IL PRANZO DALL'IGOUMENO
Non si trattava
di una sala da
pranzo vera e
propria, perché il padre igumeno disponeva soltanto di
due
stanze, anche se
molto più spaziose e confortevoli di quelle dello starec.
Anche
l'arredamento delle stanze non si distingueva per particolare lusso:
i mobili erano in
cuoio e mogano, secondo la vecchia moda degli anni '20;
i pavimenti erano
addirittura grezzi;
in compenso tutto
brillava di pulito,
alle finestre
c'erano molti fiori pregiati;
ma in quel
momento il principale
lusso di quei
locali era rappresentato, naturalmente,
dalla tavola
magnificamente
imbandita, (sempre relativamente parlando):
la tovaglia era
candida,
le stoviglie
luccicanti;
c'era pane di tre
qualità cotto egregiamente,
due bottiglie
dell'eccellente miele del monastero
e una grossa
brocca di vetro con il kvas,
prodotto nel
monastero e rinomato in tutti i dintorni.
Di vodka nemmeno
l'ombra.
Rakitin raccontò
in seguito
che il pranzo del
giorno consisteva di cinque portate:
zuppa di storione
e pirožki di pesce;
pesce in bianco
cucinato in modo sopraffino e particolare,
polpette di
storione,
gelato e frutta
cotta,
per finire kisel'
sul tipo del blancmanger.
Rakitin aveva
fiutato tutte queste buone cose, dal momento che
non aveva saputo
resistere e aveva sbirciato nella cucina dell'igumeno,
dove pure aveva i
suoi contatti.
PRANZO IN CASA KARAMAZOV
IL SALONE
Secondo una vecchia
consuetudine, la tavola era apparecchiata in SALONE, anche se nella casa
c'era una sala da pranzo vera e propria.
Quella era la stanza più grande
della casa, arredata con una certa ostentazione vecchia maniera.
I mobili
erano decrepiti, bianchi, imbottiti di una vetusta tappezzeria rossa in
misto
seta.
Sulle pareti comprese tra le finestre c'erano specchi dalle cornici
elaborate di antico intaglio, anch'esse bianche con decorazioni dorate.
Sulle pareti tappezzate di carta da parato bianca, in molti punti già
frusta,
facevano bella mostra di sé due grandi ritratti:
uno di un certo principe, che
una trentina di anni prima era stato
generale-governatore del distretto
locale,
e l'altro di un arcivescovo, anche
quello deceduto da tempo.
Nell'angolo d'onore, presso l'ingresso, erano collocate alcune icone,
davanti alle quali di notte si accendeva una lampada... non tanto per
devozione quanto per illuminare l'ambiente per la notte.
Fëdor Pavloviè si
coricava molto tardi, verso le tre, le quattro del mattino e fino a
quell'ora si
aggirava per la stanza oppure sedeva in poltrona a meditare. Era diventata
un'abitudine per lui. Non di rado dormiva completamente solo in casa e
mandava la servitù nella dipendenza, ma di solito anche il servo
Smerdjakov si tratteneva per la notte, dormiva su una panca in anticamera.
FINE PRANZO
Quando entrò Alëša, il pranzo era già terminato, ma erano appena stati
serviti il caffè e la marmellata. Fëdor Pavloviè amava i dolci con il
cognac
dopo pranzo.
Anche Ivan Fëdoroviè era seduto a tavola e prendeva il suo
caffè. I servi Grigorij e Smerdjakov erano in piedi presso la tavola. Sia i
signori sia i servitori si trovavano in uno stato di insolita e vivace
animazione.
Fëdor Pavloviè rideva e sghignazzava rumorosamente; sin
dall'andito
Alëša aveva sentito la risata stridula che gli era tanto familiare,
e concluse immediatamente, dal suono di quella risata, che il padre era ben
lungi dall'essere ubriaco, ma che per il momento aveva raggiunto soltanto
lo stadio dell'ilarità.
«Ecco anche lui, ecco anche lui!», si mise a strillare Fëdor Pavloviè
rallegrandosi enormemente per l'arrivo di Alëša. «Unisciti a noi, siediti,
prendi un caffettino - certo, è di magro, ma è così caldo e buono! Non ti
offro il cognac, devi osservare il digiuno, ma ne vuoi, ne vuoi? No, è
meglio che ti dia un liquorino con i fiocchi! Smerdjakov, va' alla
dispensa,
sul secondo scaffale a destra, eccoti le chiavi, corri!»
Alëša fece per rifiutare il liquore.
«Lo porteranno lo stesso, non per te, ma per noi», disse raggiante
Fëdor Pavloviè. «Ma aspetta, hai pranzato?»
«Sì, ho pranzato», rispose Alëša che, in verità, aveva mangiato solo
una fetta di pane e bevuto un bicchiere di kvas nella cucina dell'igumeno.
«Ma berrò volentieri un caffè caldo».
«Bravo il mio ragazzo! Berrà un caffettino. Lo facciamo riscaldare?
Ma no, è ancora bollente. È un caffè con i fiocchi, opera di Smerdjakov.
Per il caffè e la kulebjaka il mio Smerdjakov è un vero artista; anche per
la
zuppa di pesce, a dire il vero. Un giorno vieni a mangiare la zuppa di
pesce, ma faccelo sapere per tempo... Ma aspetta... aspetta, poco fa non ti
avevo ordinato di trasferirti definitivamente, oggi stesso, qui con il
materasso e i cuscini? E allora, te lo sei trascinato dietro il materasso?
Eh,
eh, eh!...»
«No, non l'ho portato», e si mise a ridere anche Alëša.
«Ma ti sei preso un bello spavento poco fa, vero? Ah, tesoruccio mio,
come potrei fare un affronto a te? Sai, Ivan, io non resisto quando vedo
che
lui mi guarda in questo modo dritto negli occhi e che ride, non posso.
Cominciano a ridermi le viscere in risposta al suo sorriso, gli voglio un
bene! Alëška, vieni qui che ti do la benedizione paterna!»
Alëša si alzò, ma Fëdor Pavloviè fece in tempo a ripensarci.
«No, no, ti farò solo il segno della croce, ecco, siediti. Be', adesso ti
faremo divertire, e proprio nella tua materia. Ti farai delle belle risate.
Qui
da noi ha cominciato a parlare l'asina di Balaam, e come parla, devi
sentire!»
IN TRATTORIA
IN TRATTORIA
Ivan però non si trovava in un salottino privato. Stava solo in un angolo
vicino alla finestra chiuso da un paravento; comunque quelli seduti al di là
del paravento non potevano vederli. Era la prima sala dopo l'entrata, con un
buffet lungo la parete. C'era un continuo via vai di camerieri. L'unico
avventore era un vecchio militare a riposo che beveva il
suo tè in un angolo. In compenso nelle altre sale della trattoria c'era il
tipico trambusto delle trattorie: le urla di richiamo per i camerieri, il rumore
delle bottiglie stappate, lo schiocco delle bocce, il frastuono dell'organetto.
Alëša sapeva che Ivan non si recava quasi mai in quella trattoria e che, in
genere, non amava le trattorie; dunque, pensò lui, si trovava lì solo per
incontrare il fratello Dmitrij, secondo gli accordi. Eppure il fratello Dmitrij
non c'era.
«Ti ordino una zuppa di pesce oppure quello che vuoi, non vivrai mica di
solo tè», gridò Ivan che sembrava al settimo cielo per aver invitato Alëša.
Quanto a lui, aveva già finito di pranzare e stava bevendo il tè.
«Vada per la zuppa di pesce e vada anche per il tè; ho davvero appetito»,
disse allegramente Alëša.
«E la marmellata di amarene? Qui ce
l'hanno. Ti ricordi che da piccoli dai Polenov ti piaceva tanto la marmellata
di amarene?»
«Te lo ricordi? Vada anche per la marmellata, mi piace molto anche
adesso». Ivan chiamò il cameriere e
ordinò zuppa di pesce, tè e marmellata.