martedì 3 agosto 2021

IL DENARO




 FEDOR


... di quei balordi, però, che sanno gestire egregiamente i propri affarucci e, a quanto pare, solo quelli. Fëdor Pavloviè, ad esempio, aveva cominciato quasi dal nulla; la sua proprietà era modestissima, correva di qua e di là per pranzare alla tavola altrui, si ingegnava a fare il parassita, eppure al momento del trapasso gli trovarono ben centomila rubli in contanti, anche se nel contempo aveva continuato ad essere per tutta la vita uno dei più dissennati scavezzacolli di tutto il nostro distretto. Lo ripeto ancora: qui non si tratta di stupidità - la maggior parte di questi scavezzacolli è abbastanza intelligente e scaltra - si tratta proprio di dissennatezza, e per giunta di un tipo particolare, nazionale.


25000 RUBLI

 ... Fëdor Pavloviè, il quale, come adesso è noto, le arraffò d'un sol colpo tutti i soldi, ben venticinquemila rubli, subito dopo che quella li ebbe ricevuti, cosicché per lei fu come se si fossero letteralmente volatilizzati. Quanto a un piccolo villaggio e a una casa di città abbastanza bella, che costituivano anch'essi parte della dote, egli cercò per lungo tempo e con tutti i mezzi di farli intestare a suo nome, con qualche atto opportuno, e probabilmente ci sarebbe riuscito, non foss'altro, diciamo così, per il disprezzo e la ripugnanza che ispirava continuamente alla propria consorte con quelle sue vergognose suppliche e estorsioni, nonché per la stanchezza emotiva di lei e per il desiderio di levarselo di torno. Per fortuna, però, la famiglia di Adelaida Ivanovna si mise di mezzo e pose freno a quella piovra.



In primo luogo, questo Dmitrij Fëdoroviè fu l'unico dei tre figli di Fëdor Pavloviè a crescere nella convinzione di possedere ancora un certo patrimonio e che quando avrebbe raggiunto la maggiore età, sarebbe stato indipendente. Condusse un'adolescenza e una giovinezza da scapestrato: non terminò il ginnasio, si iscrisse a una scuola militare, andò a finire in Caucaso, prestò servizio, si batté a duello, fu degradato, tornò a prestar servizio, gozzovigliò parecchio e scialacquò una somma relativamente consistente. Cominciò a ricevere denaro da Fëdor Pavloviè solo dopo aver raggiunto la maggiore età e fino a quel momento contrasse debiti. Conobbe e incontrò Fëdor Pavloviè, suo padre, per la prima volta, quand'era già maggiorenne, quando venne dalle nostre parti apposta per chiarire con lui la questione dei suoi beni. Pare che in quella occasione il genitore non gli piacque affatto; si trattenne per poco tempo e partì in fretta e furia dopo essere riuscito a spillargli una sommetta e aver raggiunto un certo accordo riguardo all'ulteriore riscossione dei proventi della tenuta, della quale (fatto degno di nota) quella volta non riuscì a sapere da Fëdor Pavloviè né il reddito né il valore. Fëdor Pavloviè si accorse allora per la prima volta (e questo occorre tenerlo a mente) che Mitja aveva un'idea sbagliata e esagerata dei propri beni. Fëdor Pavloviè ne fu molto contento, per via di certi calcoli che aveva in mente. Egli concluse che il giovane era superficiale, violento, passionale, insofferente, uno scavezzacollo al quale sarebbe bastato arraffare qualcosa di tanto in tanto per calmarsi, anche se solo per un breve periodo. Ecco, Fëdor Pavloviè cominciò a sfruttare proprio questo: cioè, se la cavava con piccole elargizioni, saltuari invii di denaro e alla fine, quattro anni più tardi, quando Mitja, persa la pazienza, ricomparve nella nostra cittadina per definire una volta per tutte la faccenda con il genitore, risultò inaspettatamente, con sua somma meraviglia, che egli non possedeva proprio un bel niente, che era persino difficile fare i conti, che aveva ricevuto da Fëdor Pavloviè in contanti l'intero controvalore della sua proprietà e che forse doveva pure qualcosa al genitore; che in seguito a questo e quest'altro affare, che egli stesso aveva voluto intraprendere in questa e quell'altra occasione, non aveva diritto a esigere nient'altro e così via. Il giovane rimase esterrefatto, subodorò la menzogna, l'inganno, perse quasi il controllo di sé. Ecco: proprio questa circostanza portò a quella catastrofe la cui esposizione costituisce l'argomento del mio primo romanzo introduttivo o, per meglio dire, del suo lato esteriore. Ma prima di passare a questo romanzo, devo ancora raccontare degli altri due figli di Fëdor Pavloviè, i fratelli di Mitja, e chiarire da dove sono venuti fuori.


IVAN


Solo in seguito fu chiarito che Ivan Fëdoroviè era venuto in parte su richiesta, e negli interessi, di suo fratello maggiore, Dmitrij Fëdoroviè, che aveva visto e conosciuto per la prima volta quasi nello stesso periodo, in occasione di quello stesso viaggio, ma con il quale tuttavia, per via di una faccenda molto importante, che riguardava soprattutto Dmitrij Fëdoroviè, era entrato in corrispondenza prima del suo arrivo da Mosca. Di quale faccenda si trattasse, il lettore verrà a saperlo nei dettagli a tempo debito. Nondimeno, persino quando questa particolare circostanza mi divenne nota, continuai a considerare Ivan Fëdoroviè una persona enigmatica e il suo arrivo fra di noi ancora inspiegabile. Aggiungerò che Ivan Fëdoroviè assunse allora le vesti di mediatore e paciere tra il padre e suo fratello maggiore, Dmitrij Fëdorovic, che progettava uno scontro ai ferri corti e persino un'azione legale contro il padre.

RIUNIONE STAREC


«Accusano tutti me, tutti quanti!», gridò a sua volta Fëdor Pavloviè. «Anche Pëtr Aleksandroviè mi accusa. Mi avete accusato, Pëtr Aleksandroviè, mi avete accusato!», si rivolse di scatto verso Miusov, sebbene questi non si sognasse neppure di interromperlo. «Mi accusano di aver nascosto i soldi dei miei figli negli stivali e di averli truffati; ma scusate non esiste forse il tribunale? Là vi renderanno conto, Dmitrij Fëdoroviè, in base alle vostre quietanze, alle vostre lettere e ai contratti, di quanto avevate, di quanto avete sperperato e di quanto vi rimane! Perché Pëtr Aleksandroviè si rifiuta di pronunciarsi? Dmitrij Fëdoroviè non è un estraneo per lui. Perché siete tutti contro di me, mentre è Dmitrij Fedoroviè che, a conti fatti, è in debito con me e non di poco, di qualche migliaia di rubli, ho tutti i documenti per provarlo! La città intera spettegola e rintrona delle sue baldorie! E là dove prestava servizio prima, pagava mille e anche duemila rubli per sedurre ragazze onorate; questo, Dmitrij Fëdoroviè, ci è noto nei particolari più intimi, lo posso dimostrare... 




«Rispettabilissimo Kuz'ma Kuz'miè, probabilmente avrete sentito parlare più di una volta delle mie dispute con mio padre, Fëdor Pavloviè Karamazov, che mi ha derubato dell'eredità lasciatami da mia madre... giacché la città intera spettegola su questo... perché qui tutti spettegolano su ciò che non dovrebbero... Inoltre, potreste averne avuto notizia da Grušen'ka... chiedo scusa: da Agrafena Aleksandrovna... da Agrafena Aleksandrovna che io stimo e rispetto in sommo grado...», così esordì Mitja, interrompendosi sin dalla prima parola. Ma non staremo a riportare il suo discorso per filo e per segno, ne faremo soltanto un riassunto. Egli raccontò che tre mesi prima egli si era consultato con esplicita intenzione (disse proprio "con esplicita intenzione" e non intenzionalmente) con un avvocato della capitale del distretto, "un avvocato di chiara fama, Kuz'ma Kuz'miè, Pavel Pavloviè Korneplodov, vossignoria l'avrà sentito nominare. Un uomo di vaste conoscenze, un cervello da statista... egli vi conosce... parla di voi con la massima considerazione..." si interruppe un'altra volta Mitja. Ma le interruzioni non gli impedivano di andare avanti, le scavalcava e proseguiva. Raccontò che proprio questo Korneplodov, dopo averlo interrogato nei dettagli e aver esaminato i documenti che Mitja era stato in grado di presentargli (sui documenti Mitja fu piuttosto vago e particolarmente precipitoso), aveva concluso che, riguardo alla tenuta di Èermašnja - che avrebbe dovuto appartenere a lui, a Mitja, come parte dell'eredità della madre - si poteva intentare un'azione legale e così prendere alla sprovvista il vecchio spudorato..."giacché non tutte le porte erano chiuse e la giustizia avrebbe individuato la fessura dalla quale penetrare". Insomma, avrebbe potuto sperare su una somma aggiuntiva di ben seimila rubli da parte di Fëdor Pavloviè, di settemila persino, dal momento che Èermašnja valeva non meno di venticinquemila, e forse anche ventottomila, «trentamila, trentamila, Kuz'ma Kuz'miè, e io, immaginate, non ho avuto nemmeno diciassettemila rubli da quell'uomo spietato! Ma io, Mitja», diceva, «ho lasciato stare la faccenda giacché ho poca dimestichezza con la giustizia: però, una volta giunto in città, sono rimasto di stucco a causa di una controquerela sporta contro di me» (a questo punto Mitja si confuse ancora una volta e fece nuovamente un grosso balzo in avanti nel suo discorso): «Quindi, non vorreste voi, rispettabilissimo Kuz'ma Kuz'miè, assumervi tutti i miei diritti contro quel mostro, versando a me la somma di soli tremila rubli... In nessun caso potreste venire a perderci, lo giuro sul mio onore, sul mio onore, anzi potreste guadagnarne sei o settemila rubli invece di tre... Quel che conta è concludere oggi stesso. Concluderei l'affare da un notaio o come vorrete... Insomma, sono disposto a tutto, vi darò tutti i documenti che vorrete, firmerò tutto... potremmo stendere il documento ora, e se fosse possibile, se solo fosse possibile, questa mattina stessa. Voi mi dareste quei tremila rubli... dal momento che non esiste in questa cittaduzza un capitalista che possa stare alla pari con voi... e così mi salvereste da... insomma, salvereste la mia povera testa per una nobilissima causa, per una causa elevata, potrei dire... giacché nutro i più nobili sentimenti per una certa persona che conoscete benissimo e per la quale siete come un padre. Altrimenti non sarei venuto, se voi non foste stato come un padre per lei. E infatti, questo è uno scontro a tre, giacché il destino è una cosa terribile, Kuz'ma Kuz'miè! La vita reale, Kuz'ma Kuz'miè, la vita reale! E dal momento che voi siete fuori combattimento da un pezzo, allora è uno scontro a due: mi esprimo goffamente, forse, ma non sono uomo di lettere io. Cioè, uno sono io e l'altro è Fëdor Pavloviè, quel mostro. Quindi sta a voi scegliere: me oppure il mostro? È tutto nelle vostre mani adesso: tre destini e la felicità di due persone... Scusate, ho perduto il filo, ma voi capirete... vedo dai vostri rispettabili occhi che avete capito... E se non avete capito, oggi stesso sarò perduto, ecco!»


MITJA E KATJA


Ma per il momento continuavo a gozzovigliare e a far baccano. Alla fine, il tenente colonnello mi mise agli arresti per tre giorni. Proprio in quel periodo, nostro padre mi aveva appunto spedito seimila rubli dopo che io gli avevo fatto pervenire la rinuncia formale al resto del patrimonio, come a dire che avevamo "pareggiato i conti" e non avrei preteso più nulla. A quel tempo non avevo capito niente: io, fratello, sino al giorno del mio arrivo qui, persino sino a questi ultimi giorni e forse, sino ad oggi, non avevo mai capito niente di tutti questi conflitti di interesse con nostro padre. Ma, al diavolo, di questo parleremo dopo. Intanto, dopo aver ricevuto quei seimila pezzi, avevo appreso da una letterina di un amico una certa notizia molto interessante per me, e cioè che erano scontenti del nostro tenente colonnello, che lo sospettavano di non avere le mani pulite, insomma, i suoi nemici gli stavano preparando un tiro mancino. Di lì a poco arrivò il comandante della divisione e piantò una grana che non finiva più. Poco tempo dopo gli ordinarono di rassegnare le dimissioni. Non starò qui a raccontarti come andò la faccenda nei particolari: egli aveva sicuramente dei nemici e in città cominciarono a manifestare un'improvvisa freddezza nei confronti suoi e della sua famiglia, tutti avevano preso le distanze. Ed ecco che in quel momento io feci la mia prima mossa: mi incontrai con Agaf'ja Ivanovna, con la quale ero sempre rimasto in rapporti di amicizia, e le dissi: "E così al vostro paparino mancano quattromila e cinquecento rubli di denaro dello Stato". "Ma come vi viene in mente? Che cosa ve lo fa pensare? Di recente è venuto qui il generale, i soldi c'erano tutti..." "Allora c'erano, ma adesso no". Lei era terrorizzata oltre ogni dire: "Non mi spaventate, vi prego, da chi lo avete saputo?" "Non vi preoccupate, non lo dirò a nessuno e voi sapete che so essere una tomba in questi casi, ma ecco quello che volevo dirvi a questo proposito, per 'qualunque evenienza', diciamo così: se dovessero chiedere al vostro papà quei quattromila e cinquecento rubli e lui non dovesse averli, certo dovrebbe subire un processo e poi essere degradato in vecchiaia, a meno che voi non mi mandiate in segreto la vostra collegiale. Sapete, mi hanno appena spedito dei soldi, ed io le darò quei quattromila e cinquecento rubli e manterrò devotamente il segreto". "Ah, che mascalzone che siete!" (disse proprio così); "Siete un perfido mascalzone! Ma come osate?" Se ne andò terribilmente indignata, ed io le gridai dietro un'altra volta che avrei devotamente mantenuto il segreto

4500 RUBLI


"Mi ha detto mia sorella che voi mi avreste dato quattromila e cinquecento rubli se fossi venuta a prenderli... da voi di persona. Sono venuta... datemi il denaro!" Non resse, le mancò il respiro, era spaventata, la voce si incrinò e le estremità delle labbra, e i tratti intorno alle labbra, ebbero un tremito

 Non esitai a lungo, non temere, mi girai, andai alla scrivania, aprii il cassetto e estrassi un titolo al portatore del valore di cinquemila rubli al cinque per cento (lo tenevo nel vocabolario di francese). Poi glielo mostrai, in silenzio, lo piegai, glielo diedi, le aprii io stesso la porta che dava nell'andito e, arretrando di un passo, le feci il più rispettoso, il più devoto degli inchini, credimi! Lei trasalì tutta, mi fissò per un secondo, si fece bianca come un lenzuolo, e d'un tratto, senza dire una parola neanche lei, né fare alcun movimento brusco, si prostrò ai miei piedi con un inchino dolce, profondo, quieto, fino a toccare per terra con la fronte, non come insegnano al collegio, ma alla russa! Poi saltò in piedi e corse via.



 il giorno successivo alla sua visita scivolò in casa mia la loro cameriera e, senza dire una parola, mi consegnò un plico. Sul plico era scritto un indirizzo: da consegnare al tal dei tali. Apro: conteneva il resto dei cinquemila rubli. Erano serviti in tutto quattromila e cinquecento rubli, ma nella vendita del titolo da cinquemila rubli si era verificata una perdita di duecento e rotti rubli. Quindi mi aveva mandato in tutto circa duecentosessanta rubli, non ricordo bene, e soltanto il denaro, non un messaggio, né una parolina, una spiegazione. Cercai nel plico un segno qualsiasi a matita: niente! E così sperperai in gozzoviglie anche i rubli che mi rimanevano, tanto che anche il nuovo maggiore fu costretto a redarguirmi. Comunque il tenente colonnello restituì felicemente la somma in consegna, con meraviglia di tutti, dal momento che nessuno credeva che egli la conservasse per intero. Ma subito dopo averla consegnata, cadde ammalato, si mise a letto, vi rimase più o meno tre settimane, dopo di che si verificò all'improvviso un rammollimento cerebrale e si spense nel giro di cinque giorni. 



Ed ecco che solo prima della partenza, proprio il giorno stesso della partenza (io non ero andato a far loro visita né le avevo salutate), ricevetti una minuscola busta azzurrina che conteneva un fogliettino simile a un merletto, sul quale era scritta a matita una sola frase: "Vi scriverò, aspettate. K .". Solo questo



Ti chiarirò il resto adesso, in due parole. 

A Mosca la loro sorte cambiò con la rapidità di un fulmine e con l'imprevedibilità delle favole arabe. Quella generalessa, la loro parente più importante, perse in un solo colpo le sue due eredi più dirette, le sue nipoti più prossime: entrambe morirono di vaiolo nel giro di una settimana. La vecchia, sconvolta, accolse con gioia Katja come fosse una figlia, come un'ancora di salvezza, si aggrappò a lei e modificò immediatamente il testamento in suo favore, ma questo riguardava il futuro, mentre, per il presente, le consegnò immediatamente, direttamente nelle sue mani, la somma di ottomila rubli: "Eccoti la dote", le disse, "fanne l'uso che credi". È un'isterica: in seguito, a Mosca, ebbi modo di osservarla. Ed ecco che all'improvviso, in quello stesso periodo, ricevetti per posta quattromila e cinquecento rubli; come si può immaginare, rimasi sconcertato e senza parole per lo stupore. 

Tre giorni più tardi arrivò anche la lettera promessa. Anche adesso la porto con me, è sempre con me, morirò con essa, vuoi che te la mostri? Devi leggerla assolutamente, assolutamente: si proponeva come fidanzata, si proponeva come fidanzata lei stessa:

"Vi amo da impazzire, e se voi non mi amate, fa lo stesso, siate lo stesso mio marito. Non temete, non vi darò alcun fastidio, sarò il vostro mobilio, sarò il tappeto sul quale camminerete...Voglio amarvi in eterno, voglio salvarvi da voi stesso..."



Alëša, io non sono degno nemmeno di riferire quelle righe con le mie vili parole e il mio vile tono di voce, con quel mio eterno vile tono di voce dal quale non riesco in nessun modo a correggermi! Quella lettera mi trafisse e mi trafigge ancora oggi, credi che adesso non mi faccia male, credi che oggi non mi faccia ancora male? 

Allora le scrissi subito la risposta (mi era assolutamente impossibile recarmi a Mosca di persona). La scrissi fra le lacrime; di una sola cosa mi vergognerò in eterno: accennai al fatto che adesso lei era ricca e possedeva una considerevole dote, mentre io ero soltanto un misero villano, accennai ai soldi! Avrei dovuto sorvolare su quello, ma mi scappò dalla penna. Quel giorno stesso, scrissi immediatamente a Ivan a Mosca e gli spiegai ogni cosa per lettera, per quanto mi fu possibile - una lettera di sei fogli - e mandai Ivan da lei. Che hai da guardarmi? Perché mi fissi a quel modo? 

Ah, sì, Ivan si innamorò di lei, ne è innamorato anche adesso, questo lo so, ho fatto una schiocchezza, secondo la vostra opinione, l'opinione comune, ma in questo momento, forse, solo quella sciocchezza potrebbe essere la salvezza per tutti noi! 

GRUSHENKKA E KATJA

E in quel periodo, come a farlo apposta, mi capitò di trovarmi in tasca, anche se sono un poveraccio, la somma di tremila rubli. Allora la portai a Mokroe, a venticinque verste di qui, procurai zigani, zigane, champagne, feci ubriacare tutti i contadini del luogo, persino le donne e le ragazze, gettai al vento i miei quattrini. Dopo tre giorni ero completamente al verde, ma mi sentivo come un falco. 

Oh! Non vedi quale considerazione ha di lui, non vedi come lo stima? Pensi che, mettendo a confronto lui e me, lei potrebbe amare uno come me, soprattutto dopo tutto quello che è successo qui?» «Invece io sono convinto che lei ami uno come te e non uno come lui». «Lei ama la propria virtù e non me»,



«tu lo sai, ragazzo innocente, che è tutto un delirio, un delirio senza senso, perché questa è una tragedia! Sappi, Aleksej, che io posso essere un uomo abietto, dagli appetiti abietti e degradanti, ma che Dmitrij Fëdoroviè non sarà mai un ladro, un borsaiolo, un ladruncolo da anticamera. 

Adesso, invece, lascia che ti dica che sono davvero un ladruncolo, un borsaiolo, un ladro da anticamera! 

Infatti prima che mi recassi a picchiare Grušen'ka, quella mattina stessa fui chiamato da Katerina Ivanovna, in gran segreto, perché nessuno venisse a sapere nulla (la ragione la ignoro, evidentemente aveva qualche motivo per fare così), mi chiese di recarmi nella capitale del governatorato e spedire, a mezzo posta, tremila rubli ad Agaf'ja Ivanovna, a Mosca; voleva che andassi in città per non farlo sapere qui da noi. Ecco, erano quelli i tremila rubli che mi trovavo in tasca quando andai da Grušen'ka, e fu con quel denaro che ci recammo a Mokroe. 

Poi feci finta di essere andato in città, ma non le mostrai la ricevuta della posta, le dissi di aver inviato i soldi e che le avrei portato la ricevuta, ma fino ad oggi non le ho portato niente, dico sempre che me ne sono dimenticato. Adesso, pensa, andrai da lei e le dirai: "Egli si accomiata da voi con un inchino" e lei ti farà: "E i soldi?" 

Allora tu le potresti dire: "È un vile lussurioso, un essere abietto dalle passioni incontrollabili. A suo tempo non spedì il vostro denaro, ma lo sperperò, perché, come un animale, non seppe controllarsi", ma potresti anche aggiungere: "In compenso non è un ladro, ecco i vostri tremila rubli, ve li restituisce, spediteli voi stessa ad Agaf'ja Ivanovna; quanto a lui, egli si accomiata da voi con un inchino". E se lei ad un tratto ti domanda: "Ma dove sono i soldi?"» «Mitja, tu sei un infelice, sì! Ma non tanto quanto pensi tu, non ti tormentare a morte per la disperazione, non ti tormentare a morte!» 

 «Ma che, credi che mi sparerò se non troverò i tremila rubli da restituire? Il fatto è proprio questo: non mi sparerò. Adesso non ne ho la forza, dopo, forse, ma adesso andrò da Grušen'ka... Accada quel che accada!»


Ma sai qual è la cosa migliore da fare?» «Che cosa?» «Renderle i tremila rubli». «Ma dove li prendiamo? Ascolta, io ne ho duemila, Ivan me ne darà altri mille, e sono tre, prendili e va' a restituirglieli». «Ma quando li avrai i tuoi tremila rubli? Tu, poi, sei ancora minorenne, mentre è necessario, assolutamente necessario, che tu vada oggi stesso a porgerle il mio commiato, con o senza i soldi, perché le cose sono arrivate a un punto tale che non posso resistere oltre. Domani sarà troppo tardi, troppo tardi. Ti manderò da nostro padre».

«Da nostro padre?» «Sì, passerai prima da nostro padre, poi da lei. Gli chiederai tremila rubli». «Ma, Mitja, lui non me li darà». «Magari te li desse, ma so che non te li darà. Lo sai, Aleksej, che cosa è la disperazione?» «Lo so». «Ascolta: dal punto di vista giuridico egli non mi deve nulla. Ho già preso tutto da lui, tutto, questo lo so. Ma dal punto di vista morale, egli è in debito nei miei confronti, è vero o no? Infatti lui ha cominciato con i ventottomila rubli di mia madre e ne ha accumulati centomila. Che mi dia solo tremila di quei ventottomila, solo tremila, salverà la mia anima dall'inferno e con questa azione espierà molti suoi peccati! Con questi tremila rubli ho chiuso, ti do la mia parola d'onore, e non sentirà mai più parlare di me. Gli darò l'ultima occasione di comportarsi da padre. Digli che è Dio stesso a concedergli quest'ultima occasione». «Mitja, non te li darà in nessun caso». «Lo so che non me li darà, lo so benissimo. 

Specialmente adesso. E non è tutto, so anche questo: ora, qualche giorno fa, forse solo ieri, ha saputo per la prima volta, sul serio (nota bene, sul serio), che Grušen'ka forse non sta scherzando e, chissà, forse ha una mezza intenzione di sposarmi. Egli conosce il suo carattere, conosce una gatta come quella. E pensi che mi darebbe mai i soldi per aiutarmi a realizzare tutto questo, quando lui stesso impazzisce per lei? Ma non è ancora finita, c'è dell'altro: so che da cinque giorni circa ha ritirato tremila rubli, in biglietti da cento, li ha messi in un grosso plico chiuso con cinque sigilli e li ha legati con un cordoncino rosso in croce. Vedi come sono al corrente di ogni particolare! Sulla busta è scritto: "Al mio angelo Grušen'ka, se vorrà venire da me"; l'ha scarabocchiato lui stesso, quatto quatto, in segreto; e nessuno sa che ha questi soldi, tranne il lacchè Smerdjakov, del quale si fida come di se stesso. È il terzo o quarto giorno che aspetta Grušen'ka, spera che vada a prendere la busta, glielo ha fatto sapere e lei gli ha mandato a dire "Forse verrò". E se lei dovesse andare dal vecchio, potrei mai sposarla poi io? Capisci adesso perché me ne sto qui in segreto e a che cosa sto facendo la guardia?»



 «Sì, lui. È un segreto assoluto. Neanche Ivan sa dei soldi e del resto. Mentre il vecchio vuole mandare Ivan a fare un viaggetto di due, tre giorni a Èermašnja: si è presentato un compratore per il boschetto, per il taglio ha offerto ottomila rubli, e così il vecchio vuole convincere Ivan: "Aiutami, vacci tu", il che significa stare via un paio di giorni, forse anche tre. Vuole proprio questo: che Grušen'ka vada da lui mentre Ivan è assente». 

 «Dunque, anche oggi sta aspettando Grušen'ka». 

 «No, oggi lei non verrà, ci sono dei segni che me lo dicono. Sicuramente non verrà!», gridò Mitja all'improvviso. «Anche Smerdjakov la pensa così. Nostro padre adesso si sta ubriacando, è a tavola con il fratello Ivan. Va', Aleksej, chiedigli quei tremila rubli...» 

 «Mitja, caro, che ti prende?», esclamò Alëša, balzando in piedi e fissando il viso stravolto di Dmitrij Fëdoroviè. Per un istante gli passò per la mente che quello fosse impazzito. 

 «Ma che cosa credi? No, non sono impazzito», replicò Dmitrij Fëdoroviè con uno sguardo fisso e quasi solenne. «Non temere, ti mando da nostro padre e so bene quello che dico: credo nei miracoli». «Nei miracoli?» «Nei miracoli della Divina Provvidenza. Dio conosce il mio cuore, vede la mia disperazione. Vede tutt'intero questo quadro. Pensi che egli possa permettere che si compia un orrore? Alëša, io credo nei miracoli, va'!» «Ci andrò. Ma dimmi, tu mi aspetterai qui?»


«Aspetta, Aleksej, ancora una confessione, ma soltanto a te!», Dmitrij Fëdoroviè si girò di scatto e tornò indietro. «Guardami, guardami bene: vedi, ecco, qui, proprio qui si prepara una terribile infamia». (Dicendo "ecco qui", Dmitrij Fëdoroviè si colpì il petto con un pugno, con un'aria terribile, come se l'infamia si trovasse e si conservasse proprio nel suo petto, in qualche punto, in tasca forse, oppure pendesse cucita al collo). 

Tu mi conosci già: sono un mascalzone, un mascalzone confesso!


  Ma sappi che per quanto abbia fatto in passato e in questo momento o faccia in futuro, nulla, nulla potrà uguagliare per viltà l'infamia che proprio adesso, proprio in questo momento mi porto nel petto, ecco qui, proprio qui, l'infamia che si compirà sebbene io sia padrone di troncarla, sebbene io possa scegliere se troncarla o portarla a compimento, nota bene questo! 

 Ma sappi pure che la porterò a compimento, non la troncherò. 

Poco fa ti ho raccontato tutto, ma questo non te l'ho raccontato, neanche io ho avuto la faccia di bronzo necessaria per farlo! Faccio ancora a tempo a fermarmi: fermandomi, domani stesso potrei recuperare una buona metà dell'onore perduto, ma io non mi fermerò, io porterò a compimento l'infame progetto, che tu possa testimoniare che te l'ho detto in anticipo e nel pieno possesso delle mie facoltà mentali! 

La rovina e le tenebre! Non c'è niente da spiegare, a suo tempo saprai. Un vicoletto fetido e una donna infernale! Addio, non pregare per me, non lo merito, e non ce n'è nemmeno bisogno, nemmeno un po'... non mi serve affatto! Via!» E si allontanò rapidamente, ma questa volta in modo definitivo.