L'articolo che stava leggendo in quel momento dal giornale Dicerie si intitolava:
"Da Skotoprigon'evsk (ahimè, è questo il nome della nostra cittadina che ho tenuto nascosto fino ad adesso) alla vigilia del processo Karamazov".
Era piuttosto breve e la signora Chochlakova non veniva esplicitamente nominata; anzi, in generale, non si faceva nessun nome. Si informava semplicemente che l'assassino, che si apprestavano a giudicare fra tanto clamore, un capitano dell'esercito a riposo, personaggio di pessima fama, fannullone e reazionario, era continuamente coinvolto in intrighi amorosi e godeva in particolare dei favori di "alcune signore che si struggevano". Una di queste, "una vedovella che si struggeva", che faceva di tutto per apparire giovane nonostante avesse una figlia già grande, era così affascinata da lui che soltanto due ore prima del delitto gli aveva offerto tremila rubli a patto che fuggisse seduta stante con lei alle miniere d'oro. Ma il malfattore aveva preferito uccidere e derubare suo padre proprio della somma di tremila rubli, pensando di farla franca, piuttosto che trascinarsi in Siberia in compagnia delle grazie da quarantenne della sua dama che si struggeva. Questa scherzosa corrispondenza si concludeva, come si conviene, con espressioni di nobile sdegno contro l'immorale parricidio e il sistema della servitù feudale prima vigente. Dopo aver letto con interesse, Alëša ripiegò il foglio e lo restituì alla signora Chochlakova. «E allora non credete che si stia parlando di me?», riprese a cicalare. «Sono proprio io, ho perso quasi un'ora a proporgli le miniere d'oro e tutto d'un tratto, "le grazie da quarantenne"! Non si sta forse parlando di me? L'ha fatto apposta. Giudice eterno, perdonagli per le grazie da quarantenne, così come lo perdono io, ma questa è opera... questa è opera sapete di chi? Del vostro amico Rakitin».