venerdì 5 novembre 2021

KATJA VERRA'

 







II • Per un momento la menzogna diventa verità 


Egli si affrettò per andare in ospedale, dove allora si trovava Mitja. Il giorno do
po la sentenza della corte, egli si era ammalato di febbre nervosa ed era stato ricoverato nell'ospedale della nostra città, nel reparto riservato ai detenuti. Ma il dottor Varvinskij, dietro richiesta di Alëša e di molti altri (la signora Chochlakova, Liza e altri), aveva sistemato Mitja non con gli altri detenuti, ma in una stanzetta separata, la stessa dove era stato Smerdjakov. Vero è che alla fine del corridoio c'era di guardia una sentinella e la finestra aveva l'inferriata, quindi Varvinskij poteva stare con la coscienza tranquilla per via di quel riguardo, non del tutto legale, che aveva concesso; era un giovanotto buono e compassionevole. Egli si rendeva conto di come potesse essere penoso per una persona come Mitja piombare direttamente in un ambiente di assassini e malfattori: era necessario che si abituasse gradualmente. Le visite di parenti e amici erano tacitamente ammesse sia dal dottore, sia dal direttore della prigione, sia dallo stesso capo della polizia. Ma in quei giorni solo Alëša e Grušen'ka andavano a trovare il malato. Rakitin aveva tentato due volte di vederlo, ma Mitja aveva chiesto espressamente a Varvinskij di non farlo entrare. Alëša lo trovò seduto sulla brandina con il camice da ospedale, aveva un po' di febbre e aveva il capo avvolto da un asciugamano imbevuto di acqua e aceto. Egli rivolse uno sguardo dall'espressione vaga ad Alëša che entrava, ma nei suoi occhi balenò una sorta di spavento. Dal giorno del processo egli si era fatto terribilmente pensieroso, a volte gli capitava di stare zitto per mezz'ora a ponderare qualcosa intensamente, tormentosamente, incurante dei presenti. Se emergeva dalle sue riflessioni e cominciava a discorrere, parlava sempre in maniera brusca e mai di quello che avrebbe dovuto dire. A volte guardava il fratello con uno sguardo pieno di sofferenza. Pareva che fosse più a suo agio con Grušen'ka che con Alëša. Vero è che non parlava quasi per nulla con lei, ma bastava che ella entrasse perché il suo volto si illuminasse. Alëša si sedette sulla brandina accanto a lui in silenzio. Questa volta Mitja aveva aspettato l'arrivo di Alëša con apprensione, ma non osava domandargli nulla. Egli riteneva che il consenso di Katja ad andare a trovarlo fosse impensabile e, allo stesso tempo, sentiva che se ella non fosse andata da lui, sarebbe stato intollerabile. Alëša comprendeva i suoi sentimenti. «Quel Trifon», esordì Mitja con nervosismo, «sì, Borisoviè, dicono che stia mettendo a soqquadro tutta la locanda. Solleva tavole, stacca assi, ha fatto a pezzetti tutta la balconata, dicono; non fa che cercare il tesoro, cioè quel denaro, quei millecinquento, che il procuratore ha detto che io ho nascosto lì. Non appena tornato a casa, ha cominciato subito a far pazzie. Ben gli sta bene a quell'imbroglione! Me l'ha raccontato ieri la sentinella; è di quelle parti». «Ascolta», gli disse Alëša, «ella verrà, ma non so quando. Può essere oggi come fra qualche giorno, non ti so dire di preciso. Ma verrà, verrà, questo è sicuro». Mitja trasalì, accennò a dire qualcosa, ma tacque. Quella notizia ebbe un effetto straordinario su di lui. Era evidente che egli aveva una voglia tremenda di conoscere i particolari della conversazione, ma aveva timore di chiedere: un qualunque segno cattivo e sprezzante da parte di Katja in quel momento sarebbe stato come una pugnalata per lui. «Fra l'altro, mi ha detto che devo assolutamente tranquillizzarti riguardo alla fuga. Se per quel momento Ivan non sarà guarito, penserà lei stessa a tutto». «Me ne hai già parlato», osservò Mitja assorto nei suoi pensieri. «E tu lo hai riferito a Gruša», osservò Alëša di rimando. «Sì», ammise Mitja. «Ella non verrà stamattina», disse guardando timidamente il fratello. «Verrà soltanto stasera. Quando ieri le ho detto che Katja stava prendendo provvedimenti, ella non ha fiatato, ma le labbra le si contraevano. Ella ha soltanto mormorato: "Che faccia pure!" Ha capito che era una cosa importante. Non ho osato metterla ulteriormente alla prova. Credo che comprenda che a Katja non importa più niente di me, ma ama Ivan». «Davvero?», sfuggì ad Alëša. «Forse non è proprio così. Solo che stamattina non verrà», si affrettò a spiegare di nuovo Mitja. «Le ho affidato un incarico. Sai, il fratello Ivan ci supererà tutti. Egli dovrebbe vivere, non noi. Egli guarirà». «Pensa, per quanto Katja sia tanto in ansia per lui, ella non ha dubbi che guarirà», disse Alëša. «Questo vuol dire che è convinta che egli morirà. È per paura che è convinta che egli guarisca». «Nostro fratello ha una costituzione robusta. Anch'io ho molte speranze che egli guarisca», osservò Alëša inquieto. «Sì, egli guarirà. Ma ella è convinta che morirà. Ella ha molto dolore...»