mercoledì 21 settembre 2016

GRUSCHENKA: prima apparizione

                                   GRUSCHENKA



(vista con gli occhi di Alioscia)

" [...] Eccola, quella donna terribile, la "belva"
com'era sfuggito di dire al fratello Ivan mezz'ora prima. 

Eppure si sarebbe detto 
che quella fanciulla lì davanti a lui 
fosse la creatura più ordinaria e semplice, 
una donna buona e gentile, 
anche bella, certo, 
però così simile ad altre donne belle, 
ma "ordinarie"! 

In verità, ella era molto, molto bella, 
era una bellezza russa di quelle che molti amano alla follia. 

Era una donna piuttosto alta, 
leggermente più bassa di Katerina Ivanovna però 
(quella era eccezionalmente alta), 

piena, dai movimenti del corpo morbidi, come silenziosi, 
quasi illanguiditi in quella stessa particolare mellifluità 
che caratterizzava pure la sua voce. 

Si accostò ad Alëša non come Katerina Ivanovna, 
con una camminata energica e piena di vitalità, 
ma al contrario, con andatura quasi silenziosa. 

I suoi passi sul pavimento 
non producevano assolutamente alcun rumore. 
Si lasciò cadere mollemente nella poltrona, 
facendo frusciare lievemente il sontuoso abito di seta nera 
e avvolgendo dolcemente il collo pieno, 
candido come schiuma, 
e le ampie spalle 
in un prezioso scialle nero di lana. 

Aveva ventidue anni 
e il suo viso dimostrava esattamente quell'età. 

Era molto pallida in volto, 
con una sfumatura di rosa chiaro sugli zigomi. 
I contorni del suo viso erano un po' troppo larghi 
e la mascella inferiore sporgeva un pochino in avanti. 
Il labbro superiore era sottile, 
mentre quello inferiore, leggermente sporgente, 
era due volte più pieno, quasi rigonfio. 
Ma i magnifici, foltissimi capelli biondo cupo, 
le sopracciglia nere e folte, 
gli incantevoli occhi grigio-azzurri 
dalle lunghe ciglia 
avrebbero immancabilmente costretto 
anche la persona più indifferente e distratta 
che l'avesse incontrata casualmente 
in mezzo alla folla per strada, 
a fermarsi all'istante davanti a quel viso 
e a ricordarlo poi a lungo. 

Quello che colpì più di tutto Alëša in quel viso 
fu l'espressione infantile, ingenua. 
Aveva lo sguardo di un bambino; 
era, per qualche ragione, allegra come un bambino; 
si era avvicinata al tavolo "raggiante di gioia" 
e sembrava che aspettasse qualcosa 
con la curiosità tipica dei bambini, impaziente e fiduciosa. 

Lo sguardo di lei rallegrava l'anima - Alëša lo sentiva. 

C'era anche qualcos'altro in lei, 
che Alëša non poteva o non sarebbe stato in grado di definire, 
ma che, forse, egli avvertiva inconsciamente: 
proprio quella dolcezza, 
quella dolcezza nei movimenti del suo corpo, 
quella silenziosità felina dei suoi movimenti. 
Eppure era un corpo vigoroso e abbondante. 
Sotto lo scialle si profilavano 
le spalle piene e ampie, 
il petto alto, ancora da giovanetta. 
Quel corpo suggeriva le linee della Venere di Milo, 
sebbene, probabilmente, in proporzioni già piuttosto abbondanti - 
questo si intuiva. 

Gli esperti della bellezza femminile russa 
avrebbero potuto prevedere con certezza, 
guardando Grušen'ka, 
che quella bellezza fresca, ancora giovane, 
verso i trent'anni avrebbe perso la sua armonia, 
si sarebbe sformata, 
che il viso si sarebbe appesantito, 
le rughe si sarebbero formate con straordinaria rapidità 
intorno agli occhi e alle labbra, 
la carnagione del viso si sarebbe indurita e, forse, arrossata - 
insomma, che quella era la bellezza di un momento, 
quella bellezza effimera 
che così spesso si incontra proprio nelle donne russe."


Libro III, capitolo X, L'una e l'altra insieme