domenica 30 maggio 2021

EDUCAZIONE E FORTUNE DEI TRE FRATELLI: IVAN e ALEKSEI







 IVAN E ALEKSEI

LA MADRE

Sof 'ja Ivanovna, anche lei molto giovane, in un altro governatorato nel quale era passato per via di un piccolo appalto in società con un certo ebreo.


 Esattamente tre mesi dopo la morte di Sof'ja Ivanovna, la generalessa apparve all'improvviso nella nostra città e andò personalmente, dritta dritta a casa di Fëdor Pavloviè;

gli comunicò che avrebbe portato via con sé entrambi i bambini, dopo di che li prese così com'erano, li avvolse in un coperta, li mise a sedere in carrozza e li portò nella sua città.


Successe però che anche la generalessa morì di lì a poco, ma nel testamento aveva disposto l'assegnazione di mille rubli a testa ad entrambi i piccini «per la loro educazione e affinché quei soldi fossero spesi esclusivamente per loro, ma in modo che bastassero sino alla loro maggiore età perché una simile elargizione era persino troppo per gente del genere, se poi qualcuno ne aveva voglia che sborsasse lui» e così via.


 L'erede principale della vecchietta, tuttavia, si rivelò una persona onesta, 

il maresciallo della nobiltà di quello stesso governatorato, Efim Petroviè Polenov. 



si prese cura degli orfani di persona e si affezionò in particolar modo al più giovane, Aleksej, tanto che questi per molto tempo visse con lui come uno di famiglia. Prego il lettore di prendere nota di questo sin dall'inizio. Se quei giovani dovevano essere grati a qualcuno per tutta la vita per l'istruzione e l'educazione ricevute, quel qualcuno era proprio 

Efim Petroviè, uomo di generosità e umanità rare a incontrarsi. 

Egli mise da parte i mille rubli a testa che la generalessa aveva lasciato in eredità ai ragazzi, senza toccarli, in modo che, giunti alla maggiore età, trovassero un capitale raddoppiato dagli interessi, e garantì loro un'istruzione a proprie spese; sicuramente investì per ciascuno di loro molto di più di mille rubli. Anche questa volta non mi dilungherò, per il momento, in un racconto dettagliato della loro infanzia e giovinezza, ma segnalerò solo le circostanze principali.

IVAN

Non so come, con esattezza, ma in qualche modo accadde che egli si separò dalla famiglia di Efim Petroviè, all'età di tredici anni circa, per passare in un ginnasio di Mosca e a pensione da un pedagogo esperto e al tempo famoso, un amico di infanzia di Efim Petroviè. Ivan stesso raccontò in seguito che tutto era accaduto, per così dire, «a causa della smania di buone azioni» di Efim Petroviè, entusiasta all'idea che un ragazzo di capacità geniali fosse educato da un istitutore geniale. 

Ma né Efim Petroviè né il geniale istitutore erano più fra i vivi, quando il giovanotto, terminato il ginnasio, si iscrisse all'università. 

Dal momento che Efim Petroviè aveva dato disposizioni poco chiare, anche la riscossione del denaro personale che la generalessa tiranna aveva lasciato in eredità ai bambini - e che era raddoppiata grazie agli interessi rispetto ai mille rubli iniziali - fu tirata per le lunghe per le diverse formalità e i ritardi, assolutamente inevitabili da noi, pertanto 

Nei primi due anni d'università il giovanotto si trovò in serie ristrettezze perché fu costretto, per tutto quel tempo, a provvedere da solo al proprio mantenimento e contemporaneamente a dedicarsi allo studio. 

È degno di nota che allora non volle fare nemmeno il tentativo di mettersi in contatto con il padre per via epistolare, forse per orgoglio, forse per disprezzo nei suoi confronti, oppure semplicemente per il freddo buon senso che gli suggeriva che da un paparino come quello non avrebbe ricevuto nessun vero appoggio. In ogni caso, il giovanotto non si perse d'animo e si mise a lavorare, dapprima con le lezioni private a venti copeche, poi correndo per le redazioni dei giornali per consegnare articoletti di dieci righe sugli incidenti stradali firmati "Un testimone".


Ivan Fëdoroviè aveva terminato gli studi universitari e si accingeva a partire per l'estero con i suoi duemila rubli, quando all'improvviso pubblicò, su uno dei giornali più importanti, uno strano articolo che attirò su di sé persino l'attenzione dei non addetti ai lavori, e, per di più, a proposito di un argomento che non doveva essergli molto familiare, visto che si era laureato in scienze naturali. L'articolo riguardava una questione dibattuta dovunque in quel periodo: i tribunali ecclesiastici. 

Alla fin fine i più perspicaci decretarono che tutto l'articolo non era che una farsa irriverente, una presa in giro. Menziono questo episodio soprattutto perché quell'articolo penetrò tempestivamente anche nel nostro rinomato monastero fuori città, dove la questione dei tribunali ecclesiastici riscuoteva largo interesse; vi penetrò e vi produsse la più caotica confusione. Dopo aver appreso il nome dell'autore, si prese ancora maggiore interesse alla faccenda, in quanto questi era nativo della nostra città e figlio «proprio di quel Fëdor Pavloviè». Ed ecco che all'improvviso, esattamente in quel periodo, l'autore in carne ed ossa si fece vivo dalle nostre parti. 


ALEKSEI

Tutti amavano questo giovane, dovunque egli andasse, e questo sin dagli anni dell'infanzia. 


Quando si trovò a casa del suo benefattore e educatore, Efim Petroviè Polenov, egli conquistò il cuore di tutti i membri di quella famiglia, tanto che quelli lo consideravano a tutti gli effetti uno di loro. Eppure era entrato in quella famiglia in una così tenera età nella quale è impossibile sospettare scaltrezza calcolata, ipocrisia o abilità di insinuarsi nelle grazie altrui, di piacere e farsi benvolere. Dunque il dono di farsi amare egli lo possedeva dentro di sé, per così dire, nella propria natura, spontaneamente, senza dover ricorrere ad artifici. 

Dopo la morte di Efim Petroviè, Alëša frequentò ancora per due anni 

 il ginnasio del governatorato. 

L'inconsolabile consorte di Efim Petroviè, quasi subito dopo la morte di lui, partì per un lungo viaggio in Italia con tutta la famiglia, costituita interamente da elementi di sesso femminile,

mentre Alëša finì a casa di due signore che non aveva mai visto prima, 

 lontane parenti di Efim Petroviè, ma lui stesso ignorava in base a quali accordi. 

Un tratto persino spiccatamente tipico del suo carattere consisteva nel fatto che egli non si preoccupava mai di chiarire a spese di chi vivesse. In questo egli era completamente l'opposto di suo fratello maggiore, Ivan Fëdoroviè, che era vissuto in ristrettezze per i primi due anni all'Università, mantenendosi solo grazie al proprio lavoro, e che sin da bambino era sempre stato amaramente consapevole di vivere sulle spalle del loro benefattore. 


Non terminò il corso di studi al ginnasio; (FORSE HA 18 ANNI)

gli rimaneva ancora un anno intero quando informò all'improvviso le signore che lo ospitavano che si sarebbe recato da suo padre per una certa faccenda che gli era venuta in mente. 

Quelle ci rimasero molto male e non volevano lasciarlo andare. 

Il viaggio costava pochissimo e le signore non gli permisero di impegnare l'orologio, che gli aveva regalato la famiglia del benefattore prima di partire per l'estero, e lo rifornirono di mezzi in abbondanza, persino di un vestito e di biancheria nuovi. 

Egli, comunque, restituì la metà del denaro, spiegando che voleva assolutamente fare il viaggio in terza classe.


Ed ecco che quasi subito dopo aver visitato la tomba della madre, Alëša gli comunicò, di punto in bianco, di voler entrare al monastero e che i monaci erano disposti ad accoglierlo come novizio

«Hmm, avevo il presentimento che avresti finito con il fare una cosa del genere, ti figuri? Tiravi dritto proprio verso quella direzione. Be', certo, hai i tuoi duemila rubletti, quella è la tua dote, ma io, angelo mio, io non ti lascerò mai, sono disposto a versarti in questo momento la cifra necessaria se me la chiederanno.