mercoledì 21 settembre 2016

PELLEGRINE FEDELI: LE CONTADINE



LO STAREC RICEVE LE CONTADINE




IL DOLORE DEL MONDO CONTADINO:


"C'è nel popolo un dolore silenzioso e persistente, esso si rinchiude in se stesso e tace.
Ma esiste pure un dolore che esplode: esso prorompe una volta in
lacrime e da quel momento si sfoga nella lamentazione.
Accade soprattutto nelle donne. Ma questo dolore non è più sopportabile del dolore silenzioso.
I lamenti leniscono solo nel momento in cui inaspriscono e lacerano il
cuore ancora di più.
Un tale dolore non desidera consolazione, ma si
alimenta con il senso della propria inguaribilità. I lamenti nascono solo
dalla voglia di riaprire continuamente la ferita."




LE KLIKUSCI


Giacomo Balla, La Pazza (1905), olio su tela, cm 175 x 115. Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna.

... Non so come sia adesso, ma quando ero piccolo mi capitava spesso di vedere queste klikuši nei villaggi e nei monasteri. 
Le accompagnavano alla messa, quelle strillavano e latravano come cani per tutta la chiesa, ma quando portavano
fuori i sacramenti ed esse vi venivano avvicinate, l'"ossessione" cessava e le malate si calmavano per un po' di tempo. 
Da piccolo quello spettacolo mi impressionava e mi stupiva molto. Ma alle domande che allora facevo in proposito, mi sentivo rispondere da alcuni proprietari, e soprattutto dai miei insegnanti di città, che quella era tutta una messinscena per non
lavorare, una finzione che si poteva sempre estirpare con l'adeguata severità; a conferma di questo si citavano diversi aneddoti.
Ma in seguito, con mia meraviglia, appresi da medici specialisti che non si tratta affatto di finzione, ma che quella è una terribile malattia attestante, pare soprattutto da noi in Russia, il pesante destino delle nostre contadine; si tratta di un malattia causata dalle estenuanti fatiche affrontate subito dopo un parto
difficile, irregolare e avvenuto senza alcuna assistenza medica; inoltre deriva dal dolore represso, dalle percosse e da altre sofferenze del genere che alcune nature femminili non riescono a sopportare, come di solito accade.

Da Libro II - cap. III, Pellegrine fedeli (pp. 68-69)


L'OMICIDA

UNA MOGLIE CONTADINA CHE NON NE POTEVA PIU'...



Kazimir Severinovich Malevich, La mietitrice, 1912, Astrakhan, Galleria Statale d’Arte “P.M. Dogadin”https://seimani.wikispaces.com/rosso+suprematista


Ma lo starec aveva già notato nella folla i due occhi ardenti
che lo fissavano di una contadina estenuata,
dall'aspetto tisico, sebbene ancora giovane. 
Ella lo guardava in silenzio con lo sguardo implorante,
ma sembrava avesse paura di avvicinarsi.
«Che c'è, figliola?»
«Assolvi la mia anima, padre caro», ella disse dolcemente,
lentamente, poi s'inginocchiò e si prostrò ai suoi piedi.
«Ho peccato, padre, e ho paura del mio peccato».
Lo starec si sedette sul gradino più basso, la giovane gli si avvicinò, rimanendo in ginocchio.
«Sono vedova da tre anni», cominciò a dire in un sussurro, quasi
rabbrividendo.
«Era dura la vita con mio marito, lui era vecchio, e mi
picchiava senza pietà. Cadde malato, io pensavo guardandolo: ma se guarisce, se si alza, che cosa accadrà?
E così mi venne in mente quel pensiero...»

«Ferma!»,
disse lo starec e avvicinò l'orecchio alle labbra di lei.



NON CI CAMPANO I FIGLIOLINI A NOI!




Malevich Kazimir Severinovich,  Contadina (1910), olio su tela, cm 83x60.http://www.leggievai.it/.../russie-memoria.../

In pellegrinaggio dallo starec Zosima:

«Ah, ecco una che arriva da lontano!», e indicò 
una donna non vecchia, ma molto magra e provata,
con il viso annerito, più che abbronzato dal sole.
Ella stava in ginocchio e puntava sullo starec
uno sguardo fisso fisso.
I suoi occhi avevano un'espressione quasi stralunata.
«Da lontano, batjuška, da lontano, trecento verste da qui. Da lontano, padre, da lontano», prese a cantilenare la donna, dondolando ritmicamente la testa da un lato e dall'altro
con la guancia poggiata sul palmo della mano.

Sembrava che avesse intonato un canto funebre. […]

«Perché piangi?»
«Sto in pena per il mio figlioletto, batjuška, aveva tre anni,
mancavano soli tre mesi e avrebbe compiuto tre anni.
Mi tormento per il mio bambino, padre, per il mio bambino.

Era rimasto l'ultimo figlio, con Nikituška ne avevamo quattro,
ma non ci campano i figliolini a noi, non ci campano, carissimo. Ho seppellito i primi tre, ma non li ho pianti molto;
ho seppellito quest'ultimo e non riesco a levarmelo dalla testa.
È come se mi stesse sempre davanti agli occhi,
non mi lascia mai. Mi ha prosciugato l'anima.
Guardo i suoi abitini, la camicina, gli scarponcini e comincio a
piangere. Metto davanti a me quello che ha lasciato, guardo ogni sua cosa e piango. Dico a Nikituška, mio marito:
lasciami andare in pellegrinaggio, padrone.
Lui fa il vetturino, non siamo poveri, padre, non siamo poveri,
amministriamo noi stessi l'impresa,
è tutto di nostra proprietà, cavalli e carrozza.
Ma a che ci serve quella roba adesso?
Senza di me avrà cominciato a bere, il mio Nikituška,
questo è sicuro, anche prima era così:
non facevo in tempo a girarmi che lui ci ricascava.
Ma adesso io non penso a lui. Sono già tre mesi che sono fuori di casa. Ho dimenticato, ho dimenticato tutto e non voglio ricordare, e che cosa ci potrei fare con lui adesso?
È finita con lui, è finita, è finita con tutti.
Non baderei alla casa adesso,
non baderei alla mia roba, ai miei averi,
non voglio vedere niente!»


Nikolay Alexandrovich Yaroshenko, Funerale del primogenito, 1893 


Libro II, cap. 3 . Pellegrine fedeli