mendgen, (1893-1970), Lady in mourning, 1930

http://vangoyourself.com/paintings/lady-in-mourning/



(vista con gli occhi di Aliosha)

Tre settimane prima
"[..] La bellezza di Katerina Ivanovna 

aveva già in precedenza colpito Alëša 
quando il fratello Dmitrij, 
tre settimane prima circa, 
lo aveva condotto da lei la prima volta, 
secondo il vivissimo desiderio di Katerina Ivanovna in persona, 
per presentarlo alla fanciulla. 

Durante quell'incontro i due non avevano conversato. 
Supponendo che Alëša fosse molto imbarazzato,
Katerina Ivanovna lo aveva, 
in un certo senso, risparmiato, 
e per quella volta aveva parlato tutto il tempo con Dmitrij Fëdoroviè.
 Alëša aveva taciuto, 
ma aveva osservato molte cose con attenzione. 
Lo avevano colpito l'imperiosità, la fiera disinvoltura, 
la sicurezza in se stessa dell'altera ragazza. 
E tutto questo era indubbio. Alëša sentiva di non esagerare. 

Egli trovò che i suoi grandi e ardenti occhi neri 
fossero bellissimi 
e si adattassero in particolar modo al suo viso pallido, 
quasi olivastro, e piuttosto lungo. 
Ma in quegli occhi, 
come anche nel disegno delle magnifiche labbra, 
c'era qualcosa di particolare 
del quale certo il fratello aveva potuto innamorarsi 
sino a perdere la testa, 


ma che, forse, non era possibile amare a lungo.

LibroIII, capitolo X, L'una e l'altra insieme