mercoledì 11 agosto 2021

L'inizio della carriera dell'impiegato Perchotin

 LIBRO NONO • L'ISTRUTTORIA PRELIMINARE 

 I • L'inizio della carriera dell'impiegato Perchotin 



A CASA DI GRUSHENKA

 Pëtr Il'iè Perchotin, che abbiamo lasciato mentre bussava con tutta la sua forza al portone serrato a chiave della casa della mercantessa Morozova, riuscì naturalmente a farsi sentire. 

Quando Fenja sentì battere alla porta con tanta insistenza - dopo che solo un paio d'ore prima si era presa quel forte spavento e a tutt'ora non si risolveva ad andare a letto per l'agitazione e i "pensieri" - si spaventò un'altra volta a tal punto da piombare quasi quasi in una crisi isterica: pensava che fosse ancora Dmitrij Fëdoroviè (malgrado l'avesse visto partire con i propri occhi), perché nessun altro poteva bussare in modo così "insolente". Ella si slanciò verso il portinaio, che si era svegliato e stava andando a vedere chi bussava, e prese a supplicarlo che non lasciasse entrare nessuno. 

Ma il portinaio interrogò il visitatore e sentendo il suo nome e che voleva vedere Fedos'ja Markovna per una faccenda della massima urgenza, si decise finalmente ad aprirgli. Pëtr Il'iè fu introdotto nella cucina di Fedos'ja Markovna, ma ella gli chiese di far entrare anche il portinaio "per stare più tranquilla". 




Pëtr Il'iè cominciò a interrogarla e apprese in un baleno i particolari più importanti, e cioè che quando Dmitrij Fëdoroviè era corso via alla ricerca di Grušen'ka, aveva preso il pestello dal mortaio, ma poi era tornato senza pestello e con le mani insanguinate. 

«E il sangue continuava a gocciolare, e gocciolava, gocciolava!» esclamava Fenja; evidentemente questo orrido dettaglio era solo frutto della sua immaginazione turbata. 

Ma le mani insanguinate le aveva viste anche Pëtr Il'iè, anche se il sangue non gocciolava, e lui stesso aveva aiutato a lavarle. La questione da chiarire, però, non era con quanta velocità si fosse rappreso il sangue sulle mani, ma piuttosto: dove correva Dmitrij Fëdoroviè con quel pestello? 

Correva davvero da Fëdor Pavloviè? E su quali basi si poteva giungere a una simile conclusione? 

Pëtr Il'iè insisteva nel ritornare su questo punto e, sebbene non riuscisse ad arrivare a una conclusione definitiva, tuttavia si fece una mezza convinzione che Dmitrij Fëdoroviè non poteva essere andato altrove che a casa del padre e che, di conseguenza, dovesse sicuramente essere avvenuto "qualcosa". 

«E quando è tornato», aggiunse Fenja agitata, «dopo avergli confessato tutto, gli ho domandato: "Dmitrij Fëdoroviè, caro, perché avete quel sangue sulle mani?", lui mi ha risposto, se non ricordo male, che quello era sangue umano e che aveva appena ammazzato un uomo; ecco, mi ha confessato, ha ammesso tutto lì davanti a me, poi all'improvviso è scappato via come un pazzo. Io mi sono seduta e ho cominciato a pensare: dove sarà andato adesso correndo come un pazzo? Starà andando a Mokroe e lì ucciderà la padrona. Così sono corsa al suo appartamento per supplicarlo che non uccidesse la padrona, ma passando dalla bottega dei Plotnikov, non vuoi che vedo che stava già partendo e che non aveva più il sangue sulle mani?» (Fenja aveva notato questo particolare e se l'era ricordato.) 

La vecchia, la nonna di Fenja, confermò la testimonianza della nipote, per quanto le era possibile. Dopo aver fatto qualche altra domanda, Pëtr Il'iè uscì da quella casa ancora più agitato e inquieto di quando vi era entrato. 



A quel punto, la cosa più immediata e opportuna da fare sarebbe stata quella di andare subito a casa di Fëdor Pavloviè per scoprire se fosse accaduto qualcosa e, nel caso fosse accaduto qualcosa, chiarire esattamente che cosa e poi, una volta verificati i fatti con certezza, soltanto allora recarsi dal capo della polizia, come Pëtr Il'iè era fermamente intenzionato a fare. Ma la notte era scura, il portone della casa di Fëdor Pavloviè molto solido, avrebbe dovuto mettersi a bussare un'altra volta e poi non conosceva bene Fëdor Pavloviè, e se lo avessero sentito bussare, se gli avessero aperto e non fosse accaduto nulla, quel burlone di Fëdor Pavloviè l'indomani sarebbe andato in giro per tutta la città a raccontare l'aneddoto dello sconosciuto impiegato Perchotin che si era precipitato a casa sua, nel cuore della notte, per informarsi se qualcuno lo avesse ucciso. Che scandalo! Pëtr Il'iè temeva gli scandali più di qualunque altra cosa al mondo. 


Eppure la sensazione che lo dominava era così potente che, dopo aver pestato irosamente i piedi per terra, inveendo contro se stesso, si rimise in cammino non per andare da Fëdor Pavloviè, ma a casa della signora Chochlakova. Se quella alla domanda: "È vero o no che avete dato tremila rubli oggi, alla tal ora, a Dmitrij Fëdoroviè?" avesse risposto negativamente, egli sarebbe andato dritto dritto dal capo della polizia, senza passare da Fëdor Pavloviè; in caso contrario, avrebbe rimandato il tutto al giorno dopo e sarebbe tornato a casa sua. È lampante, né lo si potrebbe negare, che con la decisione di recarsi di notte (erano quasi le undici) a casa di una signora dell'alta società, una perfetta sconosciuta per lui e, probabilmente, farla alzare dal letto per porle una domanda così sbalorditiva, date le circostanze, quel giovanotto aveva molte più probabilità di suscitare uno scandalo che andando da Fëdor Pavloviè. Ma a volte succede proprio così, soprattutto in casi come questo, nelle decisioni delle persone più scrupolose e flemmatiche. Pëtr Il'iè, però, in quel momento era tutt'altro che flemmatico! Ricordò poi per tutta la vita come quell'insormontabile inquietudine, che gradualmente lo aveva sopraffatto, arrivasse sino al punto di farlo soffrire e lo spingesse ad agire persino contro la propria volontà. S'intende che continuò ad inveire contro se stesso lungo tutto il tragitto per il fatto che si stava recando da quella signora, "ma condurrò la faccenda a termine, lo farò!", si ripeteva per la decima volta, digrignando i denti e infatti eseguì il suo proposito: condusse la faccenda a termine.