giovedì 19 agosto 2021

LA SCOPERTA DELL'OMICIDIO DI FEDOR

LIBRO NONO - CAPITOLO SECONDO



ALLARME

  Marfa Ignat'evna, la moglie di Grigorij - il servo atterrato presso lo steccato - che stava dormendo sodo nel proprio letto e avrebbe potuto andare avanti così sino a mattina, si era svegliata all'improvviso. Senz'altro il suo risveglio era stato causato dall'agghiacciante urlo epilettico di Smerdjakov, che giaceva nella cameretta accanto privo di conoscenza - quel grido, che sempre segnalava l'inizio dei suoi attacchi di mal caduco e che sempre, in tutta la sua vita, aveva spaventato a morte Marfa Ignat'evna, aveva un effetto sconvolgente su di lei. Non era mai riuscita ad abituarsi ad esso. Balzò in piedi mezza addormentata e quasi nel dormiveglia corse nello sgabuzzino, da Smerdjakov. Ma lì era buio, si sentiva soltanto che il malato cominciava a rantolare e a dibattersi. A quel punto si mise a gridare anche lei e a chiamare il marito, ma ad un tratto le venne in mente l'idea che Grigorij non fosse a letto quando lei si era alzata. Corse al letto e lo tastò di nuovo: era davvero vuoto. Dunque era andato da qualche parte, ma dove? Corse fuori sul terrazzino d'ingresso e lo chiamò timidamente da lì. Ovviamente non ricevette risposta, però udì, nel silenzio della notte, dei gemiti che provenivano da lontano, come da un punto nel giardino. Tese l'orecchio: i gemiti si ripeterono ed ebbe la certezza che provenissero dal giardino. "Dio mio, proprio come quella volta di Lizaveta Smerdjascaja!" balenò nella sua mente sconvolta. Ella scese timidamente gli scalini e intravide che il cancelletto che conduceva nel giardino era aperto. "Deve essere lì, il povero caro", pensò; si avvicinò al cancelletto e all'improvviso udì chiaramente che Grigorij la stava chiamando, gridava: «Marfa, Marfa!» con una voce flebile, lamentosa, terribile. «Dio mio, salvaci da ogni male», sussurrò Marfa Ignat'evna e s'affrettò in direzione della voce, e fu così che trovò Grigorij. Ma lo trovò, non presso il recinto, non nello stesso posto in cui era stato abbattuto, ma a una ventina di passi dallo steccato. Risultò in seguito che, ripresi i sensi, egli si era allontanato strisciando dal posto in cui era caduto e, probabilmente, ci aveva messo molto tempo per arrivare sino a lì, perdendo conoscenza di tanto in tanto. Ella si accorse immediatamente che era tutto insanguinato e si mise ad urlare a squarciagola. 


Grigorij invece balbettava a voce bassa frasi incoerenti: «Ha ammazzato... ha ammazzato il padre... che gridi, sciocca?... corri... chiama...»


Ma Marfa Ignat'evna non si calmava, continuava a urlare quando all'improvviso, vedendo la finestra della camera del padrone aperta e illuminata, si mise a correre verso di essa e cominciò a chiamare Fëdor Pavloviè. Ma sbirciando dalla finestra all'interno della camera vide uno spettacolo terribile: il padrone giaceva riverso sul pavimento, immobile. La vestaglia chiara e la camicia bianca erano intrise di sangue sul petto. La candela sul tavolo illuminava chiaramente il sangue e il viso immobile, privo di vita di Fëdor Pavloviè. Terrorizzata, Marfa Ignat'evna, scappò via dalla finestra, corse fuori dal giardino, aprì il catenaccio del portone e si diresse a rotta di collo sul retro, dalla vicina Mar'ja Kondrat'evna. Tutte e due le vicine, madre e figlia, a quell'ora si erano già coricate, ma si svegliarono e si affrettarono alla finestra sentendo le grida insistenti e i colpi alle imposte. Marfa Ignat'evna, fra urla e strepiti incoerenti, riuscì a comunicare l'essenziale e a chiamare soccorso. Neanche a farlo apposta, quella notte dormiva da loro Foma, tornato dai suoi giri. Lo svegliarono subito e tutti e tre corsero sul luogo del delitto. Lungo la strada Mar'ja Kondrat'evna riuscì a ricordarsi che poco prima, verso le nove, aveva sentito un urlo terribile e penetrante provenire dal giardino - si era trattato senz'altro del grido che aveva cacciato Grigorij, quando, aggrappatosi alle gambe di Dmitrij Fëdoroviè che si trovava già a cavalcioni dello steccato, gli aveva gridato: «Parricida!» «Qualcuno ha gridato qualcosa e poi ha smesso», testimoniava correndo Mar'ja Kondrat'evna. Giunte al punto in cui giaceva Grigorij, le due donne, con l'aiuto di Foma, lo trasportarono nella dipendenza. Accesero il fuoco e videro che Smerdjakov non si era calmato, si dibatteva nel suo stanzino, rovesciava gli occhi, sbavava. Bagnarono il capo di Grigorij con acqua e aceto e questi si riprese immediatamente e domandò subito: «L'ha ucciso il padrone?» Le due donne e Foma allora andarono dal padrone e, entrando nel giardino, si accorsero questa volta che non solo la finestra, ma anche la porta della casa che dava sul giardino era spalancata, eppure il padrone stesso, da più di una settimana, ogni sera si chiudeva a chiave dall'interno e non permetteva neanche a Grigorij di andare da lui, per nessuna ragione. Vedendo quella porta aperta, tutti quanti, le due donne e Foma, furono invasi dalla paura di andare dal padrone "per timore che poi avvenisse qualcosa". Ma Grigorij, quando quelli tornarono da lui, ordinò di correre immediatamente dal capo della polizia. Quindi Mar'ja Kondrat'evna era corsa là e aveva dato l'allarme alla compagnia riunita dal capo della polizia. Aveva anticipato di soli cinque minuti l'arrivo di Pëtr Il'iè,