ESTERNO
La casa di Fëdor Pavloviè Karamazov sorgeva piuttosto distante dal
La casa di Fëdor Pavloviè Karamazov sorgeva piuttosto distante dal
centro della
città, anche se non proprio in periferia.
Era una casa vecchia,
ma piacevole a
vedersi:
ad un piano, con
un attico, le pareti dipinte di un
colore
grigiognolo e il tetto rosso di ferro.
Era spaziosa e confortevole e
poteva reggere
ancora molti anni.
Aveva una miriade
di sgabuzzini e
nascondigli di
vario genere e scalette a sorpresa.
Era infestata di
ratti, ma
Fëdor Pavloviè
non era molto contrariato per questo:
"Se non
altro si sente
meno la noia,
quando la sera si rimane soli soletti".
Infatti era sua
abitudine mandare
a dormire i servi nella dipendenza e chiudersi a chiave
da solo in casa
per tutta la notte.
La dipendenza si
trovava in cortile, era
ampia e solida.
Fëdor Pavloviè
aveva disposto che essa avesse anche una
cucina, sebbene
in casa ce ne fosse già una;
egli non amava
l'odore della
cucina e, sia
d'inverno sia d'estate, gli portavano i cibi passando per il
cortile.
La casa era stata
concepita per una famiglia numerosa, avrebbe
potuto ospitare
il quintuplo della gente che vi abitava, fra padroni e servitù.
INTERNO
Trovò per davvero suo padre ancora a tavola.
Secondo una vecchia
consuetudine, la tavola era apparecchiata in salone,
anche se nella casa
c'era una sala da pranzo vera e propria.
Quella era la stanza più grande
della casa, arredata con una certa ostentazione vecchia maniera.
I mobili
erano decrepiti, bianchi, imbottiti di una vetusta tappezzeria rossa in misto
seta.
Sulle pareti comprese tra le finestre c'erano specchi dalle cornici
elaborate di antico intaglio, anch'esse bianche con decorazioni dorate.
Sulle pareti tappezzate di carta da parato bianca, in molti punti già frusta,
facevano bella mostra di sé due grandi ritratti: uno di un certo principe, che
una trentina di anni prima era stato generale-governatore del distretto
locale, e l'altro di un arcivescovo, anche quello deceduto da tempo.
Nell'angolo d'onore, presso l'ingresso, erano collocate alcune icone,
davanti alle quali di notte si accendeva una lampada... non tanto per
devozione quanto per illuminare l'ambiente per la notte.
Fëdor Pavloviè si
coricava molto tardi, verso le tre, le quattro del mattino e fino a quell'ora si
aggirava per la stanza oppure sedeva in poltrona a meditare. Era diventata
un'abitudine per lui. Non di rado dormiva completamente solo in casa e
mandava la servitù nella dipendenza, ma di solito anche il servo
Smerdjakov si tratteneva per la notte, dormiva su una panca in anticamera.
Quando entrò Alëša, il pranzo era già terminato, ma erano appena stati
serviti il caffè e la marmellata. Fëdor Pavloviè amava i dolci con il cognac
dopo pranzo.
Anche Ivan Fëdoroviè era seduto a tavola e prendeva il suo
caffè.
I servi Grigorij e Smerdjakov erano in piedi presso la tavola. Sia i
signori sia i servitori si trovavano in uno stato di insolita e vivace
animazione. Fëdor Pavloviè rideva e sghignazzava rumorosamente; sin
dall'andito Alëša aveva sentito la risata stridula che gli era tanto familiare,
e concluse immediatamente, dal suono di quella risata, che il padre era ben
lungi dall'essere ubriaco, ma che per il momento aveva raggiunto soltanto
lo stadio dell'ilarità.
INTERNO
Trovò per davvero suo padre ancora a tavola.
Secondo una vecchia
consuetudine, la tavola era apparecchiata in salone,
anche se nella casa
c'era una sala da pranzo vera e propria.
Quella era la stanza più grande
della casa, arredata con una certa ostentazione vecchia maniera.
I mobili
erano decrepiti, bianchi, imbottiti di una vetusta tappezzeria rossa in misto
seta.
Sulle pareti comprese tra le finestre c'erano specchi dalle cornici
elaborate di antico intaglio, anch'esse bianche con decorazioni dorate.
Sulle pareti tappezzate di carta da parato bianca, in molti punti già frusta,
facevano bella mostra di sé due grandi ritratti: uno di un certo principe, che
una trentina di anni prima era stato generale-governatore del distretto
locale, e l'altro di un arcivescovo, anche quello deceduto da tempo.
Nell'angolo d'onore, presso l'ingresso, erano collocate alcune icone,
davanti alle quali di notte si accendeva una lampada... non tanto per
devozione quanto per illuminare l'ambiente per la notte.
Fëdor Pavloviè si
coricava molto tardi, verso le tre, le quattro del mattino e fino a quell'ora si
aggirava per la stanza oppure sedeva in poltrona a meditare. Era diventata
un'abitudine per lui. Non di rado dormiva completamente solo in casa e
mandava la servitù nella dipendenza, ma di solito anche il servo
Smerdjakov si tratteneva per la notte, dormiva su una panca in anticamera.
Quando entrò Alëša, il pranzo era già terminato, ma erano appena stati
serviti il caffè e la marmellata. Fëdor Pavloviè amava i dolci con il cognac
dopo pranzo.
Anche Ivan Fëdoroviè era seduto a tavola e prendeva il suo
caffè.
I servi Grigorij e Smerdjakov erano in piedi presso la tavola. Sia i
signori sia i servitori si trovavano in uno stato di insolita e vivace
animazione. Fëdor Pavloviè rideva e sghignazzava rumorosamente; sin
dall'andito Alëša aveva sentito la risata stridula che gli era tanto familiare,
e concluse immediatamente, dal suono di quella risata, che il padre era ben
lungi dall'essere ubriaco, ma che per il momento aveva raggiunto soltanto
lo stadio dell'ilarità.