mercoledì 21 settembre 2016

LIZAVETA

Lizaveta Smerdjascaja, la "Puzzolente"


Vincenzo Gemito, (Napoli 1852–1929) 
Ragazza dormiente, firmato, datato e iscritto V. Gemito, Roma, 1916 6 Luglio, gessetto nero e biacca su cartone, cm. 37,5 x 46,

Libro III, capitolo II. (flash-back)
"[...] Questa Lizaveta Smerdjascaja era una ragazzetta di bassissima
statura, "un esserino sul metro e mezzo", come dicevano commosse di lei,
dopo la sua morte, molte vecchiette devote della nostra cittadina. Il suo
viso da ventenne, florido, ampio e colorito, aveva un'espressione
completamente idiota; anche lo sguardo dei suoi occhi era fisso e
sgradevole, sebbene mite. Per tutta la vita aveva sempre vagabondato
scalza, sia d'inverno sia d'estate, con indosso soltanto una camiciola di
canapa. I suoi capelli scuri, quasi neri, straordinariamente folti, arricciati
come quelli di un montone, le spuntavano sulla testa come una specie di
enorme cappello. Inoltre erano sempre impiastricciati di terra e fango e
pieni di foglioline, scheggette, trucioli appiccicati, in quanto ella dormiva
sempre per terra, in mezzo al fango. [...]"
OLTRAGGIO AL PLENILUNIO
"Accadde un giorno (molti anni fa), 
in una notte di luna piena 
tiepida e luminosa,
in settembre,
a un'ora molto tarda, secondo le nostre abitudini,
che una combriccola brilla di nostri concittadini, cinque o sei giovanotti,
tornasse dal club dopo una serata di bagordi, per una viuzza che
attraversava i cortiletti sul retro delle case.
Su entrambi i lati della viuzza si
snodavano le siepi dietro le quali si allungavano gli orti delle case attigue;
la viuzza sbucava su un ponticello che attraversava quella pozza d'acqua
fetida che da noi si suole chiamare fiumicello.
Presso la siepe, fra le
ortiche e la lappola, la nostra combriccola scorse Lizaveta che dormiva.
Gli avvinazzati signori si soffermarono accanto a lei ridendo e si misero a
fare dello spirito con la più sfacciata licenziosità. Ad uno di quei signorotti
venne ad un tratto in mente una domanda davvero singolare su un
argomento assurdo: "Sarebbe possibile che qualcuno consideri una bestia
del genere come una donna, e quindi..." e così via.
Tutti con fiero disgusto
decretarono che sarebbe stato impossibile.
Ma anche Fëdor Pavloviè si
trovava a far parte di quella combriccola, e questi subito saltò su e disse
che era possibile considerarla una donna, anzi possibilissimo e che nella
cosa ci sarebbe stato anche un che di piccante, eccetera eccetera.
Vero è
che da noi, in quel periodo egli si era esageratamente compenetrato nel
ruolo di buffone, gli piaceva mettersi in mostra e divertire i signori come
se fosse un loro pari, sebbene, in realtà, ai loro occhi fosse un perfetto
zoticone.
Era quello lo stesso periodo nel quale aveva ricevuto da
Pietroburgo la notizia della morte della sua prima moglie, Adelaida
Ivanovna e, con la fascia del lutto sul cappello, beveva e combinava tante
di quelle porcherie che alcuni dei peggiori libertini, nostri concittadini,
provavano disgusto a vederlo.
La combriccola, ovviamente, rise a
crepapelle sentendo formulare questa opinione inattesa, qualcuno cominciò
persino a istigare Fëdor Pavloviè, mentre gli altri si misero a manifestare il
loro ribrezzo più di prima, seppure con la stessa smodata allegria.
Alla fine
proseguirono per la loro strada.
In seguito Fëdor Pavloviè giurò di essere
andato via anche lui con gli altri quella sera: può anche darsi che le cose
fossero andate così, nessuno può saperlo per certo, né nessuno saprà mai
quale sia la verità, fatto sta che cinque o sei mesi più tardi in tutta la città si
cominciò a parlare, con intensa e sincera indignazione, della gravidanza di
Lizaveta: ci si domandava e si indagava di chi fosse la colpa e chi fosse
l'oltraggiatore. In quell'occasione si diffuse per tutta la città la terribile
voce che l'oltraggiatore altri non fosse che Fëdor Pavloviè."


NASCITA DI SMERDIAKOV

"[...] Accadde che proprio la notte successiva alla sepoltura del piccino dalle sei dita, 
Marfa Ignat'evna, fu svegliata da un rumore simile al pianto di un neonato. 
Si spaventò e svegliò il marito. 
Quello si mise in ascolto e disse che gli sembrava piuttosto che qualcuno si stesse lamentando, "sembrerebbe una donna". 
Si alzò, si vestì; 
era una sera di maggio abbastanza mite. 
Uscito sul terrazzino, sentì distintamente che i lamenti provenivano dal giardino. 
Ma il giardino era stato chiuso a chiave per la notte dalla parte del cortile 
e non c'era altro modo di entrarvi, 
dal momento che esso era cinto tutt'intorno da uno steccato alto e solido. 
Grigorij rientrò in casa, accese una lanterna, prese la chiave del giardino e, senza badare alle paure isteriche della moglie, ancora convinta di sentire il pianto di un bambino, anzi, sicuramente, del suo bambino che piangeva e la chiamava, si recò in silenzio nel giardino. 
Lì si accorse chiaramente che i gemiti provenivano dalla casetta del bagno situata nel giardino
poco distante dalla porticina, e che a lamentarsi era proprio una donna. 
Aprì la porta del bagno e vide uno spettacolo che lo lasciò di stucco: 
una mentecatta della città, una che vagabondava per strada 
ed era conosciuta da tutti in città con il soprannome di Lizaveta Smerdjascaja, 
si era rifugiata nella loro casetta da bagno 
e aveva appena dato alla luce un bambino. 
Il bimbo giaceva accanto a lei ed ella stava morendo accanto a lui.
Non disse nulla semplicemente perché non aveva mai saputo parlare."


Libro III, capitolo I, Nei locali della servitù
(l'evento è anticipato nel capitolo precedente)