mercoledì 22 settembre 2021

Perezvon-Zucka




AL LETTUCCIO DI ILIUSHA


 «Smurov, apri la porta!» e quando quello l'ebbe aperta, soffiò nel suo fischietto. Perezvon volò impetuosamente nella stanza. «Salta, Perezvon, sull'attenti! Attenti!», strillava Kolja, balzato in piedi, e il cane, ritto sulle zampe posteriori, si alzò proprio davanti al lettuccio di Iljuša. Avvenne qualcosa di inaspettato: Iljuša trasalì e con tutte le forze che aveva si sporse di scatto in avanti, si piegò verso Perezvon e lo fissava come impietrito. «Questo è... Žuèka!», gridò con la vocetta incrinata dalla sofferenza e dalla felicità. «E chi pensavi, se no?», strillò Krasotkin a squarciagola con la voce squillante e felice e poi, piegandosi verso il cane, lo prese in braccio e lo sollevò verso Iljuša. «Guarda, vecchio mio, vedi? Ha l'occhio guercio, l'orecchio sinistro mozzo: proprio i segni che mi avevi descritto tu. L'ho scovato proprio grazie a quei segni! Lo scovai subito, in quattro e quattr'otto. Non aveva padrone, non aveva nessun padrone!», spiegò voltandosi rapidamente verso il capitano, verso sua moglie, verso Alëša e poi ancora verso Iljuša. «Stava nel cortile sul retro di Fedotov, ma anche se si era stabilito lì, nessuno gli dava da mangiare, era un cane randagio, era scappato via... Ma io l'ho trovato... Vedi, vecchio mio, vuol dire che quella volta non aveva ingoiato il tuo boccone. Se l'avesse inghiottito, sarebbe sicuramente morto, stecchito! Se adesso è vivo vuol dire che fece in tempo a sputarlo. E tu non ti accorgesti che lo aveva sputato. Lo sputò, ma si era comunque punto la lingua: ecco perché guaiva. Correva e guaiva, mentre tu pensavi che l'avesse ingoiato. Doveva guaire molto, perché i cani hanno una pelle molto delicata in bocca... molto più delicata di quella dell'uomo, di gran lunga più delicata!», esclamava impetuosamente Kolja con il viso acceso e raggiante di felicità. Iljuša invece non riusciva a parlare. Egli guardava Kolja con i suoi occhi grandi spalancati, a bocca aperta e pallido come un lenzuolo. Se solo l'ignaro Kolja avesse saputo quale effetto doloroso e deleterio poteva avere un momento simile sulla salute del piccolo malato, non avrebbe mai deciso di escogitare un simile tiro. Ma tra i presenti in quella stanza solo Alëša, forse, era in grado di capirlo. Quanto al capitano, si era trasformato egli stesso in un bambinetto. «Žuèka! Allora questo è Žuèka?», andava gridando con voce estasiata. «Iljušeèka, questo è davvero Žuèka, il tuo Žuèka! Mammina, questo è proprio Žuèka!» A momenti piangeva. «E io che non lo avevo capito!», esclamò Smurov con rimpianto. «Bravo Krasotkin, l'avevo detto che avrebbe trovato Žuèka e l'ha fatto davvero!» «E così l'ha trovato!», commentò con gioia qualcun altro. «Bravo Krasotkin!», risuonò una terza voce. «Bravo, bravo!», gridarono i ragazzi tutti insieme e cominciarono ad applaudire. «Aspettate, aspettate», Krasotkin si sforzava di gridare più forte di tutti. «Vi racconto come è andata la storia, questa è la cosa più importante! Allora, quando lo trovai, me lo portai a casa e lo nascosi subito, lo tenevo chiuso a chiave senza farlo vedere a nessuno sino all'ultimo. Soltanto Smurov lo venne a sapere due settimane fa, ma io gli assicurai che quello era Perezvon e lui non indovinò la verità. Nel frattempo ho insegnato a Žuèka tutti i giochetti, guardate, guardate soltanto che giochetti sa fare! Glieli ho insegnati in maniera da portarti un cane addestrato come si deve, in forma perfetta, vecchio mio, per poterti dire: "Ecco che bel cane è diventato il tuo Žuèka, adesso!" Se aveste un pezzetto di carne vi mostrerebbe subito un giochetto da farvi crepare dal ridere, un po' di carne, non ce l'avreste?» Il capitano si precipitò attraverso l'andito nella parte dell'izba delle padrone di casa, dove anche loro cucinavano le pietanze. Kolja nel frattempo, per non perdere tempo prezioso, con una fretta disperata, gridò a Perezvon: «Fa' il morto!» E quello subito si capovolse, si sdraiò supino e restò immobile con tutte e quattro le zampette in alto. I ragazzi ridevano, Iljuša assisteva allo spettacolo con il sorriso sofferente di prima, ma la persona che apprezzò di più il numero del morto di Perezvon fu la "mammina". Quella proruppe in una risata e si mise a schioccare le dita e a chiamare: «Perezvon, Perezvon!» «Non si alzerà per nulla al mondo, per nulla al mondo», gridava Kolja, con aria di trionfo e giustamente inorgoglito, «con nessun richiamo al mondo, mentre se glielo ordino io, quello scatta all'istante! Ici, Perezvon!» Il cane scattò in piedi e si mise a saltare con guaiti di gioia. Il capitano arrivò di corsa nella stanza con il pezzo di carne lessa. «Non scotta?», si informò Kolja prendendo il pezzetto di carne con aria pratica ed esperta. «No, non scotta, ai cani non piace il cibo che scotta. Guardate tutti, guarda Iljušeèka, guarda vecchio mio, ma perché non guardi? Adesso che gliel'ho portato non lo guarda nemmeno!» Il nuovo giochetto consisteva nel far restare immobile il cane e mettergli l'allettante bocconcino di carne proprio sopra il naso proteso. Il povero cane doveva rimanere immobile con il pezzo di carne sul naso fino a nuovo ordine del padrone, senza muoversi di un millimetro, anche per mezz'ora. Ma Perezvon fu trattenuto solo per qualche minuto. «Piglialo!», gridò Kolja e il boccone passò in men che non si dica dal naso alla bocca di Perezvon. Il pubblico, naturalmente, ebbe espressioni di stupore estasiato. «E voi avreste aspettato tanto a venire solo per addestrare il cane!», esclamò Alëša con un involontario tono di rimprovero. «Proprio per questo», ribatté Kolja con la massima ingenuità. «Volevo farglielo vedere al massimo del suo splendore!» «Perezvon, Perezvon!», e Iljuša chiamò a sé il cane, schioccando le sue magre ditina. «Ma che fai? Deve essere lui a saltare sul letto. Ici, Perezvon!», Kolja dette dei colpetti sul letto con il palmo della mano e Perezvon sfrecciò dritto da Iljuša. Quello gli gettò le braccia al collo e Perezvon per tutta risposta gli leccò una guancia. Iljušeèka si strinse al cane, si allungò nel letto e nascose il viso nel suo pelo ispido.

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