LIBRO OTTAVO
Siamo arrivati all'apice del romanzo, al compimento del dramma.
GELOSIA E CACCIA A TREMILA RUBLI
Tutto il libro è raccontato dal punto di vista di MITJA e sempre quando si tratta di Mitja sembra di essere travolti da un turbine.
Nei primi quattro capitoli i temi dominanti sono la gelosia e la caccia ai 3000 rubli.
MITJA E IL DENARO
Il rapporto di Mitja col denaro è quanto mai complicato:
vuole restituire i 3000 rubli a Katia ma dove trovarli?
"... Strano a dirsi: sebbene si potesse supporre che, una volta presa una
simile decisione, non gli rimanesse altro da fare che disperarsi - giacché
dove mai avrebbe potuto procurarsi tanti soldi uno squattrinato come lui? -
eppure fino alla fine egli non smise mai di sperare che avrebbe trovato
quei tremila rubli, che essi sarebbero arrivati a lui, sarebbero piovuti su di
lui in qualche modo, foss'anche dal cielo. Ma proprio questo accade a
coloro che nella loro vita hanno saputo solo sperperare e gettare ai quattro
venti il denaro lasciato loro in eredità, senza aver alcuna idea di come si
faccia a guadagnarlo, esattamente come nel caso di Dmitrij Fëdoroviè. Il
vortice più fantastico si era sollevato nel suo cervello subito dopo essersi
separato da Alëša due giorni prima, un vortice che aveva gettato nello
scompiglio tutti i suoi pensieri. E fu così che egli cominciò dalla più
disperata delle imprese. E forse, a uomini simili in circostanze simili, sono
le imprese più impossibili e fantastiche che vengono in mente per prime e
sembrano le più facili. "
E così affronta Samsonov che si diverte a prenderlo in giro mandandolo da Ljagavyj;
poi la Chochlakova che lo spedisce alle miniere d'oro e infine la sortita a casa del padre si conclude con l'aggressione a Grigorij
DECISIONE REPENTINA
Venuto a conoscenza della decisione di Grushenka di raggiungere il suo ex seduttore a Mokroe, cade la gelosia, subentra uno stato di accettazione e rinuncia presagio forse della decisione di sparire?
Quanto a Dmitrij Fëdoroviè, come testimoniò in seguito, egli "era come
fuori di sé, non ubriaco, ma piuttosto eccitato, molto distratto, e nello
stesso tempo come concentrato, come se stesse ponderando qualcosa,
cercando qualcosa, ma incapace di decidere. Aveva molta fretta,
rispondeva a scatti, in maniera strana, e in alcuni momenti non sembrava
affatto addolorato, ma persino allegro."
Nei successivi quattro capitoli appaiono improvvisamente nelle mani di Mitja i tremila rubli che lui si incarica di scialacquare nel corso della notte.
Pëtr Il'iè era sempre più stupito: nelle mani di Mitja intravide
all'improvviso un mucchietto di soldi, e la cosa notevole è che egli teneva
quei soldi in mano - ed era pure entrato in casa in quella posizione - come
nessuno li terrebbe o entrerebbe in una casa: teneva tutte quelle banconote
nella mano destra come per mostrarle, con il braccio dritto davanti a sé. Il
ragazzo, il servitore dell'impiegato, che aveva fatto entrare Mitja in
anticamera, raccontava in seguito che egli era entrato in quel modo in casa,
con quei soldi in mano, quindi anche per la strada li aveva portati in quella
maniera, nella mano destra tesa davanti a sé. Le banconote erano tutte da
cento rubli, iridate, ed egli le teneva fra le dita insanguinate. Alle domande
che gli furono poste in seguito da chi di dovere - per esempio, quanti soldi
esattamente aveva Dmitrij Fëdoroviè esattamente in quel momento? - Pëtr
Il'iè dichiarò che sarebbe stato difficile indicare la somma precisa, forse
erano duemila, forse tremila rubli, ma il mazzetto era grosso, "cospicuo"
«Lo avete poggiato sul tavolo... voi stesso... eccolo là. Ve n'eravate
dimenticato? Per voi il denaro è come immondizia o acqua. Ecco le vostre
pistole. Strano: soltanto alle sei di quest'oggi le avete impegnate per dieci
rubli e ora ecco ne avete a migliaia. Saranno due o tremila?»
«Tremila, esatto», scoppiò a ridere Mitja, pigiando i soldi nella tasca
laterale dei pantaloni.
«Ma così li perderete. Avete forse trovato una miniera d'oro?»
Idea del suicidio
E Mitja,
afferrata la penna dal tavolo, scrisse rapidamente due righe sul foglio, lo
piegò in quattro e lo infilò nel taschino del panciotto. Ripose le pistole
nell'astuccio, lo chiuse con la chiavetta e prese l'astuccio in mano. Dopo di
che, guardò Pëtr Il'iè e gli sorrise a lungo, pensierosamente.
«Adesso possiamo andare», disse.
«Andare dove? No, aspettate... Avete forse intenzione di spararvela
nel cervello, quella pallottola intendo...», domandò Pëtr Il'ic turbato.
«Ma stavo scherzando con quella pallottola! Voglio vivere, io amo la
vita! Sappilo questo. Amo Febo dai riccioli d'oro e la sua luce ardente...
Caro Pëtr Il'iè, tu sai farti da parte?»
«In che senso farmi da parte?»
«Lasciare la strada libera. Lasciare la strada libera a una persona cara
e a un'altra che odi. E fare in modo che quella che odi, ti diventi cara, ecco,
lasciare la strada libera in questo senso! E dir loro: che Dio vi benedica,
andate, passate pure mentre io...»
Mitja estrasse dalla tasca del panciotto il suo foglietto, lo svolse e
glielo mostrò. A caratteri grossi e ben distinti c'era scritto:
"Condanno me stesso per tutta la vita, punirò tutta la mia vita!"
Alla bottega Mitja era atteso con impazienza. Ricordavano molto bene di
come, due o tre settimane prima, egli avesse comprato vini e merci di ogni
tipo per l'ammontare di alcune centinaia di rubli in contanti (naturalmente
non gli avrebbero mai fatto credito), ricordavano che anche allora, come
adesso, nella mano gli spuntava un intero mucchietto di banconote iridate
che sperperava di qua e di là a casaccio, senza contrattare sul prezzo, senza
riflettere, né voler riflettere, a cosa gli servisse tutta quella merce, quel
vino e così via. Più tardi, in tutta la città, girava voce che quando era
partito per Mokroe in compagnia di Grušen'ka "aveva gettato al vento in
una sola notte e il giorno successivo ben tremila rubli ed era tornato dai
bagordi senza il becco di un quattrino, così come lo aveva fatto la
mamma".
La gente andava
raccontando, ridendo alle spalle di Mitja, che a Mokroe aveva offerto
champagne a rozzi contadini, aveva sfamato donne e ragazze di campagna
a base di dolci e pâté di Strasburgo.
Lo prendevano in giro, soprattutto alla
trattoria, per l'ingenua ammissione fatta in pubblico da Mitja stesso,
secondo la quale, come ricompensa per quella "escapade", da Grušen'ka
era riuscito ad ottenere soltanto "il permesso di baciarle il piedino, niente
di più". Ovviamente non lo prendevano in giro in sua presenza, giacché
sarebbe stato molto pericoloso farlo.
Seppur eccitato ed espansivo, Mitja
sembrava triste. Come se una preoccupazione insormontabile e penosa
gravasse su di lui.
"Non è ubriaco, eppure spara certe assurdità!", pensò Pëtr Il'iè
guardandolo andar via.
Che cosa voleva dire con quel "mi farò da
parte" e poi "mi punirò"? Non concluderà un bel nulla. Ha gridato migliaia
di volte frasi del genere alla trattoria. Ma adesso non era ubriaco. "Ubriaco
nell'anima": ai mascalzoni piacciono le belle frasi.
Arrivò alla trattoria di pessimo umore e si
mise subito a fare una partita. La partita gli fece tornare il buonumore. Ne
incominciò un'altra e su due piedi si mise a raccontare a uno dei suoi
compagni di gioco che Dmitrij Fëdoroviè si era trovato un'altra volta con
un mucchio di soldi, tremila rubli circa, li aveva visti con i suoi occhi, ed
era scappato un'altra volta a scialacquarli a Mokroe in compagnia di
Grušen'ka. La notizia suscitò un singolare interesse nei suoi ascoltatori. E
tutti quanti presero a commentare il fatto senza ridere, anzi, con un'aria
stranamente grave. Interruppero persino la partita. «Tremila? Ma da dove
li avrà pescati tremila rubli?»
Presero a fargli altre domande. Accolsero con diffidenza la notizia
sulla Chochlakova.
«Ci sarebbe da chiedersi se non abbia derubato il vecchio?»
«Tremila! C'è qualcosa che non torna».
«Si vantava davanti a tutti ad alta voce che avrebbe ucciso il padre,
l'hanno sentito tutti qui. Parlava proprio a proposito di tremila rubli...»
STATO D'ANIMO DI MITJA
Il ritmo sostenuto del viaggio corroborò Mitja. L'aria
era fresca e pungente, nel cielo terso brillavano, enormi, le stelle. Era la
stessa notte e forse la stessa ora in cui Alëša, crollato a terra, aveva
giurato, in estasi, "che avrebbe amato la terra nei secoli dei secoli". Ma
nell'anima di Mitja c'era confusione, solo confusione e, sebbene molte cose
stessero lacerando la sua anima, eppure, in quel momento, tutto il suo
essere era irresistibilmente attratto soltanto da lei, dalla sua regina, da colei
verso la quale stava volando per guardarla per l'ultima volta. Una cosa sola
posso dire per certo: in cuor suo non ebbe un attimo di risentimento. Forse
non mi si crederà quando dirò che quell'uomo, dal temperamento geloso,
in quel momento non nutriva la minima gelosia per quel nuovo uomo, quel
nuovo rivale, venuto fuori dal nulla, per quell'"ufficiale"
E, a momenti, gli pareva
strana l'idea di aver scritto di proprio pugno la propria sentenza di morte
con tanto di carta e penna: "condanno me stesso e punirò tutta la mia vita";
e quel foglietto era lì nella sua tasca, bell'e pronto; la pistola era già carica,
aveva già deciso il modo in cui, l'indomani, avrebbe accolto il primo
raggio ardente di "Febo dai riccioli d'oro", eppure non riusciva a chiudere i
conti con il passato, con tutto quello che gli stava alle spalle e che lo
tormentava, lo sentiva fino a soffrirne, e questo pensiero gli colmava
l'anima di disperazione. Ci fu un attimo, durante il viaggio, in cui avrebbe
voluto fermare Andrej, saltare giù dal carro, prendere la pistola carica e
farla finita, senza aspettare l'alba. Ma quell'attimo svanì all'istante, come
una scintilla.