mercoledì 11 agosto 2021

Michail Makaroviè Makarov, CAPO DELLA POLIZIA

 






Il nostro capo della polizia, Michail Makaroviè Makarov, tenente colonnello a riposo, ora nominato consigliere di tribunale, era un brav'uomo, vedovo. Era venuto dalle nostre parti solo tre anni prima, ma si era già conquistato la stima generale soprattutto per il fatto che sapeva "tenere unita la società mondana". Riceveva ospiti in continuazione, anzi sembrava che senza di essi non sarebbe riuscito a vivere. Immancabilmente aveva qualcuno a pranzo, anche solo un paio di ospiti, anche solo uno, ma senza ospiti non si sedeva neanche a tavola. Dava anche pranzi di gala con pretesti di ogni genere, a volte anche inattesi. Le pietanze non erano ricercate, ma abbondanti, si servivano eccellenti pasticci di pesce, mentre i vini compensavano con la quantità la qualità, non delle migliori. Nella camera d'ingresso aveva il biliardo inserito in un arredamento molto decoroso, cioè addirittura con stampe di cavalli da corsa inglesi in cornici nere lungo le pareti, il che, com'è noto, costituisce un ornamento indispensabile nelle sale da biliardo di ogni scapolo. Ogni sera si giocava a carte, foss'anche ad un tavolo solo. Ma molto spesso si riuniva da lui la crema della nostra società, con tanto di mamme e figliole, per fare quattro salti. Nonostante fosse vedovo, Michail Makaroviè conduceva vita di famiglia, dal momento che in casa con lui abitava la figlia, anche lei vedova da molto tempo, a sua volta madre di due ragazze, le nipoti di Michail Makaroviè. Le ragazze erano già adulte e avevano terminato i loro studi, erano di aspetto gradevole, di carattere allegro e, sebbene fosse noto a tutti che non avevano dote, tuttavia attiravano a casa del nonno uno stuolo di giovanotti del bel mondo. Nel lavoro Michail Makaroviè non era proprio una cima, però adempiva ai suoi doveri non peggio di tanti altri. A dirla tutta, era un uomo di cultura abbastanza limitata e persino indolente nel comprendere i limiti del suo potere amministrativo. Non si poteva dire che non cogliesse il senso di alcune riforme adottate durante il regime vigente, però commetteva errori, a volte anche molto grossolani, nella loro interpretazione e questo non già a causa di qualche particolare incapacità da parte sua, ma semplicemente per via della sua negligenza, perché aveva sempre troppa fretta per approfondire qualcosa. «Ho un'anima più da soldato che da civile, io», soleva dire di sé. Non si era nemmeno formato un'idea precisa e definitiva dei principi fondamentali delle riforme connesse con l'emancipazione dei servi, ma ne apprendeva qualcosa, diciamo così, di anno in anno, moltiplicando le proprie conoscenze senza volerlo, con la pratica, e dire che anche lui era un proprietario terriero. Pëtr Il'iè aveva la certezza che quella sera avrebbe incontrato qualche ospite a casa di Michail Makaroviè, solo che non sapeva chi di preciso. Infatti in quel momento si trovavano a casa sua a giocare a eralaš il procuratore, il medico del nostro distretto, Varvinskij, un giovanotto appena arrivato dalla facoltà di medicina di Pietroburgo, dove si era laureato a pieni voti. Il procuratore invece - che in realtà era il sostituto procuratore ma tutti da noi lo chiamavano procuratore - Ippolit Kirilloviè, era un uomo piuttosto singolare: era giovane, aveva solo trentacinque anni, ma molto predisposto alla tisi, era sposato a una donna molto grassa e non aveva figli, era ambizioso e suscettibile, eppure dotato di solida intelligenza e anche di buon cuore. Si sarebbe detto che il suo problema fosse quello di avere un concetto di sé molto più alto di quanto gli consentissero le sue vere qualità. Ecco perché aveva sempre un aspetto inquieto. Per di più aveva anche delle velleità di ordine superiore, addirittura di natura artistica, per esempio tendeva a fare della psicologia, si atteggiava a profondo conoscitore dell'animo umano, credeva di essere particolarmente dotato nella comprensione del criminale e del suo crimine. A questo riguardo egli si considerava piuttosto danneggiato e maltrattato nel lavoro, ed era sempre stato convinto che là, nelle alte sfere, non sapessero apprezzarlo e che molti gli fossero nemici. Nei momenti neri, minacciava persino di lasciare il suo posto per darsi alla professione di penalista. L'imprevedibile caso del parricidio dei Karamazov lo scosse profondamente: «Un caso del quale si sarebbe molto parlato nella Russia intera». Ma sto correndo troppo.