mercoledì 27 ottobre 2021

VII • Ippolit Kirilloviè Una panoramica storica

VII • Ippolit Kirilloviè: Una panoramica storica 




 «La perizia medica ha tentato di dimostrarci che l'imputato è fuori di sé ed è un maniaco. 

Io affermo che egli è perfettamente in sé, ma che è proprio questo il peggio: se non fosse in sé, probabilmente si sarebbe dimostrato molto più accorto. Quanto al fatto che sia un maniaco, potrei essere anche d'accordo, ma solo su un punto, esattamente il punto che ha messo in luce la perizia, e cioè l'idea che l'imputato si era fatto di quei tremila rubli: che suo padre glieli dovesse risarcire. 

Tuttavia, forse, si potrebbe trovare un punto di vista incomparabilmente più semplice della tendenza alla follia per spiegare la costante frenesia dell'imputato riguardo a quel denaro. Per quanto mi concerne, concordo perfettamente con l'opinione del giovane medico, il quale è convinto che l'imputato si trovasse, e si trovi tuttora, nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, ma fosse soltanto irascibile ed esasperato. E questo è il punto: l'oggetto del costante e frenetico furore dell'imputato non era il denaro in se stesso: c'era una ragione speciale che suscitava la sua ira. La ragione era la seguente: la gelosia!» 

UNA FATALE PASSIONE

 A questo punto Ippolit Kirilloviè si prolungò diffusamente nel dipingere il quadro della fatale passione dell'imputato per Grušen'ka. Prese le mosse dal momento in cui l'imputato si recò da una certa "giovane persona" per "picchiarla" - stava usando le stesse parole dell'imputato, spiegò Ippolit Kirilloviè - ma invece di picchiarla, egli rimase prostrato ai suoi piedi. 


Così aveva avuto inizio l'amore. In quello stesso torno di tempo, anche il vecchio, il padre dell'imputato, mette gli occhi su quella stessa persona - coincidenza stupefacente e fatale, giacché entrambi i loro cuori si infiammarono di colpo, all'unisono, sebbene sia l'uno sia l'altro avessero già incontrato in precedenza quella persona - ed entrambi si infiammarono della passione più sfrenata e karamazoviana. 

GRUSHENKA

Qui noi abbiamo una sua stessa ammissione: "Io mi sono presa gioco sia dell'uno sia dell'altro". Sì, le era venuta voglia di prendersi gioco dell'uno e dell'altro, sulle prime non ne aveva avuta, ma poi le era venuta improvvisamente in mente quell'idea e li aveva conquistati tutti e due in un colpo solo. Il vecchio, che idolatrava il denaro, aveva messo immediatamente da parte tremila rubli come ricompensa di una sola visita da parte di lei, ma subito dopo si era ridotto in uno stato tale che sarebbe stato felice di mettere il proprio patrimonio e il proprio nome ai suoi piedi, se solo lei avesse acconsentito a diventare sua legittima consorte. Su questo abbiamo prove inconfutabili. Quanto all'imputato, la sua tragedia è evidente, essa è davanti a voi. Ma questo era lo "spasso" della giovane persona. 

All'infelice giovanotto la seduttrice non concedeva la minima speranza, poiché la speranza, la vera speranza gli fu concessa soltanto all'ultimo momento, quando egli, in ginocchio dinanzi alla sua tormentatrice, tendeva verso di lei le mani già macchiate del sangue di colui che era stato suo padre e rivale: si trovava per l'appunto in quella posizione quando venne arrestato. "Fatemi deportare insieme a lui, sono stata io a condurlo a questo, sono io colpevole più di tutti!", esclamava la donna, sinceramente pentita, al momento dell'arresto. 

TESTIMONIANZA DI RAKITIN SU GRUSHENKA

Un giovanotto di talento, che si è assunto il compito di descrivere il processo in corso - quello stesso signor Rakitin che abbiamo già menzionato - ha definito con poche frasi acute il carattere di questa eroina: 

"Una prematura delusione, un precoce inganno e la caduta, il tradimento del seduttore-fidanzato che l'abbandonò, poi la miseria, la maledizione della rispettabile famiglia e, infine, la protezione di un ricco vecchio che, infatti, ora ella stessa considera il suo benefattore. Nel suo giovane cuore, forse, si racchiudevano molte cose buone, ma esso era stato troppo precocemente inasprito dal rancore. Crebbe con un carattere calcolatore, avido di accumulare denaro. Crebbe sarcastica e piena di rancore contro la società". 

 Dopo questo abbozzo di carattere si può comprendere che ella si fosse presa gioco dell'uno e dell'altro unicamente per proprio diletto, per un maligno diletto. Ed ecco che dopo un mese di amore senza speranze e di degradazione morale, durante il quale egli aveva tradito la fidanzata, si era appropriato di denaro altrui affidato al suo onore, l'imputato era stato condotto all'esasperazione, quasi alla pazzia per gli incessanti tormenti della gelosia e verso chi, poi? Verso suo padre! E il peggio era che lo scervellato vecchio allettava e irretiva l'oggetto della sua passione con quegli stessi tremila rubli che suo figlio considerava di sua proprietà, l'eredità della madre sulla quale il vecchio lo stava truffando. Sì, sono d'accordo, era troppo da sopportare! A questo punto poteva insorgere persino una mania. Non era il denaro in sé, ma il fatto che quel denaro fosse usato per distruggere la sua felicità e con un cinismo così rivoltante!» 

IL PARRICIDIO

 Poi il procuratore passò a descrivere come fosse nato gradualmente nell'imputato il pensiero del parricidio e lo esaminò sulla base dei fatti. 

 «Sulle prime, andiamo sbraitando di trattoria in trattoria - sbraitiamo per un mese intero. Oh, ci piace stare in mezzo alla gente e spifferare immediatamente a tutti ogni cosa, persino le nostre idee più infernali e pericolose, amiamo condividere con la gente ogni pensiero ed esigiamo lì per lì, per chissà quale ragione, la loro immediata e totale simpatia, vorremmo che prendessero a cuore i nostri problemi e le nostre preoccupazioni, che parteggiassero per noi e non si opponessero a noi in nulla. Altrimenti ci infuriamo e mettiamo a soqquadro tutto il locale». 

(A questo punto seguì l'aneddoto sul capitano Snegirëv). 

«Coloro che videro e sentirono l'imputato durante quel mese ebbero la sensazione, infine, che potesse trattarsi di qualcosa di più che strepiti e minacce contro il padre, e che, con una tale frenesia, egli potesse tradurre in atto quelle minacce». 

(A questo punto il procuratore descrisse la riunione di famiglia nel monastero, le conversazioni con Alëša e la ignominiosa scena di violenza in casa del padre, quando l'imputato aveva fatto irruzione da lui dopo pranzo.) 

«Non posso asserire con certezza», proseguiva Ippolit Kirilloviè, «che prima di questa scena l'imputato avesse deciso premeditatamente e intenzionalmente di farla finita con il padre uccidendolo. Nondimeno questa idea gli si era affacciata più volte ed egli l'aveva presa in considerazione; a questo proposito abbiamo fatti comprovati, testimoni e la sua personale ammissione. Devo riconoscere, signori giurati», aggiunse Ippolit Kirilloviè, «che fino a oggi sono stato incerto se attribuire o meno all'imputato la piena e consapevole premeditazione del crimine di cui deve rispondere. Ero fermamente convinto che la sua anima, più di una volta, si fosse soffermata a immaginare il momento fatale, ma pensavo che lo avesse solo immaginato, solo contemplato come possibilità, senza aver definito il termine dell'esecuzione né le circostanze. Ma sono stato titubante soltanto fino ad oggi, fino a quando non ho visto quel fatale documento che ha presentato oggi alla corte la signorina Verchovceva. Voi stessi, signori, l'avete sentita esclamare: 

LA LETTERA

"Questo è un piano, un progetto omicida!": ecco come ella definiva quella disgraziata lettera da "ubriaco" del disgraziato imputato. E, infatti, alla luce di quella lettera, l'intera faccenda dell'omicidio assume l'aspetto di un piano, di una premeditazione. La lettera venne scritta due giorni prima dell'omicidio, e in questo modo adesso sappiamo di sicuro che, due giorni prima dell'esecuzione del suo terribile proposito, l'imputato aveva dichiarato, sotto giuramento, che se non avesse trovato i soldi entro il giorno successivo, avrebbe ucciso suo padre, allo scopo di prendergli il denaro da sotto il cuscino, denaro che si trovava "in un plico con un nastrino rosa, purché fosse partito Ivan". Capite? "Purché fosse partito Ivan": dunque era stato tutto premeditato, le varie circostanze erano state ponderate. E che cosa accadde? Più tardi tutto avvenne esattamente come aveva scritto! La premeditazione e la riflessione sono fuor di dubbio, l'omicidio doveva essere perpetrato a scopo di rapina, questo era stato dichiarato in anticipo, era stato scritto e sottoscritto. L'imputato non rinnega la propria firma. Mi si potrà obiettare che l'imputato era ubriaco quando ha scritto quella lettera. Ma questo non diminuisce il valore della lettera: da ubriaco ha scritto quello che da sobrio aveva pensato. Se non l'avesse pensato da sobrio, non l'avrebbe neanche scritto da ubriaco. Mi potranno chiedere: allora perché si è messo a strombazzare ai quattro venti le sue intenzioni in giro per le trattorie? Chi si prepara a un tale misfatto intenzionalmente, tace e se lo tiene per sé. È vero, ma quando strombazzava ai quattro venti, egli non aveva ancora premeditato nulla né formulato piani: in lui c'era soltanto il desiderio e stava maturando l'impulso. In seguito ne parlò molto meno. La sera in cui scrisse quella lettera, contrariamente al solito, egli era molto taciturno, non giocò a biliardo, se ne stette seduto da una parte, non parlava con nessuno, cacciò solo via dal suo posto un commesso di bottega, uno di qui, ma lo fece quasi inconsciamente, per una sorta di abitudine alle risse, delle quali, quando entrava in una trattoria, non riusciva a fare a meno. Vero è che dopo aver preso la decisione fatale, l'imputato dovette avvertire una certa apprensione per aver fatto in passato troppo clamore in città, perché questo avrebbe potuto portarlo ad essere indiziato e incolpato quando poi avrebbe eseguito il suo piano. Ma che fare, le parole erano state pronunciate ormai, non si potevano rimangiare, ma la fortuna che lo aveva accompagnato fino a quel momento poteva accompagnarlo anche in futuro. Facevamo affidamento sulla nostra buona stella, signori! 

TENTATIVI DI PROCURARSI IL DENARO

Comunque devo ammettere che egli fece molto per evitare quel passo fatale, ce la mise tutta per evitare il sanguinoso epilogo. "Domani tremila rubli chiederò a tutti", egli scrive con il suo particolare linguaggio, "e se quelli non me li daranno, allora del sangue sarà versato". Ancora una volta, egli aveva scritto in stato di ubriachezza e ancora una volta aveva poi eseguito per filo e per segno quello che aveva scritto!» 

 A questo punto Ippolit Kirilloviè passò alla descrizione di tutti i tentativi di Mitja di procurarsi il denaro al fine di evitare il delitto. 

Egli descrisse la sua visita a Samsonov, il viaggio per trovare Ljagavyj, il tutto comprovato da documenti. «Vessato, deriso, affamato, dopo aver venduto l'orologio per fare quel viaggio (pur avendo indosso millecinquecento rubli - una storia davvero incredibile!), tormentato dalla gelosia per aver abbandonato in città il bene amato, con il sospetto che ella in sua assenza corresse da Fëdor Pavloviè, egli fa ritorno finalmente in città. Dio sia ringraziato! Ella non si trova da Fëdor Pavloviè. Egli stesso l'accompagna dal protettore di lei, da Samsonov. (Strano, ma di Samsonov non siamo gelosi e questo è un tratto psicologico molto particolare in questo caso!) Poi corre al suo posto di guardia "sul retro" e là, là apprende che Smerdjakov è vittima di un attacco di epilessia, che l'altro servo è malato, che dunque la via è libera, e poi i "segnali" sono in mano sua, che tentazione! Ciò nonostante, egli ancora oppone una certa resistenza; si reca da una persona, che risiede temporaneamente qui in città e che gode della massima stima di noi tutti, la signora Chochlakova. 

La signora, che da tempo seguiva con simpatia il destino di lui, gli dà il più assennato dei consigli: abbandonare quella vita dissipata, quell'amore indecente, quel bighellonare per le trattorie, quello sterile spreco delle sue giovani energie, per recarsi in Siberia alle miniere d'oro: "Quello vi darà modo di sfogare le vostre turbolenti energie, il vostro carattere romantico, avido di avventure"». 

Dopo aver descritto l'epilogo della conversazione con la Chochlakova e poi il momento in cui l'imputato aveva appreso, all'improvviso, la notizia che Grušen'ka non era per niente stata da Samsonov e la subitanea frenesia di quell'infelice uomo, consumato dalla gelosia e dall'esaurimento nervoso, al pensiero che quella lo avesse ingannato e in quel momento si trovasse da lui, da Fëdor Pavloviè, Ippolit Kirilloviè concluse, puntando l'attenzione sull'influenza fatale del caso: «Se la serva avesse fatto in tempo a dire che la sua innamorata si trovava a Mokroe con il suo amore "di prima", quello "indiscutibile", non sarebbe accaduto nulla. Ma quella perse la testa per il terrore, iniziò a giurare e spergiurare, e se quello non l'ammazzò lì su due piedi, fu solo perché aveva fretta di correre dall'amante traditrice. 

IL PESTELLO

Ma notate questo particolare: sebbene fosse fuori di sé, egli tuttavia prese con sé il pestello di ottone. Perché proprio il pestello e non un'altra arma? Be', considerato che da un mese intero egli stava contemplando quel quadro e si stava preparando ad esso, qualunque cosa, che avesse le sembianze di un'arma, gli fosse capitata sotto mano, egli l'avrebbe presa appunto come arma. Egli aveva avuto agio per un mese intero di valutare che qualunque oggetto di quel genere avrebbe potuto servirgli da arma. Ecco perché egli riconobbe, all'istante e senza esitazioni, in quel pestello l'arma che faceva per lui! E quindi fu tutt'altro che inconsapevole, tutt'altro che involontario il suo gesto di afferrare quel fatale pestello. 

Eccolo più tardi nel giardino della casa paterna: via libera, nessun testimone, notte fonda, tenebre e gelosia. Il sospetto che ella sia lì con lui, con il suo rivale, fra le sue braccia e possa ridere di lui in quel momento, gli toglie il respiro. E non soltanto il sospetto, non si tratta più di sospetti, l'inganno è palese, manifesto: ella è lì, ecco: in quella stanza dalla quale proviene la luce, è lì, in camera di lui, dietro il paravento. A questo punto vorrebbero farci credere che il disgraziato si sia avvicinato quatto quatto alla finestra, abbia rispettosamente sbirciato dentro, si sia saggiamente calmato e prudentemente allontanato, vai a vedere perché? Per la paura che potesse accadere una disgrazia, qualche cosa di pericoloso e di immorale! Di questo vorrebbero convincere noi che conosciamo il carattere dell'imputato, comprendiamo in quali condizioni di spirito si trovasse (le comprendiamo alla luce dei fatti) e, soprattutto, sappiamo che egli era a conoscenza dei segnali che gli avrebbero consentito di entrare in casa senza difficoltà!»

I SEGNALI 

Qui, a proposito dei "segnali", Ippolit Kirilloviè accantonò per un attimo le sue argomentazioni e ritenne necessario dilungarsi su Smerdjakov al fine di demolire radicalmente i sospetti, avanzati da più parti, che questi fosse implicato nell'omicidio e farla finita una volta per tutte con questa teoria. Egli procedette molto circostanziatamente nel suo intento e tutti compresero che, per quanto professasse di disprezzare questa ipotesi, egli tuttavia attribuiva ad essa grande importanza.