sabato 21 agosto 2021

i testimoni

 VIII • Le deposizioni dei testimoni. La "creatura" 


 L'interrogatorio dei testimoni ebbe inizio. Ma non porteremo avanti il nostro racconto nella maniera dettagliata in cui l'abbiamo condotto sino a questo momento. Quindi non ci soffermeremo a descrivere il modo in cui Nikolaj Parfenoviè ammoniva ciascun testimone convocato a rendere la propria deposizione secondo verità e coscienza, avvertendo che avrebbe dovuto ripetere quella stessa deposizione in seguito sotto giuramento. Ad ogni testimone, alla fine, si richiedeva di firmare il verbale della propria deposizione, e così via. Noteremo soltanto che il punto principale, sul quale si concentrava tutta l'attenzione degli inquirenti, era proprio la questione dei tremila rubli e, più esattamente: erano tremila o millecinquecento la prima volta, cioè durante la prima baldoria di Dmitrij Fëdoroviè lì a Mokroe, un mese addietro? Erano tremila o millecinquecento il giorno prima, cioè al secondo festino di Dmitrij Fëdoroviè? Ahimè, tutte le testimonianze, tutte, nessuna esclusa, risultarono contro Mitja, neanche una a suo favore, mentre alcuni testimoni introdussero persino nuovi elementi, addirittura schiaccianti, che contraddicevano la deposizione di lui


 Trifon Borisyè

Il primo ad essere interrogato fu Trifon Borisyè. Egli si presentò davanti ai giudici senza il minimo timore: al contrario, con un'aria di rigida e severa indignazione contro l'imputato, che gli conferì indubbiamente un'aria di estrema affidabilità e dignità. Parlava poco, con riserbo, aspettava che gli venissero poste le domande, rispondeva con precisione e ponderatezza. Dichiarò con fermezza, e senza la minima esitazione, che un mese addietro la somma spesa non poteva essere stata inferiore ai tremila rubli, che tutti i contadini del luogo avrebbero confermato di aver sentito parlare di tremila rubli dallo stesso "Mitrij Fëdoryè": «Solo con le zigane gettò via un mucchio di soldi. Oserei dire che ne buttò via un migliaio solo per loro». «Ma se non erano neppure cinquecento rubli», osservò a questo proposito Mitja con aria cupa, «solo che allora non li contai, ero ubriaco, peccato...» Questa volta Mitja era seduto di lato, con la schiena alla tenda, ascoltava incupito, aveva un'aria afflitta e stanca come se volesse dire: "Oh, dite quello che volete, a questo punto fa lo stesso!" «Se ne andarono più di mille rubli solo per loro, Mitrij Fëdoroviè», lo contraddisse duramente Trifon Borisyè, «li buttavate a caso e loro li pigliavano al volo. Quella gente è una massa di ladri e truffatori, ladri di cavalli sono, li hanno cacciati di qui, se no pure loro forse testimoniavano quanti soldi vi hanno spillato. Con questi miei occhi vi vidi in mano allora quella somma - contarla, non la contai, certo non me lo permetteste, questo è vero - ma ad occhio e croce ricordo che erano molti di più di millecinquecento rubli. Altro che millecinquecento! Ne ho visti di soldi in vita mia, saprò pur giudicare...» Riguardo alla somma del giorno prima, Trifon Borisyè dichiarò immediatamente che Dmitrij Fëdoroviè in persona, appena sceso dal carro, aveva annunciato di aver portato tremila rubli. «Suvvia, Trifon Borisyè», fece per protestare Mitja, «ti ho forse detto proprio di aver portato tremila rubli?» «Lo avete detto, Mitrij Fëdoroviè. Alla presenza di Andrej lo avete detto. Ecco, Andrej sta lì, non se n'è ancora andato, fatelo chiamare. E poi nel salone, quando facevate gli onori di casa con il coro, avete urlato che era il sesto migliaio di rubli che lasciavate qui - sommando i tremila dell'altra volta, intendevate dire. Hanno sentito Stepan e Semën e pure Pëtr Fomiè Kalganov era presente, forse se lo ricorda anche lui...» La testimonianza sul sesto migliaio di rubli produsse un effetto straordinario sugli inquirenti. Piacque loro questa nuova versione: tre più tre fa sei, dunque tremila l'altra volta e tremila questa fanno seimila, era chiaro.

 Interrogarono tutti i contadini nominati da Trifon Borisoviè: Stepan e Semën, il vetturino Andrej e anche Pëtr Fomiè Kalganov. I contadini e il vetturino confermarono la versione di Trifon Borisyè senza esitazioni. Inoltre verbalizzarono con particolare attenzione quello che Andrej disse a proposito della conversazione avuta con Dmitrij Fëdoroviè durante il tragitto: "Dove andrò a finire io, Dmitrij Fëdoroviè: in paradiso o all'inferno; mi perdoneranno in quell'altro mondo oppure no?". Lo "psicologo" Ippolit Kirilloviè ascoltò tutto ciò con un sorriso sottile e raccomandò infine che anche quella testimonianza sulla fine che avrebbe fatto Dmitrij Fëdoroviè fosse "messa agli atti". 

KALGANOV




 Convocarono Kalganov e questi entrò riluttante, accigliato e di cattivo umore, e si mise a parlare con il procuratore e con Nikolaj Parfenoviè come se li vedesse per la prima volta in vita sua, quando invece era un conoscente di vecchia data e un loro assiduo frequentatore. Esordì col dire che "non sapeva niente e non voleva sapere niente". Ma pareva che del sesto migliaio di rubli avesse davvero sentito parlare e ammise che in quel momento si trovava proprio accanto a Mitja. Per quello che aveva visto, i soldi che Mitja aveva in mano erano "non so quanti". Confermò decisamente che i polacchi avevano barato alle carte. Alle reiterate domande degli inquirenti, egli spiegò pure che dopo l'estromissione dei polacchi, i rapporti di Mitja e Agrafena Aleksandrovna erano decisamente migliorati e che ella stessa aveva dichiarato di amarlo. Di Agrafena Aleksandrovna parlava con discrezione e rispetto, come se si trattasse di una signora della migliore società; non si permise neanche una volta di chiamarla Grušen'ka. Nonostante l'evidente riluttanza del giovanotto a rilasciare quella deposizione, Ippolit Kirilloviè lo interrogò a lungo e soltanto da lui poté apprendere tutti i particolari che costituivano, per così dire, il "romanzo" di Mitja di quella notte. Mitja non interruppe neppure una volta Kalganov. Alla fine lo lasciarono andare e quello lasciò la stanza senza nascondere la propria indignazione. 

I POLACCHI

 Interrogarono anche i polacchi. Chiusi nella loro cameretta, anche se si erano coricati, non erano riusciti a chiudere occhio e, all'arrivo delle autorità, si erano vestiti e preparati, sapendo che sicuramente avrebbero convocato anche loro. Si presentarono con aria dignitosa, anche se leggermente impaurita. Il pan più importante, quello piccoletto, cioè, risultò essere un impiegato di dodicesimo livello in congedo: aveva prestato servizio in qualità di veterinario in Siberia e di cognome si chiamava Mussjaloviè. Invece pan Vrublevskij era un libero odontoiatra, quello che da noi si chiama un dentista. Sebbene fosse Nikolaj Parfenoviè a porre le domande, quelli, non appena furono entrati, nel rispondere alle domande cominciarono a rivolgersi a Michail Makaroviè che stava in piedi da un lato credendo, nella loro ignoranza, che fosse la persona di maggiore autorità e grado tra i presenti, chiamandolo: "pan colonnello". Solo dopo essere stati ripresi alcune volte dallo stesso Michail Makaroviè, capirono che dovevano rispondere rivolgendosi esclusivamente a Nikolaj Parfenoviè. Risultò che essi erano perfettamente in grado di parlare correttamente il russo tranne che per la pronuncia di alcune parole. Riguardo ai propri rapporti, passati e presenti, con Grušen'ka, pan Mussjaloviè si espresse con orgoglio e fervore, tanto che Mitja perse subito le staffe e gridò che non avrebbe permesso a un "mascalzone" di parlare in quel modo in sua presenza. Pan Mussjaloviè sottolineò subito la parola "mascalzone" e chiese che fosse messa agli atti. Mitja ribolliva di ira. «Mascalzone, mascalzone! Scrivetelo, scrivetelo pure e scrivete che a dispetto del protocollo io ho continuato lo stesso a urlare che è un mascalzone!», gridò. Nikolaj Parfenoviè lo mise agli atti; tuttavia, in questa spiacevole occasione, egli dette prova di grande tatto e discrezione: dopo aver severamente ammonito Mitja, egli stesso pose immediatamente fine a qualsiasi ulteriore indagine riguardante il lato romantico della faccenda e passò con solerzia al lato essenziale. Proprio in relazione al lato essenziale emerse una circostanza, dalla testimonianza dei pan, che suscitò uno straordinario interesse nei magistrati: il tentativo di corruzione perpetrato da Mitja in quella cameretta nei confronti di pan Mussjaloviè, quando gli aveva offerto tremila rubli di buonuscita, settecento rubli lì sull'unghia e i rimanenti duemilatrecento "l'indomani stesso in città"; Mitja aveva giurato che lì, a Mokroe, non aveva tanto denaro, ma che lo avrebbe preso il giorno dopo in città. Mitja tentò di ribattere, d'impeto, che non aveva detto che glieli avrebbe sicuramente dati l'indomani in città, ma pan Vrublevskij confermò la testimonianza, e lo stesso Mitja poi, ripensandoci, dovette convenire, con aria accigliata, che doveva essere andata così come avevano detto i pan, che in quel momento era davvero sovreccitato e poteva aver dichiarato una cosa del genere. Il procuratore si avventò con avidità su quella testimonianza: risultava chiaro per l'inchiesta (e giunsero dritti a quella conclusione in seguito) che metà o una parte dei tremila rubli, dei quali Mitja si trovava in possesso, poteva davvero essere nascosta da qualche parte in città, o forse da qualche parte a Mokroe; in questo modo si veniva a chiarire la circostanza, così delicata per l'inchiesta, che addosso a Mitja erano stati trovati solo ottocento rubli. Quella circostanza, sebbene isolata e di poco conto, tuttavia era stata fino a quel momento, in una certa misura, a favore di Mitja. Invece adesso avevano distrutto anche quell'unica testimonianza a suo favore. Alla domanda del procuratore: dove avrebbe preso i rimanenti duemilatrecento rubli da consegnare l'indomani al pan, visto che asseriva di averne soltanto millecinquecento, mentre al pan aveva dato la propria parola d'onore, Mitja rispose con fermezza che l'indomani al "polaccuccio" avrebbe proposto non del denaro ma i propri diritti sulla tenuta di Èermašnja, quegli stessi diritti che aveva proposto anche a Samsonov e alla Chochlakova. Il procuratore ridacchiò persino per "l'ingenuità della trovata". «E voi credete che egli avrebbe accettato di prendere quei "diritti" al posto di duemilatrecento rubli in contanti?» «Avrebbe sicuramente accettato», tagliò corto bruscamente Mitja. «Di grazia, qui non si tratta solo di due, ma di quattro, persino seimila rubli che avrebbe potuto beccarsi! Avrebbe subito chiamato a raccolta i suoi legulei, polaccucci o ebreucci che fossero, e avrebbero strappato al vecchio altro che tremila rubli, l'intera tenuta di Èermašnja!» Va da sé che la testimonianza di pan Mussjaloviè fu inserita nel verbale in tutti i dettagli. Dopo di che lasciarono andare anche i due pan. Quanto alla truffa con le carte, il fatto fu a malapena menzionato; Nikolaj Parfenoviè era loro molto grato e non voleva importunarli con delle sciocchezze, tanto più che si trattava sicuramente di una baruffa senza importanza tra ubriachi che giocavano a carte, niente di più. Tanto, di baldoria e indecenza se n'era vista un bel po' quella notte... E così il denaro, quei duecento rubli, rimasero nelle tasche dei signori. 

Maksimov. 




 Convocarono poi il vecchietto Maksimov. Egli si presentò tutto intimorito, camminava a passetti piccoli, aveva un aspetto scarmigliato e molto triste. Per tutto quel tempo egli non si era mai staccato da Grušen'ka al piano di sotto, se n'era stato seduto con lei in silenzio e "poco c'era mancato che si mettesse a piagnucolare per lei mentre si asciugava gli occhietti con il suo fazzolettino a quadretti", come ebbe a raccontare in seguito Michail Makaroviè. Tanto che era andata a finire che era lei a calmare e consolare lui. Il vecchietto confessò immediatamente fra le lacrime di essere colpevole, di aver preso in prestito da Dmitrij Fëdoroviè "dieci rubli, vossignoria, a causa della mia indigenza" e che era disposto a restituirli... Alla domanda diretta di Nikolaj Parfenoviè se si fosse accorto di quanti soldi esattamente avesse in mano Dmitrij Fëdoroviè, dal momento che egli aveva avuto modo di vedere più da vicino quel denaro in mano sua quando aveva incassato il prestito, Maksimov rispose con il tono più deciso che erano "ventimila rubli, vossignoria". «Avete mai visto in precedenza la somma di ventimila rubli?», domandò Nikolaj Parfenoviè sorridendo. «Come no, li ho visti, vossignoria, solo che non erano venti, ma sette, quando mia moglie ipotecò il mio villaggetto. Me li fece vedere solo da lontano, se ne vantava davanti a me. Era un mucchio molto grosso, vossignoria, tutto di banconote iridate. E anche quelle di Dmitrij Fëdoroviè erano tutte iridate...» Lo congedarono ben presto. 

GRUSHENKA



Finalmente arrivò il turno di Grušen'ka. I giudici temevano l'effetto che avrebbe potuto suscitare la sua comparsa su Dmitrij Fëdoroviè e Nikolaj Parfenoviè gli sussurrò persino qualche parola di ammonimento, ma Mitja abbassò il capo come a dire che "non avrebbe fatto scenate". Fu lo stesso Michail Makaroviè a introdurre Grušen'ka. Ella entrò con una faccia cupa e severa; sembrava abbastanza calma, si sedette lentamente sulla sedia che le fu indicata di fronte a Nikolaj Parfenoviè. Era molto pallida, sembrava che avesse freddo, e si stringeva forte nel suo meraviglioso scialle nero. Aveva dei leggeri brividi di febbre, sintomo iniziale di quella lunga malattia per la quale avrebbe sofferto a partire da quella notte. Il suo aspetto severo, il suo sguardo diretto e serio, i suoi modi pacati produssero un'impressione estremamente favorevole su tutti. Nikolaj Parfenoviè ne fu persino subitaneamente "catturato". Egli stesso ammise in seguito, raccontando l'accaduto, che solo allora si era reso conto di quanto fosse "bella" quella donna, dal momento che, pur avendola vista anche in passato, l'aveva sempre considerata una "etera di provincia". «Ha i modi di una dama della migliore società», dichiarò entusiasticamente spettegolando su di lei in compagnia di altre signore. Ma quelle accolsero la sua dichiarazione con viva indignazione e lo chiamarono subito "birichino", il che lo riempì di soddisfazione. Entrando nella stanza, Grušen'ka sbirciò solo di sfuggita dalla parte di Mitja, il quale a sua volta lo guardò con apprensione, ma l'aspetto di lei lo tranquillizzò subito. Dopo le prime domande di prassi e i vari avvertimenti, Nikolaj Parfenoviè le domandò, seppure con esitazione, ma conservando i modi più cortesi: «Che rapporti avete con il tenente in congedo Dmitrij Fëdoroviè Karamazov?» Al che Grušen'ka rispose con pacata fermezza: «Era un mio conoscente, l'ho ricevuto in casa mia in quest'ultimo mese in qualità di conoscente». Alle successive domande indagatrici, ella rispose senza mezzi termini, in piena franchezza che, sebbene, "a volte" le fosse piaciuto, non lo aveva amato, ma lo aveva conquistato "per via del suo abominevole rancore", come del resto aveva fatto anche con il "povero vecchio"; si era accorta che Mitja era molto geloso di lei per via di Fëdor Pavloviè e di tutti gli altri, ma la cosa la divertiva. Da Fëdor Pavloviè, poi, non aveva mai avuto intenzione di andare, si era solo presa gioco di lui. «Per tutto questo mese non ho pensato per niente a nessuno dei due; aspettavo un altro uomo, colpevole nei miei confronti... Penso soltanto», concluse, «che non c'è affatto bisogno che mi facciate domande a questo proposito, né che io risponda perché questi sono solo fatti miei». In tal senso agì immediatamente Nikolaj Parfenoviè: smise ancora una volta di insistere sugli aspetti "romantici" e passò direttamente alle cose serie, vale a dire, per l'ennesima volta, alla questione fondamentale dei tremila rubli. Grušen'ka confermò che a Mokroe, un mese addietro, erano stati davvero spesi tremila rubli - non che li avesse contati di persona, ma aveva sentito dire da Dmitrij Fëdoroviè che era quella la somma. «Ve l'ha detto in un momento in cui eravate soli o in presenza di altri? O l'avete sentito solo mentre lo diceva ad altri in vostra presenza?», si informò immediatamente il procuratore. Grušen'ka dichiarò di averglielo sentito dire sia a quattr'occhi sia in presenza di altre persone. «A quattr'occhi, ve lo ha detto una volta sola, o più di una volta?», si informò ancora il procuratore e venne a sapere che Grušen'ka glielo aveva sentito dire più di una volta. Ippolit Kirilloviè rimase molto soddisfatto di quella testimonianza. Con ulteriori domande si chiarì che Grušen'ka era al corrente della provenienza di quei soldi: Dmitrij Fëdoroviè li aveva presi da Katerina Ivanovna. «E avete mai sentito, anche una sola volta, che i soldi spesi un mese fa non erano tremila rubli, ma meno, e che Dmitrij Fëdoroviè ne aveva messo da parte una buona metà?» «No, non l'ho mai sentito», testimoniò Grušen'ka. In seguito emerse addirittura che Mitja, al contrario, le aveva detto spesso, nel corso di tutto quel mese, di non avere neanche una copeca. «Aspettava sempre di riceverne da suo padre», concluse Grušen'ka. «E ha mai detto in vostra presenza... o di sfuggita, o per la rabbia», intervenne a bruciapelo Nikolaj Parfenoviè, «di avere l'intenzione di attentare alla vita di suo padre?» «Oh, sì che l'ha detto!», sospirò Grušen'ka. «Una volta sola o diverse volte?» «Diverse volte l'ha detto ed era sempre arrabbiato». «E voi credevate che l'avrebbe fatto?» «No, non ci ho mai creduto!», rispose ella fermamente. «Confidavo nella sua nobiltà d'animo». «Signori, permettete», gridò Mitja all'improvviso, «permettetemi di dire soltanto una parola ad Agrafena Aleksandrovna, in vostra presenza». «Dite pure», gli concesse Nikolaj Parfenoviè. «Agrafena Aleksandrovna», disse Mitja alzandosi dalla sedia, «abbi fede in Dio e in me: del sangue di mio padre ucciso ieri sono innocente!» Detto questo, Mitja si risedette. Grušen'ka si alzò e devotamente si fece il segno della croce davanti all'icona. «Gloria a te o Signore!», disse con voce piena di emozione, poi, senza sedersi, ma rimanendo sul posto soggiunse rivolgendosi a Nikolaj Parfenoviè: «Credete a quello che ha appena detto! Lo conosco: certo parla a sproposito, per ridere o per testardaggine, ma non mentirà mai contro la propria coscienza. Vi sta dicendo la pura verità, credetegli!» «Grazie, Agrafena Aleksandrovna, mi hai dato coraggio!», replicò Mitja con voce tremante. Alle domande sul denaro del giorno prima ella dichiarò di non sapere quanto fosse, ma lo aveva sentito dire più volte ad altri che aveva portato con sé tremila rubli. Riguardo alla provenienza di quei soldi, egli le aveva detto a quattr'occhi di averli "rubati" a Katerina Ivanovna e lei gli aveva ribattuto che non li aveva rubati, ma che li avrebbe restituiti l'indomani stesso. Alla insistente domanda del procuratore: a quali soldi si riferisse dicendo che li aveva rubati a Katerina Ivanovna, a quelli del giorno prima o ai tremila rubli che aveva speso lì un mese addietro? Ella rispose che si riferiva a quelli che aveva un mese addietro, che così aveva interpretato le sue parole. Finalmente lasciarono andare anche Grušen'ka, e Nikolaj Parfenoviè la informò, con gran premura, che era libera di far ritorno in città anche subito e che se poteva esserle di qualche aiuto, riguardo ai cavalli, per esempio, o se desiderava una scorta allora lui... da parte sua... «Vi ringrazio sinceramente», rispose Grušen'ka inchinandosi, «andrò via con questo vecchietto, il possidente, lo condurrò in città, ma nel frattempo, se permettete, aspetterò di sotto per sapere le vostre decisioni a riguardo di Dmitrij Fëdoroviè».