lunedì 29 maggio 2017

SECONDO GIORNO

MATTINO SECONDO GIORNO
LIBRO QUARTO • LACERAZIONI
I • Padre Ferapont
Svegliarono Alëša la mattina presto, prima ancora dell'alba. Lo
starec si era destato e si sentiva estremamente debole, anche se aveva
voluto passare dal letto alla poltrona. Era pienamente cosciente: il suo
viso, sebbene molto affaticato, era luminoso, quasi gioioso, e il suo
sguardo allegro, affabile e invitante. 
«Forse non vivrò fino alla fine di questa giornata che ora incomincia», 
disse ad Alëša; poi volle confessarsi e prendere la comunione senza indugi. 
Il suo direttore spirituale era sempre stato padre Paisij. 
Dopo aver preso i due sacramenti, ebbe inizio l'estrema
unzione. Si riunirono gli ieromonaci, la cella a poco a poco si riempì di
monaci eremiti. Nel frattempo si faceva giorno. A poco a poco
cominciavano ad arrivare anche dal monastero. Quando il servizio fu

terminato, lo starec espresse il desiderio di baciare e salutare tutti.

Alëša
ricordò in seguito che, fra i monaci che si accalcavano presso lo starec e
intorno alla sua cella, più volte era balenata davanti ai suoi occhi la
figuretta del curioso ospite di Obdorsk, che indagava da un gruppetto
all'altro, ascoltando e facendo domande. Ma allora Alëša ci prestò poca
attenzione, se ne ricordò soltanto in seguito...D'altronde aveva altro a cui
pensare, perché padre Zosima, che si era sentito nuovamente stanco, era
tornato a letto, e si era ricordato all'improvviso di Alëša, mentre stava già
chiudendo gli occhi, quindi lo aveva mandato a chiamare. Alësa era
accorso all'istante. Al capezzale dello starec in quel momento c'erano solo
padre Paisij, il padre ieromonaco Iosif e il novizio Porfirij. Lo starec aprì
gli occhi affaticati, guardò fisso Alëša e ad un tratto gli domandò:
«I tuoi non ti stanno aspettando, figliolo?»
Alëša si confuse.
«Non hanno bisogno di te? Ieri non hai promesso a qualcuno che
saresti andato a fargli visita oggi?»
«L'ho promesso... a mio padre... ai fratelli... ad altri ancora...»
«Lo vedi. Va' senza indugio. Non ti addolorare. Sappi che non morirò
finché tu non sarai presente per ascoltare la mia ultima parola su questa
terra. A te dirò questa mia parola, figliolo, e te la lascerò in dono. A te,
figliolo, caro, giacché tu mi ami. Ma adesso va' da coloro a cui hai
promesso».

Alëša ubbidì immediatamente anche se gli era penoso allontanarsi.

II • Dal padre
In primo luogo Alëša si recò dal padre. Durante il tragitto, gli
sovvenne che questi il giorno prima aveva molto insistito perché egli
entrasse di nascosto dal fratello Ivan. «Perché mai?», si domandò Alëša.
«Se mio padre vuol dire qualcosa a me solo, di nascosto, che bisogno c'è di
entrare pure di nascosto? Evidentemente ieri voleva dire qualcos'altro, così
agitato com'era, ma non c'è riuscito», concluse. Nondimeno si rallegrò
quando Marfa Ignat'evna, che gli aprì la porticina del giardino (seppe poi
che Grigorij stava male e riposava nella dipendenza), alla sua domanda
rispose che Ivan Fëdoroviè era uscito già da due ore.
«E il papà?»
«Si è alzato, sta bevendo il caffè», rispose un po' seccamente Marfa
Ignat'evna.
Alëša entrò. Il vecchio sedeva solo a tavola, indossava le pantofole e
un vecchio cappotto ed esaminava, per distrarsi, ma senza grande
attenzione, certi suoi conti. Era completamente solo in casa (anche
Smerdjakov era uscito a fare la spesa per il pranzo). Ma non erano i conti a
tenergli occupata la mente. Sebbene si fosse alzato di buon mattino e si
facesse forza, aveva tuttavia un'aria stanca e indebolita. La fronte, che
durante la notte si era riempita di enormi lividi violacei, era avvolta in un
fazzoletto rosso. Pure il naso si era molto gonfiato durante la notte e su di
esso si erano formati dei lividi a chiazze, non molto evidenti, ma che
indubbiamente conferivano al suo volto un aspetto particolarmente arcigno
e malevolo. Il vecchio se ne rendeva conto da solo e gettò un'occhiata
ostile su Alëša che entrava in quel momento.
«Il caffè è freddo», disse bruscamente, «non te lo offro. Oggi mangio
zuppa di pesce in bianco e non invito nessuno. Perché sei venuto?»
«Per informarmi sulla vostra salute», rispose Alëša.
«Sì, tanto più che sono stato io stesso ad invitarti ieri. Tutte
sciocchezze. Ti sei disturbato inutilmente. Del resto, lo sapevo che ti
saresti subito scapicollato qui...»
Pronunciò queste parole con aria estremamente ostile.
Nel frattempo si era alzato dal suo posto e si osservava preoccupato il
naso allo specchio (per la quarantesima volta dalla mattina, forse).

Cominciò pure a sistemarsi meglio sulla fronte il fazzoletto rosso.




III • Fa comunella con gli scolari
"Grazie a Dio non mi ha chiesto nulla di Grušen'ka", pensò dal canto
suo Alëša, lasciando la casa del padre e dirigendosi dalla signora
Chochlakova, "altrimenti sarei stato costretto, forse, a parlare dell'incontro
di ieri con Grušen'ka". Alëša avvertiva dolorosamente che durante la notte
i contendenti avevano raccolto nuove forze e che, con il nuovo giorno, il
loro cuore si era nuovamente impietrito: "Nostro padre è irritato e cattivo,
ha escogitato qualcosa e rimane fermo sulle sue, e Dmitrij? Anche lui si
sarà rafforzato nel corso della notte, anche lui sarà irritato e cattivo e pure
lui, naturalmente, ne avrà pensata qualcuna delle sue... Devo

assolutamente riuscire a trovarlo oggi, a qualunque costo..."



…..Aveva appena attraversato la piazza e svoltato nel
vicolo che portava in via Michajlovskij, parallela alla Bol'šaja, ma separata da questa da un piccolo canale (la nostra città è interamente intersecata da canali), quando scorse giù, davanti al ponticello, un gruppo di scolaretti



IV • Dalle Chochlakov
Ben presto arrivò a casa della signora Chochlakova, una bella
costruzione in muratura, a due piani, una delle migliori case della nostra
cittadina. Sebbene la signora Chochlakova vivesse per la maggior parte
dell'anno in un altro governatorato, dove aveva la sua proprietà terriera,
oppure a Mosca, dove possedeva una casa, anche nella nostra cittadina
aveva una casa tutta sua che aveva ereditato dai suoi genitori e dai nonni.
Anzi, la tenuta che ella possedeva nel nostro distretto era la più grande dei
suoi tre possedimenti, e tuttavia la signora, fino ad allora, si era fatta
vedere molto di rado nel nostro governatorato. Ella corse ad accogliere

Alëša addirittura nell'anticamera. [...]

V • Lacerazione in salotto
Ma in salotto la conversazione si era già conclusa; Katerina Ivanovna
era sovreccitata, sebbene avesse un'aria risoluta. Nell'istante in cui
entrarono Alëša e la signora Chochlakova, Ivan Fëdoroviè si stava alzando
per andare via. Era leggermente pallido in volto e Alëša lo guardò
preoccupato. Infatti, in quel momento, per Alëša, si stava sciogliendo un
dubbio, un enigma inquietante che lo tormentava da tempo. Era un mese
che gli suggerivano, da più parti, che il fratello Ivan amava Katerina

Ivanovna e, soprattutto, che era davvero intenzionato a "soffiarla" a Mitja.[...]

«Ho un grosso favore da chiedervi, Aleksej Fëdoroviè», prese a dire,
rivolgendosi direttamente ad Alëša, con voce calma e misurata, come se
non fosse accaduto nulla. «Una settimana, sì, mi pare una settimana fa,
Dmitrij Fëdoroviè ha compiuto un gesto avventato e ingiusto, molto
riprovevole. C'è un luogo equivoco, una bettola. Lì egli incontrò un
ufficiale a riposo, quel capitano che vostro padre ha impiegato per certi
suoi affari. Per qualche ragione Dmitrij Fëdoroviè si è adirato contro
questo capitano, lo ha afferrato per la barba e, alla presenza di tutti, lo ha
trascinato in strada in questo stato umiliante. In strada l'ha trascinato così
per un pezzo e dicono che il figlio di questo capitano, un ragazzo, ancora
un bambino, che frequenta la scuola locale, abbia assistito alla scena, si sia
messo a correre accanto ai due, piangendo a dirotto e invocando aiuto per
il padre, chiedendo ai presenti che lo difendessero, fra le risate generali.
Perdonate, Aleksej Fëdoroviè, non riesco a pensare a quest'episodio senza
provare indignazione per questa sua vergognosa azione... una di quelle
azioni che solo Dmitrij Fëdoroviè è capace di compiere quando è in preda
all'ira e... alle sue passioni! Non riesco nemmeno a descrivere
quest'episodio, non sono in grado di farlo. Non riesco a trovare le parole.
Ho chiesto informazioni sulla vittima dell'oltraggio e ho saputo che è
molto povero. Si chiama Snegirëv. Ha commesso qualche mancanza
mentre prestava servizio, lo hanno espulso, non so spiegarvi queste cose, e
adesso è precipitato in uno stato di terribile indigenza con la sua famiglia,
una famiglia disgraziata di figli malati e una moglie demente, si dice. Vive
da un pezzo qui in città, fa qualche lavoretto qua e là, ha lavorato come
scrivano, ma adesso hanno smesso, tutt'a un tratto di pagarlo. Ho gettato lo
sguardo su di voi... cioè ho pensato - non so, chissà perché mi sto
confondendo - vedete, volevo chiedervi, Aleksej Fëdoroviè, mio carissimo
Aleksej Fëdoroviè, di fare un salto da lui con una scusa, introdurvi a casa
sua, di questo capitano cioè - Dio mio, perdo il filo! - e, con tatto, con
cautela, proprio come sapete fare solo voi», (Alëša arrossì di colpo),
«riuscire a dargli questo aiuto, ecco, duecento rubli. Lui sicuramente li
accetterà... cioè, convincetelo ad accettarli... Oppure no, che si può fare?
Vedete non si tratta di un compenso per tenerlo buono, per evitare che
sporga denuncia (giacché pare che abbia questa intenzione), questo è un
semplice gesto di simpatia, di aiuto, da parte mia, da parte della fidanzata
di Dmitrij Fëdoroviè, non da lui direttamente... Insomma, voi sapete... Ci
sarei andata io stessa, ma voi saprete farlo di gran lunga meglio di me.
Abita in via Ozernaja, in casa della borghese Kalmykova... Per l'amor di
Dio, Aleksej Fëdoroviè, fatemi questo favore. Ma adesso... adesso sono un

po'... stanca. Arrivederci...»

scheggia sceneggiato TV 1969


VI • Lacerazione nell'izba



L'incarico di Katerina Ivanovna lo condusse in via Ozërnaja, e l'abitazione del fratello Dmitrij si trovava lì vicino, proprio in una traversa di via Ozërnaja.


Alëša decise di fare un salto da lui, in ogni caso, prima di recarsi dal capitano, sebbene avesse il presentimento che non avrebbe trovato il fratello in casa. Sospettava che quello, con ogni probabilità, si stesse tenendo di proposito alla larga da lui, ma comunque doveva trovarlo ad ogni costo.

Dmitrij non era in casa. I padroni di casa - un vecchio falegname, suo
figlio e una vecchietta, sua moglie - lo guardarono persino con sospetto.
«Sono tre giorni che non passa la notte in casa, forse è partito», rispose il
vecchietto alle insistenti domande di Alëša. Alëša intuì che quello
rispondeva secondo le istruzioni ricevute. Alla sua domanda: «Si nasconde
per caso da Grušen'ka o ancora da Foma?», (Alëša si lasciò andare di
proposito a queste confidenze), tutti e tre i padroni di casa lo guardarono
persino con un certo allarme. "Gli vogliono bene e quindi gli reggono il
gioco", pensò, "e questo è un bene".

CASA DEL CAPITANO SNEGIREV
Finalmente scovò la casa della borghese Kalmykova in via Ozërnaja,
una casetta decrepita, sbilenca, che dava sulla strada solo con tre finestre e
con un fangoso cortile in mezzo al quale se ne stava una mucca, sola

soletta.



VII • E all'aria aperta
«All'aria aperta, vossignoria: nella mia residenza invece non tira aria
buona, in tutti i sensi. Andiamo, signore, passo passo. Avrei proprio voglia

di destare il vostro interesse, vossignoria».

DALLE CHOCHLAKOV

LIBRO QUINTO • PRO E CONTRA
I • Un fidanzamento
Fu ancora una volta la signora Chochlakova ad accogliere per prima
Alëša. Aveva fretta, era successo un fatto importante: l'attacco di nervi di
Katerina Ivanovna si era concluso con uno svenimento, dopo di che era
stata sopraffatta da "una terribile, orribile debolezza, giaceva con gli occhi
rovesciati e delirava. Adesso aveva la febbre, avevano mandato a chiamare
Gercenštube, avevano mandato a chiamare anche le zie. Le zie erano già
arrivate, Gercenštube ancora no. Erano tutte nella camera di lei in attesa.
Qualcosa doveva pur accadere. Lei era priva di conoscenza, cosa sarebbe

accaduto se si fosse rivelata febbre cerebrale?"

NEL CHIOSCO ANCORA

Secondo il suo piano avrebbe dovuto prendere il fratello Dmitrij alla
sprovvista, nel seguente modo: scavalcare, come il giorno prima, lo
steccato, entrare nel giardino e appostarsi in quello stesso chioschetto. "Se
non sarà lì", pensava Alëša, "senza dire niente né a Foma, né alle padrone
di casa, devo nascondermi e aspettare nel chiosco fino a sera. Se sta
facendo la guardia per vedere se arriva Grušen'ka, è molto probabile che
passi dal chiosco..." Alëša non si soffermò a lungo sui dettagli del suo
piano, ma decise di eseguirlo, anche se questo significava non tornare al
monastero per quel giorno...
Tutto filò liscio: scavalcò lo steccato, quasi esattamente nello stesso
punto del giorno prima, e raggiunse di nascosto il chioschetto. Non voleva
che si accorgessero della sua presenza: sia la padrona sia Foma (se questi
era in casa in quel momento) avrebbero potuto essere dalla parte del
fratello e attenersi alle sue istruzioni, quindi avrebbero potuto impedire ad
Alëša di entrare in giardino, oppure avvisare il fratello per tempo che
qualcuno lo stava cercando e stava chiedendo di lui. Nel chiosco non c'era
anima viva. Alëša si sedette al posto del giorno prima e cominciò ad
aspettare. Si guardò intorno e, per qualche ragione, il chiosco gli sembrò
ancora più decrepito del giorno prima: questa volta gli sembrò decisamente
squallido. Eppure la giornata era limpida come quella di ieri. Sul tavolo
verde c'era un'impronta circolare lasciata dal bicchierino di cognac del
giorno prima, che doveva aver traboccato. Pensieri vuoti e del tutto fuori
luogo gli venivano alla mente, come sempre accade durante le attese
noiose. Si domandava, per esempio, perché entrando lì si era seduto
esattamente nello stesso posto del giorno prima e non in un altro? Infine
divenne triste, molto triste per l'inquietudine dell'ignoto. Ma non era
passato un quarto d'ora, quando all'improvviso udì da qualche parte nelle
vicinanze un accordo di chitarra. Qualcuno si trovava, oppure si era
appena seduto, a non più di una ventina di passi da lui, da qualche parte,
fra i cespugli. Ad Alëša sovvenne ad un tratto che il giorno prima, mentre
si allontanava dal chiosco, dove aveva lasciato il fratello, aveva intravisto,
o gli era balenata davanti agli occhi per un attimo, una vecchia, bassa
panchina verde da giardino, sulla sinistra presso lo steccato, fra i cespugli.

Evidentemente gli ospiti si erano seduti lì. Ma chi erano? [...]

Poi accadde un fatto inatteso: Alëša starnutì all'improvviso. Sulla
panchina tacquero di colpo. Alëša si alzò e s'avviò verso di loro.

Si trattava
proprio di Smerdjakov, agghindato di tutto punto, con i suoi lustri stivali di
vernice e i capelli impomatati e forse persino arricciati. La chitarra giaceva
sulla panchina.

La signora era proprio Mar'ja Kondrat'evna, la figlia della
padrona di casa; indossava un vestito celeste chiaro con uno strascico di un
metro e mezzo; la ragazza era giovane e piuttosto carina, anche se aveva il
viso molto paffuto e spaventosamente lentigginoso.

D'altro canto, Ivan Fëdoroviè, per prima cosa,
questa mattina all'alba mi ha mandato all'appartamento in via Ozërnaja,
senza missive, per invitare Dmitrij Fëdoroviè a pranzo nella trattoria qui in
città, quella in piazza. Io ci sono andato, vossignoria, ma non ho trovato
Dmitrij Fëdoroviè in casa sebbene fossero solo le otto. "C'era", mi hanno
detto, "ma poi è uscito": mi hanno detto proprio così i suoi padroni di casa.
Ma avevano un modo strano di parlare, come se si fossero messi d'accordo,
signore. Forse, in questo momento è a pranzo in quella trattoria con il
fratello Ivan Fëdoroviè, dal momento che Ivan Fëdoroviè non è tornato a
casa per il pranzo, Fëdor Pavloviè ha pranzato un'ora fa da solo e adesso è
andato a fare il suo sonnellino. Ma vi supplico caldamente di non fare
parola di me e di quello che vi ho detto, non ditelo a nessuno, signore,
giacché quello mi ucciderebbe come niente, signore».
«Ivan ha invitato a pranzo Dmitrij oggi?», chiese conferma
rapidamente Alëša.
«Proprio così, signore».


LA TRATTORIA
IVAN E ALESA

«Alla trattoria "La capitale", quella in piazza?»  «Proprio quella, signore».  «È molto probabile che sia così!», esclamò Alëša in preda a una forte agitazione. «Vi ringrazio, Smerdjakov, è un'informazione importante, adesso andrò là...»  «Non mi tradite, signore», gli disse dietro Smerdjakov.   «Oh, no, farò finta di essere capitato per caso da quelle parti, state tranquillo».  «Ma dove andate? Aspettate che vi apra la porticina», fece per gridargli Mar'ja Kondrat'evna.  «No, di qui è più breve, scavalcherò di nuovo la siepe».  Quella notizia aveva profondamente turbato Alëša.



S'avviò di corsa verso la trattoria. Era sconveniente entrare in quella trattoria con l'abito monacale, ma poteva chiedere informazioni rimanendo sulle scale e farli scendere. Ma era appena arrivato alla trattoria, quando una finestra si spalancò e il fratello Ivan in persona lo chiamò dall'alto:  «Alëša, puoi fare un salto qui da me adesso? Mi farebbe un enorme piacere».  «Certo che posso, ma non so come fare, vestito così».  «Ma io sto in un salottino privato, sali sul terrazzino d'ingresso e io correrò giù a prenderti...»  Un minuto più tardi Alëša stava seduto accanto al fratello. Ivan pranzava da solo. 

RITORNO DI IVAN A CASA

VI • Per ora, molto oscura
Dal canto suo, Ivan Fëdoroviè, dopo aver salutato Alëša, tornò a
casa, a casa di Fëdor Pavloviè. 

Ma, cosa strana, all'improvviso lo aveva
sopraffatto un'insopportabile angoscia che, cosa ancora più notevole, ad

ogni passo, man mano che si avvicinava alla casa, cresceva sempre più.[...]

Sulla panchina accanto al portone se ne stava piazzato a prendere
l'aria fresca della sera il lacchè Smerdjakov, e Ivan Fëdoroviè, sin dal
primo sguardo, capì che il lacchè Smerdjakov se ne stava piazzato anche

nella sua anima, era quell'uomo che la sua anima non riusciva a tollerare. [...]

Con un senso di
avversione e irritazione, egli cercò di passare oltre, in silenzio, e senza
guardare Smerdjakov, ma questi si alzò dalla panchina e bastò quel gesto
perché Ivan Fëdoroviè intuisse di colpo che l'altro gli voleva parlare di
qualcosa di importante. 
Ivan Fëdoroviè lo guardò e si fermò e il fatto di
essersi fermato invece di passare oltre, come aveva deciso un istante
prima, lo irritò a tal punto da farlo fremere. Guardava con rabbia e
repulsione la fisionomia estenuata, da evirato, di Smerdjakov con i riccetti
delle tempie all'insù e il ciuffetto ben lisciato. L'occhio sinistro
leggermente socchiuso ammiccava e rideva come per dire: "Dove credi di
andare? Non vorrai passare così; non vedi che noi due, persone intelligenti,
dobbiamo fare un certo discorsetto?" Ivan Fëdoroviè sussultò: "Togliti di
mezzo, carogna, non ho niente a che spartire con te, imbecille!", erano
queste le parole che aveva sulla punta della lingua e invece, con sua
somma meraviglia, gli sfuggì di bocca tutt'altro:
«Mio padre dorme ancora o si è svegliato?», domandò con una voce
calma e pacata che neanche lui si aspettava e poi, di punto in bianco,

sempre inaspettatamente, si sedette sulla panchina.
Per un attimo ebbe
quasi paura, lo ricordò in seguito. Smerdjakov stava in piedi di fronte a lui,
con le mani dietro alla schiena e lo guardava con un'aria sicura, persino
severa.
«Il padrone sta ancora dormendo, signore», disse parlando senza

fretta.[...]

«Ma allora per quale motivo», egli interruppe bruscamente
Smerdjakov, «dopo tutto quello che hai detto, mi consigli di andare a
Èermašnja? Che cosa volevi dire con questo? Che se io partissi accadrebbe

tutto questo?» Ivan respirava a fatica. «Proprio così, signore», replicò Smerdjakov con aria calma e
giudiziosa, ma sempre con lo sguardo fisso su Ivan Fëdoroviè. [...]


«Domani parto per Mosca, se ci tieni a saperlo, domani mattina
presto, ecco tutto!», gli disse all'improvviso con voce alta, distinta e
stizzosa; in seguito si domandò come mai avesse sentito il bisogno di dire
quelle parole a Smerdjakov in quel momento.
«È la cosa migliore che vossignoria possa fare», ribatté l'altro, come
se si fosse aspettato esattamente quelle parole, «solo che se andrete a
Mosca, vi potranno incomodare da qui con un telegramma, se dovesse
succedere qualcosa, signore».
Ivan Fëdoroviè si fermò e si voltò di nuovo bruscamente verso
Smerdjakov. Ma anche in Smerdjakov era avvenuto un cambiamento. La
sua aria di familiarità e noncuranza era svanita di colpo; ogni fibra del suo
viso esprimeva un'attenzione straordinaria e un'attesa timida e servile
questa volta, come se volesse dire: "Non devi dirmi altro? Non hai niente
da aggiungere?" Questo si leggeva nel suo sguardo immobile, piantato
fisso su Ivan Fëdoroviè. [...]


«Perché, da Èermašnja non mi potrebbero mandare a chiamare nel
caso in cui accadesse qualcosa?», strillò Ivan Fëdoroviè, alzando
esageratamente la voce, senza sapere neanche lui il perché.
«Anche da Èermašnja, signore... vi potrebbero disturbare...»,

mormorò Smerdjakov con un soffio di voce, con l'aria quasi smarrita, ma
continuando a fissare, a fissare Ivan Fëdoroviè dritto negli occhi.

«Solo che Mosca è più lontana, mentre Èermašnja è più vicina. Che,
ti dispiace per i soldi del viaggio, visto che insisti tanto per Èermašnja? O
ti dispiace che io faccia un giro così lungo?»

«Proprio così, signore...», mormorò Smerdjakov con voce ormai
rotta; aveva un sorrisetto strafottente sulle labbra, e ancora una volta si era
preparato, convulsamente, a fare per tempo un balzo all'indietro. Invece
Ivan Fëdoroviè, con gran meraviglia di Smerdjakov, scoppiò a ridere e
imboccò rapido la porticina, sempre continuando a ridere. Chi avesse
guardato il suo viso in quel momento, avrebbe probabilmente concluso che
non stava ridendo per allegria. E neanche lui avrebbe mai potuto spiegare
che cosa gli fosse preso in quel momento. Si muoveva e camminava

convulsamente.

VII • "Anche due chiacchiere, con un uomo intelligente, sono interessanti"

E parlava, anche, convulsamente. Appena entrato in salone, incontrò
Fëdor Pavloviè e gli gridò a bruciapelo, agitando le braccia: «Sto andando
in camera mia, non da voi, arrivederci», e passò oltre cercando di evitare di
guardare il padre. È molto probabile che in quel momento il vecchio gli
fosse insopportabilmente odioso, ma una così sfacciata manifestazione di
ostilità fu una sorpresa persino per Fëdor Pavloviè. Il vecchio, dal canto
suo, evidentemente voleva comunicargli qualcosa di urgente e proprio per
quello gli era andato incontro in salone. Dopo questo gentile saluto, il
vecchio si fermò, ammutolito, e con aria ironica seguì con lo sguardo il
caro figliolo che saliva di sopra, fino a che quello non fu scomparso.
«Che gli ha preso?», domandò in fretta a Smerdjakov che era entrato

subito dopo Ivan Fëdoroviè.[...]

NOTTE FONDA

Mezz'ora più tardi, la casa era stata chiusa a chiave, e il
vecchio pazzo si aggirava solo per le stanze in trepidante attesa che da un
momento all'altro si udissero i cinque colpi convenuti; di tanto in tanto
sbirciava dalla finestre buie senza vedere nient'altro che la notte.


Era già molto tardi, ma Ivan Fëdoroviè non stava dormendo,
pensava. Andò a letto molto tardi quella notte, verso le due. Ma noi non
tenteremo di riferire l'intero corso dei suoi pensieri, non è questo il

momento di penetrare nella sua anima: verrà il turno anche per essa.[...]

Tornando con
la mente a quella notte, in seguito, Ivan ricordava con particolare
repulsione i momenti in cui si alzava bruscamente dal divano e
furtivamente, con una strana paura addosso, come se fosse spiato, apriva la
porta, usciva per le scale e si metteva in ascolto per sentire Fëdor Pavloviè
che si agitava e camminava al piano di sotto, rimaneva ad ascoltare per un
pezzo, anche cinque minuti buoni, con una strana curiosità, con il fiato
sospeso e con il cuore in tumulto, ma il motivo per cui stava facendo tutto

ciò, il motivo per cui stava in ascolto, ovviamente lo ignorava anche lui.[...]

Ivan Fëdoroviè uscì
apposta un paio di volte sulla scala. Quando, finalmente, tutto si acquietò e
Fëdor Pavloviè si fu coricato, intorno alle due di notte, si coricò pure Ivan
Fëdoroviè con il vivo desiderio di addormentarsi immediatamente, tanto si

sentiva sfinito. E fu così: si addormentò di sasso e non fece sogni,