martedì 19 ottobre 2021

V. CATASTROFE REPENTINA: IVAN TESTIMONE





Fu chiamato a deporre Ivan Fëdoroviè. 

 V • Una catastrofe improvvisa 

 Noterò che egli era stato convocato ancora prima di Alëša. 

Ma l'usciere aveva riferito al presidente che, per un'improvvisa indisposizione o per non so quale attacco, il teste non poteva presentarsi in quel momento, ma che non appena si fosse sentito meglio sarebbe stato disponibile a rendere la sua testimonianza. 

UNA PAUSA

Comunque, chissà come, nessuno aveva sentito questa notizia, che divenne nota soltanto in seguito. Inizialmente la sua apparizione passò inosservata: i testimoni principali, soprattutto le due rivali, erano già stati interrogati; la curiosità era stata sedata per il momento. Fra il pubblico si percepiva addirittura una certa stanchezza. Era rimasto ancora qualche teste da ascoltare che, con ogni probabilità, non avrebbe aggiunto niente di nuovo a quello che era già stato detto. E il tempo passava. 

ARRIVO DI IVAN

Ivan Fëdoroviè si avvicinò al banco dei testimoni con stupefacente lentezza, senza guardare nessuno, anzi persino a testa bassa, come se fosse assorto in cupi pensieri. 

Era vestito in maniera ineccepibile, ma il suo viso fece una penosa impressione, per lo meno su di me: c'era qualcosa di guasto, di terreo in esso, qualcosa di simile al viso di una persona in fin di vita. Gli occhi erano torbidi; li sollevò e abbracciò lentamente l'intera sala con lo sguardo.

Alëša fece per balzare in piedi dal suo posto e gemette: "Ah!" Me lo ricordo, questo. Ma pochi lo notarono.




RISATA IN FACCIA AL PRESIDENTE

 Il presidente esordì dicendo che quel testimone era esonerato dal giuramento, aveva facoltà di rispondere o tacere, ma che, ovviamente, doveva testimoniare secondo coscienza, eccetera eccetera. Ivan Fëdoroviè ascoltava e lo guardava con lo sguardo offuscato; ma ad un tratto il suo viso si rilassò gradualmente in un sorriso e non appena il presidente, che lo guardava stupito, ebbe concluso la sua introduzione, Ivan Fëdoroviè scoppiò a ridere: «Be' e che altro?», gli domandò ad alta voce. Si fece silenzio in aula, si percepiva qualcosa di strano. 

Il presidente mostrò segni di allarme. «Voi, forse, non vi sentite ancora bene?», fece per esordire cercando con gli occhi l'usciere. 

 «Non vi preoccupate, eccellenza, mi sento abbastanza bene da raccontarvi qualcosa di interessante», rispose Ivan Fëdoroviè, divenuto di colpo calmo e deferente. 

 «Avete qualche dichiarazione particolare da fare?», proseguiva il presidente ancora diffidente. Ivan Fëdoroviè abbassò gli occhi, indugiò qualche secondo e, sollevato di nuovo il capo, rispose quasi balbettando: «No... non ho niente di particolare da dire». 

INTERROGATORIO DEL PM

 Cominciarono a porgli le domande. 

Egli rispondeva quasi con riluttanza, con estrema laconicità, con una specie di ripugnanza che si faceva sempre più marcata, sebbene rispondesse sensatamente. A molte domande rispose che non sapeva. 

SU DMITRI E IL PADRE

Ignorava del tutto i rapporti economici tra il padre e Dmitrij Fëdoroviè. 

«Non mi sono mai occupato di questo», proferì. 

Minacce di uccidere il padre le aveva sentite da parte dell'imputato, dei soldi nel plico ne aveva sentito parlare da Smerdjakov... «Sempre la stessa cosa», interruppe bruscamente con un'aria spossata, «non ho niente di particolare da dire a questa corte». «Vedo che non state bene, e comprendo i vostri sentimenti...», cominciò a dire il presidente. Fece per voltarsi dalla parte del procuratore e del difensore per invitarli, se lo ritenevano necessario, a porre delle domande al teste quando, all'improvviso, Ivan Fëdoroviè, con voce esausta, disse: «Lasciatemi andare, vostra eccellenza, mi sento molto male». E detto questo, senza aspettare il permesso, si voltò all'improvviso e fece per uscire dall'aula.

RIPENSAMENTO:  "Se voglio, salto, se non voglio, non salto"

Ma, dopo qualche passo, si fermò, come colto da una nuova riflessione, sorrise pacato e tornò al banco dei testimoni. 

 «Io, vostra eccellenza, sono come quella ragazza contadina, sapete...: "Se voglio, salto, se non voglio, non salto". Le corrono dietro per farle indossare il sarafan o la panëva, per vestirla e portarla in chiesa a sposarsi e lei dice: "Se voglio, salto, se non voglio, non salto". È in qualche libro sul nostro folklore...» «Che cosa volete dire con questo?», domandò il presidente con severità. 

LE BANCONOTE DI SMERDIAKOV



 «Ecco cosa», e Ivan Fëdoroviè estrasse d'un tratto dalla tasca un mazzetto di banconote, «ecco i soldi... quelli che si trovavano in quel plico», egli accennò con il capo al tavolo delle prove materiali, «e per i quali hanno ucciso mio padre. Dove devo metterlo? Signor usciere, passateli voi». L'usciere prese il mazzetto e lo passò al presidente. «In che modo siete entrato in possesso di questo denaro, ammesso che si tratti dello stesso?», disse il presidente stupito. «Li ho avuti da Smerdjakov, dall'assassino, ieri. Sono stato da lui prima che si impiccasse. È stato lui ad uccidere mio padre, non mio fratello. Lui ha ucciso e io l'ho incitato a farlo... Chi non desidera la morte del proprio padre?...» 


 «Siete in possesso delle vostre facoltà?», scappò detto al presidente involontariamente. 

 «Altro che, sono nel pieno possesso delle mie facoltà mentali... delle mie vili facoltà mentali, come del resto voi e tutti questi... ceffi!», e si rivolse di scatto verso il pubblico. 

«Hanno ucciso mio padre e fanno finta di essere inorriditi», digrignava i denti con disprezzo furioso. «Recitano la farsa l'uno con l'altro. Bugiardi! Tutti desiderano la morte del padre. Un rettile divorerà l'altro... Se non si trattasse di parricidio, si arrabbierebbero e se ne tornerebbero a casa di cattivo umore... Vogliono lo spettacolo! Panem et circenses! Del resto, da che pulpito viene la predica! Avete dell'acqua? Datemi da bere per l'amore di Cristo!», e si afferrò la testa fra le mani. L'usciere gli si avvicinò all'improvviso. 

Alëša saltò in piedi e gridò: «È malato, non gli credete, ha la febbre cerebrale!» Katerina Ivanovna si alzò impetuosamente dalla sua sedia, poi, impietrita dallo spavento, guardò Ivan Fëdoroviè. 

Mitja si era alzato, guardava e ascoltava avidamente il fratello con un certo sorriso forzato, stralunato. 

 «Calmatevi, non sono pazzo, sono soltanto un assassino!», riprese a dire Ivan. «Dagli assassini non si può pretendere l'eloquenza...», soggiunse per qualche ragione e poi scoppiò in una risata forzata. Il procuratore, evidentemente sconvolto, si piegò verso il presidente. 

Gli altri giudici sussurravano concitatamente fra di loro. 

Fetjukoviè stava con le orecchie drizzate, in ascolto. La sala era zittita nell'attesa. 

Il presidente sembrò essersi ripreso ad un tratto. 

 «Testimone, le vostre parole sono incomprensibili e inconcepibili in questa sede. Calmatevi, se potete, e raccontate quello che avete da dire, se avete davvero qualcosa da dire. In che maniera potete provare una tale confessione... ammesso che non stiate delirando?» 


 «Il fatto è proprio questo, che non ho testimoni. Quel cane di Smerdjakov dall'altro mondo non spedirà mica la sua testimonianza... in un plico. Non fate altro che pensare a plichi: uno basta e avanza. No, non ho testimoni... Tranne uno, forse», sorrise assorto. 

 «Chi è il vostro testimone?»


 

 «Ha la coda, vostra eccellenza, e questo sarebbe irregolare! Le diable n'existe point! Non gli prestate attenzione: è un diavolo abietto, un poveraccio», soggiunse poi, smettendo di ridere e con un tono quasi confidenziale, «probabilmente si trova qui da qualche parte, ecco: sotto il tavolo delle prove materiali, dove potrebbe stare se non là? Vedete, ascoltatemi; io gliel'ho detto: non voglio tacere e lui si è messo a parlare del cataclisma geologico... idiozia! Su, liberate il mostro... egli ha intonato l'inno, ecco perché gli è tutto facile! È come quella canaglia di ubriacone che sbraitava per la strada che "Van'ka è andato a Piter", mentre io per due secondi di felicità darei un quadrilione di quadrilioni. Voi non mi conoscete! Oh, com'è tutto stupido qui da voi! Su, prendete me al posto suo! Non sono venuto per niente... Perché, perché è tutto così stupido?» 

 E ricominciò lentamente a guardarsi attorno come pensieroso. Ma ora l'aula intera era sovreccitata. Alëša si precipitò accanto a lui dal suo posto, ma l'usciere aveva già afferrato Ivan Fëdoroviè per un braccio. 

L'USCIERE PORTA VIA IVAN

 «Che fate?», gridò quello guardando fisso la faccia dell'usciere e ad un tratto, prendendolo per le spalle, lo scaraventò violentemente a terra. 

 Ma le guardie erano già sul posto e lo afferrarono subito. 

A quel punto lui lanciò un urlo furioso, e per tutto il tragitto, mentre lo portavano via, egli continuò a lanciare urla e a strillare parole incoerenti. 

Successe il finimondo. Non ricordo l'ordine esatto degli eventi, anch'io ero sconvolto e non potei seguire tutto. So soltanto che alla fine, quando ogni cosa si fu calmata e tutti capirono di che si trattava, se la presero con l'usciere, sebbene questi spiegasse, basandosi su elementi validi, che il testimone stava abbastanza bene, che il dottore lo aveva visitato un'ora prima, quando aveva avvertito un leggero capogiro, e prima di entrare in aula aveva parlato coerentemente, tanto che non si poteva prevedere nulla.