lunedì 29 maggio 2017

Cucina russa

IL PRANZO DALL'IGOUMENO

Non si trattava di una sala da
pranzo vera e propria, perché il padre igumeno disponeva soltanto di

due
stanze, anche se molto più spaziose e confortevoli di quelle dello starec.

Anche l'arredamento delle stanze non si distingueva per particolare lusso:

i mobili erano in cuoio e mogano, secondo la vecchia moda degli anni '20;

i pavimenti erano addirittura grezzi;

in compenso tutto brillava di pulito,

alle finestre c'erano molti fiori pregiati;

ma in quel momento il principale
lusso di quei locali era rappresentato, naturalmente,

dalla tavola
magnificamente imbandita, (sempre relativamente parlando):

la tovaglia era candida,

le stoviglie luccicanti;

c'era pane di tre qualità cotto egregiamente,

due bottiglie dell'eccellente miele del monastero

e una grossa brocca di vetro con il kvas,
prodotto nel monastero e rinomato in tutti i dintorni.


Di vodka nemmeno l'ombra.

Rakitin raccontò in seguito
che il pranzo del giorno consisteva di cinque portate:

zuppa di storione e pirožki di pesce;

pesce in bianco cucinato in modo sopraffino e particolare,

polpette di storione,

gelato e frutta cotta,

per finire kisel' sul tipo del blancmanger.

Rakitin aveva fiutato tutte queste buone cose, dal momento che
non aveva saputo resistere e aveva sbirciato nella cucina dell'igumeno,

dove pure aveva i suoi contatti.


PRANZO IN CASA KARAMAZOV

IL SALONE

Secondo una vecchia
consuetudine, la tavola era apparecchiata in SALONE, anche se nella casa
c'era una sala da pranzo vera e propria.

Quella era la stanza più grande
della casa, arredata con una certa ostentazione vecchia maniera.
I mobili
erano decrepiti, bianchi, imbottiti di una vetusta tappezzeria rossa in misto
seta.

Sulle pareti comprese tra le finestre c'erano specchi dalle cornici
elaborate di antico intaglio, anch'esse bianche con decorazioni dorate.

Sulle pareti tappezzate di carta da parato bianca, in molti punti già frusta,
facevano bella mostra di sé due grandi ritratti:
uno di un certo principe, che
una trentina di anni prima era stato
generale-governatore del distretto
locale,
 e l'altro di un arcivescovo, anche quello deceduto da tempo.

Nell'angolo d'onore, presso l'ingresso, erano collocate alcune icone,
davanti alle quali di notte si accendeva una lampada... non tanto per
devozione quanto per illuminare l'ambiente per la notte.

Fëdor Pavloviè si
coricava molto tardi, verso le tre, le quattro del mattino e fino a quell'ora si
aggirava per la stanza oppure sedeva in poltrona a meditare. Era diventata
un'abitudine per lui. Non di rado dormiva completamente solo in casa e
mandava la servitù nella dipendenza, ma di solito anche il servo
Smerdjakov si tratteneva per la notte, dormiva su una panca in anticamera.


FINE PRANZO

Quando entrò Alëša, il pranzo era già terminato, ma erano appena stati
serviti il caffè e la marmellata. Fëdor Pavloviè amava i dolci con il cognac
dopo pranzo.
Anche Ivan Fëdoroviè era seduto a tavola e prendeva il suo
caffè. I servi Grigorij e Smerdjakov erano in piedi presso la tavola. Sia i
signori sia i servitori si trovavano in uno stato di insolita e vivace
animazione.



Fëdor Pavloviè rideva e sghignazzava rumorosamente; sin
dall'andito

Alëša aveva sentito la risata stridula che gli era tanto familiare,
e concluse immediatamente, dal suono di quella risata, che il padre era ben
lungi dall'essere ubriaco, ma che per il momento aveva raggiunto soltanto
lo stadio dell'ilarità.

«Ecco anche lui, ecco anche lui!», si mise a strillare Fëdor Pavloviè
rallegrandosi enormemente per l'arrivo di Alëša. «Unisciti a noi, siediti,
prendi un caffettino - certo, è di magro, ma è così caldo e buono! Non ti
offro il cognac, devi osservare il digiuno, ma ne vuoi, ne vuoi? No, è
meglio che ti dia un liquorino con i fiocchi! Smerdjakov, va' alla dispensa,
sul secondo scaffale a destra, eccoti le chiavi, corri!»
Alëša fece per rifiutare il liquore.

«Lo porteranno lo stesso, non per te, ma per noi», disse raggiante
Fëdor Pavloviè. «Ma aspetta, hai pranzato?»

«Sì, ho pranzato», rispose Alëša che, in verità, aveva mangiato solo
una fetta di pane e bevuto un bicchiere di kvas nella cucina dell'igumeno.

«Ma berrò volentieri un caffè caldo».

«Bravo il mio ragazzo! Berrà un caffettino. Lo facciamo riscaldare?
Ma no, è ancora bollente. È un caffè con i fiocchi, opera di Smerdjakov.
Per il caffè e la kulebjaka il mio Smerdjakov è un vero artista; anche per la
zuppa di pesce, a dire il vero. Un giorno vieni a mangiare la zuppa di
pesce, ma faccelo sapere per tempo... Ma aspetta... aspetta, poco fa non ti
avevo ordinato di trasferirti definitivamente, oggi stesso, qui con il
materasso e i cuscini? E allora, te lo sei trascinato dietro il materasso? Eh,
eh, eh!...»

«No, non l'ho portato», e si mise a ridere anche Alëša.

«Ma ti sei preso un bello spavento poco fa, vero? Ah, tesoruccio mio,
come potrei fare un affronto a te? Sai, Ivan, io non resisto quando vedo che
lui mi guarda in questo modo dritto negli occhi e che ride, non posso.
Cominciano a ridermi le viscere in risposta al suo sorriso, gli voglio un
bene! Alëška, vieni qui che ti do la benedizione paterna!»
Alëša si alzò, ma Fëdor Pavloviè fece in tempo a ripensarci.
«No, no, ti farò solo il segno della croce, ecco, siediti. Be', adesso ti
faremo divertire, e proprio nella tua materia. Ti farai delle belle risate. Qui
da noi ha cominciato a parlare l'asina di Balaam, e come parla, devi
sentire!»

IN TRATTORIA


Ivan però non si trovava in un salottino privato. Stava solo in un angolo vicino alla finestra chiuso da un paravento; comunque quelli seduti al di là del paravento non potevano vederli. Era la prima sala dopo l'entrata, con un buffet lungo la parete. C'era un continuo via vai di camerieri. L'unico avventore era un vecchio militare a riposo che beveva il
suo tè in un angolo. In compenso nelle altre sale della trattoria c'era il tipico trambusto delle trattorie: le urla di richiamo per i camerieri, il rumore delle bottiglie stappate, lo schiocco delle bocce, il frastuono dell'organetto. Alëša sapeva che Ivan non si recava quasi mai in quella trattoria e che, in genere, non amava le trattorie; dunque, pensò lui, si trovava lì solo per incontrare il fratello Dmitrij, secondo gli accordi. Eppure il fratello Dmitrij non c'era. 


«Ti ordino una zuppa di pesce oppure quello che vuoi, non vivrai mica di solo tè», gridò Ivan che sembrava al settimo cielo per aver invitato Alëša. Quanto a lui, aveva già finito di pranzare e stava bevendo il tè.  

«Vada per la zuppa di pesce e vada anche per il tè; ho davvero appetito», disse allegramente Alëša.

 «E la marmellata di amarene? Qui ce l'hanno. Ti ricordi che da piccoli dai Polenov ti piaceva tanto la marmellata di amarene?» 


«Te lo ricordi? Vada anche per la marmellata, mi piace molto anche adesso».  Ivan chiamò il cameriere e ordinò zuppa di pesce, tè e marmellata.