venerdì 12 novembre 2021

XI • Niente soldi, niente furto


 XI • Niente soldi, niente furto 


 Ci fu un punto nell'arringa del difensore che colpì tutti: egli negò categoricamente l'esistenza di quei fatali tremila rubli e, dunque, anche la possibilità che essi fossero stati rubati. «Signori della giuria», esordì, «nel presente caso una peculiarità molto caratteristica colpisce l'osservatore nuovo e libero da preconcetti, e cioè: l'imputazione di furto da una parte, e dall'altra, la totale impossibilità di dimostrare che qualcosa sia stato effettivamente rubato. Si dice che sia stato rubato del denaro, tremila rubli per la precisione, ma se quei tremila rubli esistessero davvero, nessuno può dirlo. Giudicate da voi: in primo luogo, in che modo abbiamo appreso che esistevano quei tremila rubli e chi li ha visti? Solo il servo Smerdjakov li aveva visti con i propri occhi e ha testimoniato che essi erano stati infilati nel plico con la scritta. Sempre Smerdjakov aveva informato dell'esistenza di quel plico, prima che succedesse la catastrofe, l'imputato e suo fratello Ivan Fëdoroviè. La notizia era stata resa nota anche alla signorina Svetlova. Nessuna di queste tre persone però ha visto quei soldi con i propri occhi, ancora una volta era stato soltanto Smerdjakov a vederli, ma a questo punto la domanda nasce spontanea: ammesso che fosse vero che quei soldi esistessero e che Smerdjakov li avesse visti, quando li ha visti per l'ultima volta? E se il padrone avesse tolto quel denaro da sotto il cuscino e l'avesse riposto nuovamente nella scatola, senza dirgli nulla? Notate bene che, secondo la testimonianza di Smerdjakov, il denaro si trovava nel letto, sotto il materasso, quindi l'imputato avrebbe dovuto estrarlo da sotto il materasso, eppure il letto era intatto, da quanto risulta espressamente nel verbale. Come ha fatto l'imputato a non disfare minimamente il letto e, per di più, a non imbrattare con le mani sporche l'elegante biancheria, fresca di bucato, che era stata messa per quella speciale occasione? Ci potranno dire: ma il plico era sul pavimento! Ecco, vale la pena di spendere due parole su quel plico. Poco fa sono rimasto un tantino stupito quando l'abilissimo pubblico ministero, parlando di quel plico, ad un tratto, di sua iniziativa - badate bene, signori, di sua iniziativa - proprio mentre tentava di dimostrare l'assurdità dell'ipotesi che l'assassino sia Smerdjakov, ha dichiarato: "Se non fosse stato per quel plico, se il rapinatore non avesse lasciato quella traccia sul pavimento come prova, ma l'avesse portato via con sé, nessuno al mondo avrebbe mai saputo dell'esistenza di quel plico, che in esso erano contenuti dei soldi e che, dunque, quei soldi erano stati trafugati dall'imputato". E quindi, solo quel pezzo di carta lacerata con la scritta - per ammissione della stessa accusa - sarebbe alla base dell'imputazione di furto ai danni dell'imputato, "altrimenti nessuno avrebbe saputo che c'era stato un furto e che forse c'erano pure dei soldi". Ma il semplice fatto che quel pezzo di carta fosse sul pavimento è forse una prova che esso contenesse dei soldi e che quei soldi siano stati rubati? Mi si risponderà che li aveva visti Smerdjakov in quel plico: ma quando, quando li aveva visti per l'ultima volta? Ecco quello che domando io. Quando parlai con Smerdjakov, lui mi disse di averli visti due giorni prima della catastrofe! Ma perché non potrei ipotizzare, ad esempio, anche solo la circostanza che al vecchio Fëdor Pavloviè, serrato in casa, nell'attesa spasmodica e impaziente della sua amata, all'improvviso sia saltato in mente, per ammazzare il tempo, di tirare fuori il plico e dissigillarlo: "A che serve la busta?", potrebbe aver pensato. "E se lei non credesse che contiene il denaro? Ma se le mostrassi tutto il mazzetto delle trenta banconote iridate, certo le farebbe più impressione, le verrebbe l'acquolina in bocca", e così lacera la busta, estrae i soldi e getta la busta sul pavimento con l'aria sicura del padrone di casa, che certo non ha alcun timore di lasciare una prova in giro. Ascoltate, signori giurati, ditemi: c'è qualcosa di più plausibile di questa supposizione e di questa versione dei fatti? Per quale motivo dovrebbe essere fuori questione tutto questo? E se qualcosa del genere fosse davvero accaduto, allora l'imputazione di furto verrebbe a cadere da sola: niente soldi, niente furto. Se il plico giaceva sul pavimento come prova che in esso fossero contenuti dei soldi, perché non potrei dichiarare il contrario e cioè che quel plico stava lì sul pavimento proprio perché non conteneva affatto quei soldi che il padrone aveva preventivamente estratto dalla busta? "Sì, ma allora che fine hanno fatto quei soldi, se è stato Fëdor Pavloviè stesso a tirarli fuori dal plico? Durante la perquisizione in casa sua non sono stati ritrovati". Primo, una certa somma di denaro è stata ritrovata in quella scatola; secondo, avrebbe potuto tirarlo fuori già dalla mattina, o persino il giorno prima, per disporne in altro modo, potrebbe averlo consegnato a qualcuno, spedito; avrebbe potuto, infine, cambiare radicalmente la propria linea di azione, senza ritenere necessario di avvisare prima Smerdjakov. E se esiste soltanto l'ombra della possibilità che sia andata in questo modo, com'è possibile accusare con tanta insistenza e fermezza l'imputato di aver compiuto il delitto a scopo di rapina e asserire che la rapina abbia effettivamente avuto luogo? In questo modo, entriamo già nella sfera del romanzo. Infatti, se si sostiene che una certa cosa è stata rubata, allora occorre indicare di che cosa si tratta o, per lo meno, dimostrare in modo indiscutibile che quella cosa esiste realmente. E invece, nel nostro caso, nessuno ha visto l'oggetto del furto. Di recente, a Pietroburgo, un giovanotto - poco più di un ragazzo - un diciottenne che aveva un piccola bancarella al mercato, entrò in pieno giorno nella bottega dei cambi con un'ascia e, con una straordinaria e tipica audacia, uccise il padrone della bottega e gli rubò mille e cinquecento rubli in contanti. Erano passate cinque ore circa, quando il giovanotto fu arrestato, indosso gli fu trovata l'intera somma di millecinquecento rubli, meno quindici rubli che aveva fatto in tempo a spendere. Quando il commesso tornò alla bottega, dopo l'omicidio, comunicò alla polizia non soltanto l'ammontare della somma rubata, ma indicò pure il tipo di banconote e spiccioli che la componevano: quante banconote iridate, quante azzurre, quante rosse, quante monetine d'oro. Dopo l'arresto, addosso all'omicida erano state trovate esattamente le banconote e gli spiccioli indicati. In aggiunta a tutto questo, seguì la più completa e franca confessione da parte dell'omicida di aver ucciso e trafugato quei soldi. Ecco, signori della giuria, quelle che io chiamo delle prove! In quel caso io so, vedo e tocco quel denaro e non posso dire che non esiste e non è mai esistito. Si può dire forse lo stesso nel presente caso? Eppure qui è una questione di vita o di morte, del destino di un uomo. Mi si dirà che quella notte l'imputato ha fatto baldoria, ha sperperato denaro a profusione, che indosso gli sono stati ritrovati millecinquecento rubli, e mi si domanderà da dove potesse averli presi. Ma proprio il fatto che gli sono stati ritrovati indosso soltanto millecinquecento rubli, mentre la seconda metà di quel denaro non c'è stato verso di trovarla durante le perquisizioni, dimostra che quei soldi potevano benissimo non essere gli stessi, e che i soldi in possesso dell'imputato non erano mai stati in quel plico. Secondo il calcolo dei tempi (un calcolo accuratissimo), è stato reso noto e dimostrato, in sede di istruttoria preliminare, che l'imputato raggiunse la casa di Perchotin, dopo aver lasciato di corsa l'appartamento delle due serve, senza passare da casa e senza fermarsi da nessuna parte; inoltre, per tutto il tempo egli si trovò in presenza di altre persone, dunque non ebbe il modo di sottrarre la metà di quei tremila rubli per nasconderli da qualche parte in città. Proprio quest'ultima considerazione è alla base dell'ipotesi dell'accusa che i soldi siano nascosti in qualche fessura nel villaggio di Mokroe. Perché non nei sotterranei del castello di Udolfo, signori? Non vi sembra un po' troppo fantastica, un po' troppo romanzesca quest'ipotesi? E, notate bene, basterebbe che quest'ipotesi venisse smentita (l'ipotesi, cioè, che il denaro sia nascosto a Mokroe) per far saltare in aria l'intera imputazione di furto, giacché dove si troverebbero, che fine avrebbero fatto in tal caso quei millecinquecento rubli? Per mezzo di quale miracolo sono potuti svanire, se è stato dimostrato che l'imputato non è andato da nessuna parte? E noi siamo pronti a distruggere la vita di un uomo a causa di simili fantasie romanzesche! Mi diranno: "Eppure non è riuscito a spiegare dove ha preso quei millecinquecento rubli che gli sono stati trovati indosso e, per di più, tutti sapevano che fino a quella notte non aveva denaro". Ma chi lo sapeva? L'imputato, invece, ha dato una chiara e decisa testimonianza di dove abbia preso quei soldi e se volete, signori della giuria, se volete, non c'è nulla che potesse e possa essere più credibile di quella testimonianza e anche più congeniale al carattere e all'anima dell'imputato. Il pubblico ministero è rimasto incantato dal romanzo che lui stesso ha concepito: un uomo dalla volontà debole che ha deciso di impossessarsi dei tremila rubli che gli ha affidato in maniera così vergognosa la sua fidanzata, non può - dice lui - averne sottratta la metà per cucirla nel suo amuleto, ma, ammesso che l'avesse cucita dentro, avrebbe scucito l'amuleto ogni due giorni per prendere un centone alla volta dilapidando così l'intera somma in un mese. Come ricorderete, tutto questo è stato dichiarato con un tono che non ammetteva repliche. E se le cose invece non fossero affatto andate in questo modo? E se aveste soltanto costruito un romanzo, se aveste creato un personaggio completamente diverso? È proprio questo il punto: avete creato un personaggio completamente diverso! Mi potranno replicare, forse, che ci sono molti testimoni che dichiarano che egli ha sperperato al villaggio di Mokroe tutti e tremila i rubli che aveva sottratto, a un mese dalla catastrofe, alla signorina Verchovceva, in un colpo solo, come fossero una sola copeca, quindi come aveva potuto sottrarne la metà? Ma chi sono questi testimoni? Questa corte ha avuto ampia dimostrazione del grado di affidabilità di questi testimoni. E poi un tozzo di pane in mano altrui sembra sempre più grosso. Infine, nessuno di quei testimoni ha avuto modo di contare con esattezza quei soldi, essi hanno valutato la somma così, ad occhio. Per non dire che il teste Maksimov ha testimoniato che l'imputato aveva addirittura ventimila rubli in mano. Vedete allora, signori della giuria, dal momento che la psicologia è un'arma a doppio taglio, permettetemi di occuparmi del secondo taglio e vediamo che cosa viene fuori. A un mese dalla catastrofe la signorina Verchovceva affida tremila rubli all'imputato perché questi li spedisca per posta. La domanda è: è proprio vero che quei soldi gli furono affidati in un modo così ignominioso e degradante, come è stato or ora dichiarato? Nel corso della prima testimonianza la signorina Verchovceva ha dichiarato che le cose non sono andate affatto così, anzi, tutto al contrario; nella seconda testimonianza abbiamo udito soltanto urla di rancore, vendetta, urla di un odio a lungo represso. Ma il semplice fatto che la teste abbia dichiarato il falso durante la prima deposizione ci autorizza a concludere che anche nella seconda abbia fatto lo stesso. L'accusa "non vuole, non osa" (sono parole sue) sfiorare questa storia d'amore. Che faccia pure, neanche io mi permetterò di sfiorarla, ma mi permetto soltanto di notare che se una persona onesta, pulita e dai nobili principi, quale indubbiamente è la stimatissima signorina Verchovceva, se una simile persona - dico io - si permette di punto in bianco, tutto d'un tratto, durante un processo, di cambiare la propria versione allo scopo palese di rovinare l'imputato, allora è chiaro pure che questa sua versione dei fatti non è stata resa con imparzialità e a mente fredda. Non ci toglieranno mica il diritto di concludere che una donna vendicativa possa esagerare? Sì, esagerare proprio la vergogna e l'ignominia del modo in cui aveva offerto quel denaro all'imputato. E invece quel denaro era stato offerto proprio in un modo in cui poteva essere accettato, soprattutto da una persona così sventata come il nostro imputato. Tanto più che egli, in quel periodo, si aspettava che il padre gli cedesse al più presto quei tremila rubli che gli doveva secondo i suoi calcoli. Questo era sventato da parte sua, ma proprio per via di quella sua sventatezza, egli era fermamente convinto che il padre glieli avrebbe dati e che lui li avrebbe intascati, e che, dunque, avrebbe sempre potuto spedire per posta i soldi che gli erano stati affidati dalla signorina Verchovceva e saldare il suo debito. Ma l'accusa non vuole a nessun costo ammettere che quello stesso giorno, il giorno incriminato, egli possa aver messo da parte metà dei soldi ricevuti per cucirli nel suo amuleto: "Non rientra nel suo carattere, non poteva nutrire simili sentimenti". Eppure voi stesso avete dichiarato a squarciagola che vasta è la natura di un Karamazov, voi stesso avete gridato dei due abissi estremi che un Karamazov può contemplare. Karamazov è una natura a due facce, che fluttua fra due abissi, che persino quando è mosso dalla più sfrenata foga di bagordi può fermarsi, se qualcosa lo colpisce, sull'altro versante. E quell'altro versante è proprio l'amore, quel nuovo amore che divampa come polvere da sparo; è proprio per quell'amore che quel denaro gli è necessario: anzi, ben più necessario, oh! - di gran lunga più necessario che per quegli stessi bagordi con quella donna. Se ella gli dicesse: "Sono tua, non voglio Fëdor Pavloviè", lui la prenderebbe, la porterebbe via - e così avrebbe il denaro necessario per farlo. Questo è più importante di una notte di bagordi. È mai possibile che Karamazov non se ne rendesse conto? Ma se era proprio quest'ansia che lo tormentava, che cosa c'è di tanto incredibile nel fatto che egli avesse messo da parte quei soldi e li avesse tenuti nascosti per ogni evenienza? Tuttavia, il tempo passa e Fëdor Pavloviè non restituisce il denaro all'imputato: al contrario, si viene a sapere che ha intenzione di usarlo proprio per sedurre la donna che l'imputato ama. "Ma se Fëdor Pavloviè non mi dà il denaro", pensa lui, "allora risulterà che sono un ladro dinanzi a Katerina Ivanovna". E così ha origine in lui l'idea che quei millecinquecento rubli, che egli continua a portarsi al collo in quell'amuleto, li potrebbe prendere e riportare davanti alla signorina Verchovceva dicendole: "Sono un mascalzone, ma non un ladro". Ed ecco dunque una seconda ragione per conservare quei millecinquecento rubli come la pupilla dei propri occhi, senza scucire per nessun motivo l'amuleto né prelevarne il denaro a cento rubli alla volta. Perché dovreste negare all'imputato il senso dell'onore? No, il senso dell'onore esiste in lui, ammettiamo pure che sia mal riposto, ammettiamo che sia il più delle volte erroneo, ma esso esiste e arriva ad avere la forza di una passione, e questo lo ha dimostrato. Ma ecco che la faccenda si complica, le pene della gelosia raggiungono il parossisimo e quelle due domande, le stesse di prima, si affacciano sempre più angoscianti al cervello in fiamme dell'imputato: "Devo restituire il denaro a Katerina Ivanovna? Ma allora con quali mezzi potrei condurre via Grušen'ka?" Se si comportò come un pazzo, se si ubriacò ripetutamente, se attaccò briga nelle trattorie nel corso di tutto quel mese, credo che lo fece proprio perché egli era amareggiato oltre ogni capacità di sopportazione. Quelle due domande erano diventate così pungenti da condurlo sull'orlo della disperazione. Egli fa il tentativo di mandare suo fratello minore a chiedere per l'ultima volta il denaro al padre da parte sua, ma, senza attendere la risposta, irrompe in casa e picchia il vecchio in presenza di testimoni. Dopo un simile gesto, nessuno gli avrebbe dato un bel nulla, il padre picchiato non gli avrebbe dato il becco di un quattrino. Quella sera stessa egli si batte il petto, proprio la parte superiore del petto, dove sta l'amuleto e giura al fratello di essere in possesso di un mezzo per non essere un mascalzone, ma che tuttavia rimarrà un mascalzone, giacché prevede che non userà quel mezzo, gli manca la forza di volontà, gli manca il carattere. Perché, perché l'accusa non crede alla testimonianza di Aleksej Fëdoroviè resa con tanta buona fede, con tanta sincerità, una testimonianza così spontanea e verosimile? E perché, al contrario, vorrebbe costringermi a credere ai soldi nascosti in qualche fessura nei sotterranei del castello di Udolfo? Quella stessa sera, dopo il colloquio con il fratello, l'imputato scrive quella fatidica lettera ed ecco che proprio quella diventa la principale, la più colossale prova del furto commesso dall'imputato! "Chiederò soldi a tutti, e se non me li daranno, ucciderò mio padre e glieli prenderò da sotto il materasso, nel plico con il nastrino rosa, purché Ivan se ne sia andato". Un piano dettagliato dell'omicidio, ci viene detto, come fa a non essere lui l'assassino? "È avvenuto tutto come aveva scritto!", esclama il pubblico ministero. Ma, in primo luogo, è la lettera di un ubriaco, scritta in un momento di furiosa esasperazione; secondo, ancora una volta, egli parla del plico sulla base delle informazioni ricevute da Smerdjakov, perché lui il plico non l'ha mai visto; terzo, sì, ha scritto quel che ha scritto, ma come si fa a dimostrare che l'abbia poi eseguito nel modo in cui aveva scritto? È stato l'imputato a prendere il plico da sotto il cuscino, li ha trovati lui i soldi, e addirittura, sono mai esistiti quei soldi? E se ricordate, era forse per i soldi che l'imputato si era precipitato lì, vi ricordate? Egli era corso lì a rotta di collo non per derubare, ma soltanto per sapere se lei, quella donna, colei che lo aveva annientato si trovasse lì: dunque non si era precipitato lì in base ad un piano, non per eseguire quello che aveva scritto, cioè per la rapina premeditata, ma era corso lì all'improvviso, casualmente, in preda alla furia della gelosia! "Sì", mi diranno, "ma una volta arrivato, ha ucciso e si è preso pure i soldi". Ma lo ha davvero ucciso lui? Respingo con sdegno l'accusa di furto: non si può accusare di furto, se non si può indicare con precisione che cosa è stato rubato, questo è assiomatico! Ma è stato davvero lui a uccidere, ammesso che non abbia rubato, è stato lui a uccidere? È dimostrato questo? O non è pure questo un altro romanzo?»