martedì 1 giugno 2021

LA CELLA DELLO STAREC ZOSIMA E LA PRIMA PARTE DELLA RIUNIONE

 






Lo starec si sedette su un divanetto di mogano, ricoperto di cuoio, di
foggia molto antica, e fece accomodare gli ospiti, eccetto i due ieromonaci,
lungo la parete opposta, tutti e quattro uno accanto all'altro, su quattro
sedie di mogano rivestite di cuoio nero molto consunto. 






Gli ieromonaci si
sedettero ai lati, uno presso la porta, l'altro vicino alla finestra. Il
seminarista, Alëša e il novizio rimasero in piedi. 






La cella era molto
angusta e aveva un'aria alquanto sbiadita. Gli oggetti e i mobili, lo stretto
indispensabile, erano rozzi e miseri. Due vasi di fiori alla finestra, molte
icone in un angolo - una di esse, di enormi dimensioni, rappresentava la
Madonna e risaliva presumibilmente a un'epoca di molto anteriore allo
scisma. Dinanzi ad essa ardeva una piccola lampada. Vicino a quella
c'erano altre due icone in rivestimenti sfavillanti, e poi piccoli cherubini
scolpiti, uova di porcellana, una croce cattolica di avorio con una Mater
dolorosa che l'abbracciava, alcune incisioni straniere di grandi pittori
italiani dei secoli passati. Accanto a quelle incisioni, raffinate e di valore,
facevano bella mostra di sé alcune fra le più dozzinali litografie russe di
santi, martiri, prelati e così via, di quelle che si comprano a poche copeche
in qualsiasi fiera. C'erano anche, ma sulle altre pareti, alcuni ritratti in
litografia di vescovi russi del presente e del passato. 







Miusov lanciò una
rapida occhiata a tutta quellla "paccottiglia" e poi fissò lo sguardo dritto
sullo starec. Egli teneva in gran conto le proprie opinioni, aveva questa
debolezza, in ogni caso perdonabile se si tiene conto che aveva già
cinquant'anni - età nella quale un uomo di mondo, intelligente e agiato,
comincia sempre, a volte persino involontariamente, a nutrire un po' più di
rispetto nei confronti di se stesso.



Lo starec non gli piacque sin dal primo istante. Infatti, c'era qualcosa
nel viso dello starec che a molti, oltre che a Miusov, poteva riuscire
sgradita.[...]
"Secondo tutte le apparenze, un'animuccia perfida e piena di bieca
alterigia", venne in mente a Miusov. In generale era molto insoddisfatto
della situazione in cui si trovava.
I rintocchi dell'orologio aiutarono a cominciare la conversazione. Il
piccolo e modesto orologio a pendolo batté rapido le dodici


«È l'ora dell'appuntamento, esatta esatta», gridò Fëdor Pavloviè, «e mio figlio Dmitrij Fëdoroviè non si è ancora visto. Chiedo scusa per lui, santo starec!» Alëša trasalì tutto nel sentire "santo starec". «Io invece sono sempre puntuale, spacco il minuto e tengo a mente che la puntualità è la cortesia dei re...»



BATTIBECCHI FRA FEDOR E MIUSOV


Pëtr Aleksandroviè non finì di parlare e, tutto confuso, fece per uscire dalla stanza. «Non inquietatevi, vi prego», lo starec si alzò all'improvviso dal suo posto sulle gambe malferme e, prendendo Pëtr Aleksandroviè per entrambe le mani, lo fece risedere al suo posto. «State tranquillo, vi prego. Chiedo a voi, in modo particolare, di rimanere mio ospite». Fece un inchino, si girò e si sedette di nuovo sul suo divanetto.


 «Grande starec, ditemi: vi sto forse offendendo con la mia vivacità?», gridò ad un tratto Fëdor Pavloviè afferrando con entrambe le mani i braccioli della sedia come sul punto di fare un balzo a seconda della risposta. «Prego caldamente anche voi di non inquietarvi e di non sentirvi in imbarazzo», gli disse lo starec con tono suadente. «Non sentitevi in imbarazzo, ma fate come se foste a casa vostra. E, soprattutto, non vergognatevi tanto di voi stesso, giacché è da questo che deriva tutto»


MENTIRE A SE STESSI

La cosa più importante è che non mentiate a voi stesso. Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso, né intorno a sé e, quindi, perde il rispetto per se stesso e per gli altri. Costui, non avendo rispetto per nessuno, cessa di amare e, incapace di amare, per distrarsi e divertirsi si abbandona alle passioni e ai piaceri volgari e nei suoi vizi tocca il fondo della bestialità, e tutto questo a causa dell'incessante menzogna nei confronti degli altri e di se stesso. Colui che mente a se stesso è più suscettibile degli altri all'offesa. Offendersi a volte è molto piacevole, non è vero? Eppure egli sa che nessuno gli ha arrecato offesa, ma che egli stesso si è inventato l'offesa e ha mentito per mettersi in mostra, ha esagerato egli stesso per creare un quadretto pittoresco, ha tratto spunto da una parola e ha fatto di un sassolino una montagna: egli sa benissimo tutto questo, tuttavia è il primo a offendersi, a offendersi per provare piacere, per assaporare una grande soddisfazione, e così finisce per nutrire autentico rancore... Ma alzatevi di lì e mettetevi seduto, ve ne prego caldamente, giacché anche questi sono gesti pieni di menzogna...»


IL SANTO DECAPITATO CHE SE NE ANDO' CON LA TESTA SOTTOBRACCIO

La domanda è questa: è vero, grande padre, che nei Èet'i-Minei si racconta, in un punto, di un santo taumaturgo che fu torturato per la fede, e, quando alla fine gli fu tagliata la testa, quello si alzò, si prese la sua testa e "baciandola amorevolmente" se ne andò, portandosela in mano e camminò a lungo, "baciandola amorevolmente". È vero o no, venerandi padri?»


 «No, non è vero», rispose lo starec. «Non esiste niente di simile in tutti i Èet'i-Minei. Di quale santo, secondo voi, si scrive questo?», domandò uno dei due ieromonaci, il padre bibliotecario. «Non so neanch'io di quale santo. Non ne ho la minima idea. Mi hanno tratto in inganno, me l'hanno raccontato. L'ho sentito dire e sapete chi me l'ha raccontato? Ecco, Pëtr Aleksandroviè Miusov, quello che or ora si è tanto alterato per Diderot, è stato proprio lui a raccontarmelo». «Non vi ho mai raccontato una cosa simile, anzi, io con voi non parlo mai di niente».


Lo starec si alzò all'improvviso dal suo posto: «Perdonatemi, signori, se vi lascio per qualche minuto», disse rivolto a tutti gli ospiti, «ma mi aspettavano ancora prima che voi arrivaste. E voi cercate lo stesso di non mentire», soggiunse rivolgendosi a Fëdor Pavloviè con un'espressione allegra. Egli si mosse per uscire dalla cella, Alëša e il novizio si affrettarono ad aiutarlo a scendere dalle scale. Alëša era senza fiato, era contento di uscire, ma era pure contento che lo starec non si fosse offeso e fosse allegro.