lunedì 29 maggio 2017

Primo giorno

PRIMO GIORNO


Era una magnifica giornata,
mite e luminosa.
Si era alla fine di agosto.

L'INCONTRO DALLO STAREC
L'incontro con lo starec era fissato per le undici e mezza circa, 
subito dopo l'ultima messa.
I nostri visitatori comunque 
non si degnarono
di partecipare alla messa, 
ma arrivarono direttamente 
quando stavano
spegnendo i lumi. 
Giunsero in due vetture: 
nella prima, 
una lussuosa
carrozza tirata da una pariglia di costosi cavalli, 
arrivò Pëtr Aleksandroviè
Miusov in compagnia di un lontano parente, 
un uomo molto giovane, sui vent'anni, Pëtr Fomiè Kalganov. [...]
In una carrozza presa a nolo, 
malandata, traballante ma spaziosa,
tirata da una coppia di vecchi cavalli bigi a chiazze chiare, 
che seguiva a molta distanza la carrozza di Miusov, arrivarono Fëdor Pavloviè e il suo
figliolo Ivan Fëdoroviè. Dmitrij Fëdoroviè era in ritardo, sebbene gli
avessero comunicato l'ora dell'incontro il giorno prima.
(Lb. II, cap. I)



Dal monastero all'eremo
Lasciarono le carrozze fuori dal recinto, alla foresteria, ed entrarono a piedi
nel portone del monastero. Tranne Fëdor Pavloviè, nessuno della
compagnia aveva mai visitato un monastero; Miusov non entrava in una
chiesa che erano più o meno trent'anni. Egli si guardava intorno con una
certa curiosità, non priva di affettata disinvoltura. Ma per la sua mente
osservatrice, oltre agli edifici religiosi e di servizio, per altro abbastanza
ordinari, all'interno del monastero non c'era niente da vedere.
Gli ultimi fedeli stavano uscendo dalla chiesa, levandosi il berretto e segnandosi. In
mezzo alla gente del popolo si notavano anche fedeli appartenenti ai ceti
più alti della società: due o tre signore, un generale molto anziano;
alloggiavano tutti alla foresteria. I mendicanti attorniarono subito i nostri
visitatori, ma nessuno dette loro niente. Soltanto Petruša Kalganov trasse
dal suo portamonete una moneta da dieci copeche e, nervoso e imbarazzato
Dio solo sa perché, la allungò in tutta fretta a una vecchia, dicendo in
fretta: «Dividetela equamente».[...]
Miusov guardava distrattamente le pietre sepolcrali
intorno alla chiesa e avrebbe voluto commentare che quelle tombette
dovevano essere costate piuttosto care ai parenti dei defunti per il
privilegio di sepoltura in un posto così "sacro", ma se ne stette zitto: la sua
ironia liberale stava per trasformarsi in rabbia.
«A chi diavolo dobbiamo rivolgerci in questa gabbia di matti?...
Dobbiamo pur scoprirlo, qui il tempo passa», disse all'improvviso come
parlando fra sé.
Ad un tratto si avvicinò loro un signore di mezz'età, leggermente
calvo, con un largo soprabito estivo e gli occhietti dolci. Questi si levò il
berretto e con un balbettio mielato si presentò a tutti come Maksimov,
proprietario di Tula. Egli immediatamente si preoccupò di aiutare i nostri
visitatori:
«Lo starec Zosima vive nell'eremo, nell'eremo isolato, a circa
quattrocento passi dal monastero, oltre il boschetto, oltre il boschetto...»
«Lo so che è oltre il boschetto», gli rispose Fëdor Pavloviè, «ma non
ci ricordiamo la strada, è un bel pezzo che non ci veniamo».
«Ecco, entrate da quel portone e poi dritto per il boschetto...per il
boschetto. Venite. Se volete... anch'io... Ecco, da questa parte, da questa
parte...»
Essi uscirono dal portone e si avviarono per il boschetto.

L'EREMO
«Ecco l'eremo, siamo arrivati!», gridò Fëdor Pavloviè. «Ma il recinto
e il portone sono chiusi».
E si mise a fare ampi segni di croce davanti ai santi dipinti sopra e ai
lati del portone.
«Paese che vai, usanze che trovi», commentò. «Nell'eremo ci sono
venticinque santi in tutto a far penitenza, si guardano l'un l'altro e
mangiano cavoli. Le donne non possono oltrepassare questa soglia, ecco
cosa c'è di notevole. Ed è proprio così. Solo, com'è che ho sentito che lo
starec riceve le signore?», e si rivolse all'improvviso al monaco.
«Ci sono donne del popolo anche adesso qui, eccole lì vicino al
portico che aspettano. E per le signore di alto rango sono state costruite
proprio qui sul portico, ma al di fuori del recinto, due camerette, ecco le
finestre, e lo starec, quando si sente bene, si reca a trovarle attraverso un
passaggio interno, quindi oltrepassa sempre il recinto. Ecco, anche adesso,
una proprietaria di Char'kov, la signora Chochlakova, lo sta aspettando con
la figlia malata. Probabilmente ha promesso che sarebbe uscito per
incontrarle, anche se di recente si è così indebolito che si mostra di rado
anche al popolo».
«Così c'è una piccola scappatoia che conduce dall'eremo dritto alle
signore. Non pensiate, padre santo, che voglia dire qualcosa di male, dico
solo per dire. Ma sapete, sul Monte Athos, forse lo avete già sentito, non
solo non sono ammesse le donne, ma non sono ammesse le creature
femminili di nessun genere, galline, tacchine, vitelline...»
«Fëdor Pavloviè, girerò sui miei tacchi e vi lascerò qui solo, e, una
volta che me sarò andato io, vi sbatteranno fuori di qui, ve lo dico in
anticipo».
«Ma che fastidio vi do, Pëtr Aleksandroviè? Guardate!», esclamò ad
un tratto avanzando all'interno del recinto dell'eremo.

«Guardate in che
valle di rose vivono costoro!»
E difatti, anche se non c'erano rose in quel momento, vi fiorivano una
miriade di rari e stupendi fiori autunnali dappertutto, dovunque vi fosse un
po' di spazio per piantarli. Evidentemente li curava una mano esperta.
C'erano aiuole intorno alle chiese e tra le tombe. Anche la casetta di legno,
ad un piano, con un portico davanti all'ingresso, nella quale si trovava la
cella dello starec, era circondata da fiori.



Dall’eremo al monastero
Un boschetto di pini secolari
Aliosha

Attraversava in
fretta il bosco che separava l'eremo dal monastero e, incapace di
sopportare il peso dei propri pensieri tanto questi lo opprimevano,
si mise ad osservare i pini secolari
che fiancheggiavano il sentierino del bosco.
Il tragitto era breve, circa cinquecento passi, non di più; a quell'ora non si
aspettava di incontrare nessuno ….


PER CAMPI E ORTI… VERSO LA CASA DI KATJA


… se fosse passato per la Bol'šaja, per
poi attraversare la piazza, il tragitto sarebbe stato piuttosto lungo.La
nostra piccola cittadina si estende su una superficie molto vasta, quindi le
distanze sono considerevoli…decise di accorciare la
strada, passando per i cortili sul retro, tanto conosceva tutti i passaggi della
cittadina come il palmo della sua mano. Passare per i cortili sul retro
significava fare un percorso praticamente privo di strade, lungo steccati
desolati, scavalcare in alcuni punti siepi di giardini altrui e rasentare
cortili, dove del resto tutti lo conoscevano e lo salutavano.
Per quella
strada poteva raggiungere la Bol'šaja dimezzando il percorso.

In un punto
si trovò persino a passare molto vicino alla casa del padre, proprio accanto
al giardino che confinava con quello paterno e che apparteneva a una
vecchia casupola cadente con quattro finestre.

Ma mentre raggiungeva il
giardino delle vicine, quello strascico gli tornò subito in mente, egli
sollevò rapidamente il capo, che teneva pensosamente chino, e si imbatté
d'un tratto... in una persona che non si sarebbe mai aspettato di incontrare
lì.
Oltre la siepe del giardino delle vicine, c'era suo fratello Dmitrij
Fëdoroviè che, sollevandosi su qualcosa, si sporgeva con il petto, si
sbracciava per attirare la sua attenzione, lo chiamava, gli faceva segno di
avvicinarsi, nel palese timore non solo di gridare, ma persino di parlare a
voce alta. Alëša raggiunse la siepe di corsa. «È un bene che ti sia guardato
attorno da solo, ero già lì lì per gridare», gli sussurrò in fretta Dmitrij
Fëdoroviè tutto contento. «Arrampicati qui! Fa presto! Ah, che bello che
sei venuto. Stavo giusto pensando a te...»
Anche Alëša era contento, solo che non sapeva come arrampicarsi
sulla siepe. Ma Mitja, con la sua mano erculea, lo afferrò per un gomito e
lo aiutò a saltare. Sollevata la tonaca, Alëša balzò con la disinvoltura di


quei monelli che vanno in giro scalzi per la città.

Il giardino aveva la superficie di un ettaro o poco più, ma gli alberi -
meli, aceri, tigli e betulle - erano piantati solo intorno, lungo i quattro lati
delle siepi.

Al centro, c'era un prato vuoto, nel quale in estate si falciavano
alcuni pudy di fieno.

La padrona lo affittava in primavera per pochi rubli.
Tutt'intorno, lungo le siepi di recinzione, c'erano anche cespugli di
lamponi, uva spina, ribes; dei filari di ortaggi erano stati tracciati di recente
accanto alla casa.[...]


 Dmitrij Fëdoroviè condusse l'ospite in uno degli angoli
del giardino più lontani dalla casa.

Lì, in mezzo a un folto di tigli e vecchi
arbusti di ribes, sambuco, viburno e lillà,

spuntarono all'improvviso i
ruderi di un decrepito chioschetto verde, annerito dagli anni e cadente, con
le pareti a graticcio, ma con il tetto integro sotto il quale era ancora
possibile ripararsi dalla pioggia.

Il chiosco era stato costruito Dio solo sa
quando, una cinquantina di anni prima, si diceva, dall'allora proprietario
della casetta, Aleksandr Karloviè von Šmidt, tenente colonnello a riposo.
Ma ormai cadeva a pezzi, il pavimento marciva, le assi traballavano, il
legno puzzava di umidità. Nel chioschetto c'era un tavolo verde di legno
fissato al terreno e tutt'intorno delle panchine pure verdi, sulle quali ci si
poteva ancora sedere. Alëša aveva notato subito lo stato d'animo esaltato
del fratello, ed entrando poi nel chioschetto, scorse sul tavolo una mezza
bottiglia di cognac e un bicchierino.
«Ecco qui del cognac!», disse Mitja scoppiando a ridere. «E tu guardi

e pensi: "È di nuovo ubriaco". Non credere a un fantasma.






LA CONFESSIONI DI MITJA



A CASA KARAMAZOV

VI • Smerdjakov
Trovò per davvero suo padre ancora a tavola. Secondo una vecchia
consuetudine, la tavola era apparecchiata in salone, anche se nella casa

c'era una sala da pranzo vera e propria.


Ed ecco che all'improvviso, in quello stesso istante si udì provenire dall'ingresso un chiasso e un clamore terribili, si udirono grida indiavolate, la porta si spalancò e irruppe nella sala Dmitrij Fëdoroviè.p. 194

IX.I lussuriosi
«Fermatelo!», si mise a strillare Fëdor Pavloviè non appena rivide Dmitrij. «Ha rubato il denaro dalla mia camera da letto!» E, liberatosi dalla stretta di Ivan, si scagliò nuovamente contro Dmitrij. Ma quello alzò entrambe le braccia e di colpo afferrò il vecchio per i due ciuffi di capelli che gli erano rimasti attaccati alle tempie, gli dette uno strattone e lo fece cadere per terra con gran fracasso. Riuscì a sferrargli ancora due o tre colpi di tacco sul viso mentre quello giaceva per terra. Il vecchio lanciò gemiti acuti. Ivan Fëdoroviè, anche se non era forte come il fratello Dmitrij, lo afferrò per le braccia e lo strappò via dal vecchio con tutte le sue forze. Alëša, con quel poco di forza che aveva, gli dette una mano, afferrando il fratello dall'altra parte. P.196

E se ne va.[...]
CONGEDO DAL PADRE
Ascolta, Alëša,
io me ne starò sdraiato a pensare tutta la notte, ma tu va'. Potresti
incontrarla... Solo fa in modo di passare da me domani in mattinata, mi
raccomando. Domani ti dirò una parolina, ci verrai?»
«Verrò».
«Quando verrai, fa finta di essere venuto di tua iniziativa, a chiedere
notizie sulla mia salute. Non dire a nessuno che ti ho invitato io. Non dire
nemmeno una parola a Ivan».
«Va bene».
«Addio, angelo mio, poco fa hai preso le mie difese, non lo
dimenticherò mai. Domani ti dirò una parolina... solo che devo pensarci un
po' su...»
«E come vi sentite adesso?»
«Domani, domani stesso mi alzerò in piedi, completamente guarito,

completamente guarito, completamente guarito!»

CONGEDO DA IVAN
Passando per il cortile, Alëša trovò suo fratello Ivan seduto sulla
panchina vicino al portone: stava scrivendo qualcosa a matita nel suo
quadernetto di appunti. Alëša riferì a Ivan che il vecchio si era svegliato,
era cosciente e gli aveva permesso di tornare a dormire al monastero.
«Alëša, mi farebbe molto piacere incontrarti domani mattina», disse
Ivan affabilmente, alzandosi. Quell'affabilità era del tutto inaspettata per
Alëša.
«Domani andrò dalle Chochlakov», rispose Alëša. «Forse passerò
anche da Katerina Ivanovna, se non la trovo adesso...»
«Così adesso, nonostante tutto, andresti da Katerina Ivanovna! È per

quel "commiato con l'inchino?»,





A CASA DI KATJA






Erano già le sette e il sole stava tramontando, quando Alëša arrivò da
Katerina Ivanovna, che abitava in una casa molto spaziosa e confortevole
nella via Bol'šaja.




















 



SERA DEL PRIMO GIORNO
Incontro sotto il citiso
XI. Un'altra reputazione perduta

Il monastero distava dalla città poco più di una versta. Alëša s'incamminò in fretta per la strada, a quell'ora deserta. Era quasi notte e troppo buio per distinguere gli oggetti a una distanza di soli trenta passi. C'era un incrocio a metà strada. All'incrocio, sotto un citiso solitario, si intravedeva una figura indistinta. Alëša aveva appena raggiunto l'incrocio quando la figura si mosse rapidamente e si precipitò verso di lui, gridando con voce selvaggia:  
«O la borsa o la vita!» 




«Ah, sei tu, Mitja!», gridò Alëša meravigliato, dopo un violento sussulto.p.214

Guarda la notte: hai visto com'è cupa, che nuvole, che ventaccio si è alzato!

«Aspetta, Aleksej, ancora una confessione, ma soltanto a te!»,
Dmitrij Fëdoroviè si girò di scatto e tornò indietro. «Guardami, guardami
bene: vedi, ecco, qui, proprio qui si prepara una terribile infamia».
(Dicendo "ecco qui", Dmitrij Fëdoroviè si colpì il petto con un pugno, con
un'aria terribile, come se l'infamia si trovasse e si conservasse proprio nel
suo petto, in qualche punto, in tasca forse, oppure pendesse cucita al
collo). Tu mi conosci già: sono un mascalzone, un mascalzone confesso!
Ma sappi che per quanto abbia fatto in passato e in questo momento o
faccia in futuro, nulla, nulla potrà uguagliare per viltà l'infamia che proprio
adesso, proprio in questo momento mi porto nel petto, ecco qui, proprio
qui, l'infamia che si compirà sebbene io sia padrone di troncarla, sebbene
io possa scegliere se troncarla o portarla a compimento, nota bene questo!
Ma sappi pure che la porterò a compimento, non la troncherò. Poco fa ti ho
raccontato tutto, ma questo non te l'ho raccontato, neanche io ho avuto la
faccia di bronzo necessaria per farlo! Faccio ancora a tempo a fermarmi:
fermandomi, domani stesso potrei recuperare una buona metà dell'onore
perduto, ma io non mi fermerò, io porterò a compimento l'infame progetto,
che tu possa testimoniare che te l'ho detto in anticipo e nel pieno possesso
delle mie facoltà mentali! La rovina e le tenebre! Non c'è niente da
spiegare, a suo tempo saprai. Un vicoletto fetido e una donna infernale!
Addio, non pregare per me, non lo merito, e non ce n'è nemmeno bisogno,
nemmeno un po'... non mi serve affatto! Via!»

E si allontanò rapidamente, ma questa volta in modo definitivo.

FINALMENTE RIENTRA AL MONASTERO
Passò nella stanzetta da letto dello
starec, si mise in ginocchio e si prostrò sino a terra dinanzi al dormiente.
Quello dormiva placidamente, immobile, con un respiro regolare e quasi
impercettibile. Il suo viso era tranquillo.


Alëša tornò nell'altra stanza, la stessa nella quale in mattinata lo
starec aveva accolto gli ospiti, e senza quasi spogliarsi, togliendosi
soltanto gli stivali, si sdraiò sul duro divanetto di pelle, sul quale era solito
dormire ormai da molto tempo, portandosi solo un cuscino. Quanto al
materasso, che il padre gli aveva ricordato con le sue urla, da molto tempo
ormai non lo stendeva più. Si limitava a togliersi la tonaca e a usarla a mo'
di coperta. Ma, prima di addormentarsi, cadde in ginocchio e pregò a

lungo.[...]

Mentre pregava anche quella sera, sentì casualmente
nella tasca quella bustina rosa che gli aveva datto la cameriera di Katerina
Ivanovna quando lo aveva raggiunto per strada. Ne rimase turbato, ma finì
di pregare. Poi, dopo aver tentennato un poco, aprì la busta. Conteneva una

letterina per lui firmata Lise