LIZA E ALEKSEJ
DALLO STAREC
Ho visto come ha fatto la
birichina per tutto il tempo», disse scherzando lo starec. «Perché
prendevate in giro Aleksej?» Lise infatti era stata intenta a quella birichinata per tutto il tempo.
Ella si era accorta da tempo, sin dalla volta precedente, che Alëša si
sentiva a disagio e cercava di non guardarla, e la cosa la divertiva un
mondo. Ella aspettava attentamente di catturare il suo sguardo: non
riuscendo a resistere a quello sguardo fisso su di lui, Alëša di tanto in
tanto, involontariamente, spinto da una forza irresistibile, la sbirciava a sua
volta e lei si metteva subito a ridacchiare con un sorriso di trionfo, proprio
davanti a lui. Alëša si confondeva e si irritava ancora di più. Alla fine si
era completamente girato dall'altra parte e si era nascosto alle spalle dello
starec. Dopo qualche minuto, attratto dalla stessa forza irresistibile di
prima, si voltò per vedere se lei lo stesse ancora guardando e vide che Lise,
sporgendosi quasi completamente dalla sua poltrona, lo sbirciava da un
lato e aspettava avidamente che lui si girasse a guardarla; dopo aver colto
il suo sguardo, si mise a ridere così forte che persino lo starec non poté
fare a meno di dire:
«Perché, birichina, lo mettete così in imbarazzo?»
Lise, ad un tratto, e del tutto inaspettatamente, arrossì, gli occhi le
scintillavano, il viso aveva assunto un'espressione molto seria; ella si mise
a parlare in fretta, nervosamente, con un tono di lamento risentito e
indignato:
«E lui allora perché ha dimenticato tutto? Mi portava in braccio
quand'ero piccola, giocavamo insieme. Veniva ad insegnarmi a leggere, lo
sapete questo?
Due anni fa, quando ci salutammo, disse che non avrebbe
mai dimenticato, che saremmo stati amici per sempre, per sempre, per
sempre!
Ed ecco che all'improvviso ha paura di me: che, lo mangio forse?
Perché non vuole avvicinarsi, perché non parla? Perché non vuole più
venire da noi? Forse siete voi che non lo lasciate venire: eppure noi
sappiamo che egli va dove vuole. Non sta bene che lo inviti io, avrebbe
dovuto essere lui a pensarci, se è vero che non ha dimenticato. No, adesso
pensa alla salvezza della sua anima!
Perché gli avete fatto mettere quella
tonaca dalle lunghe falde?... Se si mette a correre, cade...»
Mentre pregava anche quella sera, sentì casualmentenella tasca quella bustina rosa che gli aveva dato la cameriera di KaterinaIvanovna quando lo aveva raggiunto per strada.
Ne rimase turbato, ma finì
di pregare.
Poi, dopo aver tentennato un poco, aprì la busta.
Conteneva una
letterina per lui firmata Lise - la giovinetta, la figlia della signora
Chochlakova che aveva tanto riso di lui quella mattina in presenza dello
starec.
"Aleksej Fëdoroviè", scriveva,
"vi scrivo di nascosto da tutti, anche
dalla mamma, e so che questo non sta bene. Ma non posso più vivere senza
comunicarvi il sentimento che è nato nel mio cuore, e questo nessuno
dovrà saperlo, tranne voi e me, fino al momento opportuno.
Ma come dirvi
quello che tanto vorrei dirvi? La pagina, dicono, non arrossisce, ma vi
assicuro che non è così e che essa arrossisce esattamente come sto
arrossendo io in questo momento.
Caro Alëša, io vi amo, vi amo da
quando ero bambina, dai tempi di Mosca, quando eravate completamente
diverso da adesso, e vi amerò per tutta la vita.
Ho scelto voi con il mio
cuore per unirmi a voi e terminare insieme la nostra vita in vecchiaia.
Naturalmente, a condizione che voi abbandoniate il monastero. Quanto
alla nostra età, aspetteremo il tempo stabilito dalla legge. Per quel giorno
sarò sicuramente guarita e in grado di camminare e danzare. Su questo non
c'è dubbio.
Vedete come ho pensato a tutto; solo una cosa non riesco a
immaginare: che cosa penserete di me quando leggerete questa lettera.
Non faccio che ridere e scherzare, poco fa vi ho fatto alterare, ma vi
assicuro che adesso, prima di prendere la penna in mano, ho pregato
dinanzi all'immagine della Madonna, e anche in questo momento sto
pregando e sono quasi sul punto di piangere.
Il mio segreto è nelle vostre mani; domani quando verrete non so
come farò a guardarvi.
Ah, Aleksej Fëdoroviè, e se di nuovo non mi
trattenessi, come una sciocca, e scoppiassi a ridere nel guardarvi, come
stamattina?
Certo mi prenderete per una burlona cattiva e non crederete
alla mia lettera.
Per questo vi prego, caro, se avete della compassione per
me, non guardatemi troppo fisso negli occhi quando verrete da noi domani,
altrimenti, incrociando il vostro sguardo, sicuramente scoppierò a ridere,
tanto più che indosserete quell'abito lungo...
Persino ora mi vengono i
brividi quando ci penso, quindi, quando entrerete, non guardatemi affatto
per un po' di tempo, guardate la mamma o la finestra...
Ecco che vi ho scritto una lettera d'amore, Dio mio, che cosa ho
fatto!
Alëša, non mi disprezzate, e se quello che ho fatto è troppo brutto e
vi ho amareggiato, allora perdonatemi.
Adesso il segreto della mia
reputazione, forse andata in fumo per sempre, è nelle vostre mani.
Oggi piangerò sicuramente.
Al prossimo incontro, al nostro prossimo
terribile incontro,
Lise.
P.S. Alëša, voi dovete, dovete, dovete venire, assolutamente! Lise".
Alëša lesse la lettera sbalordito, la lesse due volte, rifletté per un po' e
ad un tratto si mise a ridere di una risata silenziosa, dolce. Trasalì: quella
risata gli sembrò peccaminosa. Ma un attimo dopo tornò nuovamente a
ridere, sempre silenziosamente e con la stessa felicità. Infilò lentamente la
lettera nella sua bustina, si fece il segno della croce e si coricò. Il
turbamento della sua anima si era dissolto in un baleno. «Signore, abbi
pietà di loro, proteggi le loro anime infelici e violente, e correggile. Tu hai
tante vie: guidali alla salvezza. Tu che sei amore e a tutti doni gioia!»,
mormorò Alëša facendosi il segno della croce e addormentandosi di un
sonno sereno.